Matthias Grünewald, Joseph Ratzinger e l’altare di Isenheim: “la Cappella Sistina del Nord”. Uno straordinario motore di riflessione sul destino del mondo
di Elena Tempestini
Siamo in Alsazia, una regione della Francia che si estende lungo il confine con la Germania: da Mulhouse fino a Strasburgo e oltre. Una regione ricca di storia e di avvenimenti, lungamente contesa tra Germania e Francia, ed oggi facente parte di quest’ultima. Siamo a Colmar, una piccola cittadina che sembra uscita da un libro immaginario di fiabe. Un luogo che ha dato i natali allo scultore Auguste Bartholdi, autore della Statua della Libertà di New York, opera che ha innescato una delle “querelle” più famose del mondo. Bartholdi, copio’ l’opera dalla statua di Pio Fedi, esposta in Santa Croce a Firenze, quale monumento funebre a Giovan Battista Niccolini? Potremmo definire che esse siano la rappresentazione della libertà nell’arte, sia di Pio Fedi che di Frédéric Auguste Bartholdi. La statua fiorentina è antecedente di ben quattro anni rispetto a quella Americana, e nascosta dietro l’Opera vi e’ una incisione di Pio Fedi: “Questo simulacro rammenti che Giovan Battista Niccolini profetò l’indipendenza italiana, Pio Fedi l’immaginò e scolpiva, sprigionandola dal marmo dimenticò il compasso, non sacrificando la forma all’idea, comparve la Libertà, i concittadini inaugurando il 20 settembre anno 1883 , Pio Fedi scrisse”
Ma è un’altra opera che si trova a Colmar, ad attirare l’attenzione di un grande professore di Teologia, tedesco di nascita, divenuto Papa e scomparso in questi giorni: Joseph Ratzinger. L’Opera che destò l’interesse e lo studio approfondito di Ratzinger è la Crocifissione dell’Altare di Isenheim, che nei giorni della scomparsa terrena di Benedetto XVI, potrebbe essere vista “come speranza della sopravvivenza della vita a condizione di cambiare la rotta e cambiare totalmente i paradigmi fin qui vissuti”.
Benedetto XVI, nel suo libro “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio”, diede un titolo particolare al primo capitolo: “nel venerdì santo della storia: uno sguardo sul ventesimo secolo”. Nelle pagine scorre la rappresentazione dell’opera di Matthias Grünewald, la Crocifissione dell’Altare di Isenheim. Così definito da Ratzinger: “l’immagine della Croce più toccante di tutta la cristianità, una “macchina pittorica”. È richiamata così una dimensione dell’esistenza umana che oggi ci sfugge sempre più e che tuttavia costituisce l’autentico nucleo Cristiano, a partire dal quale è possibile comprendere l’operare cristiano per e in questo mondo” ( Benedetto XVI)
L’amato Philippe Daverio, Alsaziano di Mulhouse, definì l’opera che si trova a Colmar nel Museo Unterlinden, “La Cappella Sistina del Nord”. La visione di Grünewald, ha risentito sicuramente del riflesso degli scombussolamenti centro-europei dell’epoca, creando un’opera dove tutto viene sconvolto, la vita e la morte, il principio e la fine. La vita può coincidere con la morte, il principio può coincidere con la fine , la gloria può coincidere con la vergogna e il trionfo con la catastrofe. Non è una imitazione o rappresentazione delle cose o dei fatti il carattere centrale di questo capolavoro, quanto l’esistenza, l’essere e l’espressione dell’essere nel suo insieme, divino, umano, animale e vegetale.
l’”Altare di Isenheim” dipinto da Grünewald è la manifestazione della diversità della trionfante e monumentale descrizione teologico/dottrinale dipinta da Michelangelo, dove le certezze dello spazio e del tempo, dagli inizi della Creazione alla fine dei giorni, fino al Giudizio Finale, è sequenziale, cronologica, ordinata e disciplinata, così come doveva essere l’ordine prestabilito del potere della Roma papale. La Cappella Sistina di Michelangelo e l’Altare di Isenheim sono due capolavori assoluti della civiltà artistica occidentale; la prima destinata alla gloria dei ricevimenti papali, la seconda è parte di una cultura che si trova alla riva sinistra del Reno, destinata all’istruzione del popolo che si ritrovava presso i monaci Antoniani, i quali la usavano a seconda dei momenti liturgici. Siamo nel 1515, periodo storico che introdurrà la presenza di Martin Lutero, la Riforma Protestante che inizierà affiggendo le sue proposte sulla porta della chiesa di Wittenberg.
Osservare il dipinto è uno straordinario motore di riflessione sul destino del mondo, da Gesù morto e risorto. Si vede al centro del grande trittico della Crocifissione, a sinistra, per noi che guardiamo, la Madonna che sta per svenire dal dolore ed è sorretta da Dan Giovanni Evangelista. Al centro la croce, a destra san Giovanni il Battista che indica Cristo. Ai lati del pannello centrale, come fossero due ante, ci sono, da una parte San Sebastiano con le frecce, e dall’altra Sant’Antonio Abate. Ma non è ancora finita, perché a questo punto si apre di nuovo in due il pannello centrale (la Natività) e compaiono, al centro, tre statue lignee rispettivamente di Sant’Antonio Abate, Sant’Agostino e San Girolamo. Sulle ali laterali altri due dipinti incredibili, sempre di Grünewald, raffiguranti: a sinistra Sant’Antonio che fa visita a San Paolo di Tebe e a destra, le tentazioni di sant’Antonio, che, a questo punto, sembra far la parte del leone, anche se si capisce benissimo che non è vero. La parte del leone la fanno il signore Gesù Cristo e sua Madre, cioè Iddio che ha creato la seconda e resuscitato il primo. Ma c’è una seconda e misteriosa figura che compare nella Natività: una donna luminosissima, con le mani giunte e sulla testa una corona fiammeggiante. Chi è ? Sono state fatte molte ipotesi e studi, ma guardando attentamente si capisce che può essere soltanto la Madonna stessa, ma al momento in cui Iddio, ancor prima della creazione, l’aveva pensata. È la Madonna che contempla se stessa come madre del Creatore, ossia di colui che, diventato grande, morirà sulla croce verde come l’erba appassita. Cristo riassume in sé questo dolore, e i colori lo esprimono benissimo, per consentire la nascita dell’uomo nuovo e definitivo.