Matapan: una ricostruzione storica dell’evento bellico a cura di Eliano Bellanova
MATAPAN
27 – 30 Marzo 1941 – acque della Grecia meridionale
La Corazzata Vittorio Veneto, gemella della Littorio, costituiva un modello di arte navale. La stazza dichiarata era di 35 mila tonnellate, ma, in effetti, raggiungeva le 43 mila.
Silurata a Matapan riuscì a rientrare a Taranto nella notte.
La Marina italiana a Taranto aveva subito un colpo gravissimo a seguito del danneggiamento di tre grandi corazzate (Littorio, Duilio e Cavour) alla fonda nel porto jonico.
Non molti mesi dopo un altro evento avrebbe avuto un’influenza notevole sul prosieguo del secondo conflitto.
Prima di addentrarci nell’avvenimento negativo per la Flotta italiana, leggiamo l’illuminante rapporto all’Ammiragliato da parte dell’Ammiraglio Cunningham, responsabile del settore Est della Flotta britannica del Mediterraneo: Be pleased to lay before Their Lordships the attached reports of the battle of Matapan, 27 – 30 March, 1941. Be pleased to lay before Their Lordships the attached reports of the battle of Matapan, 27 – 30 March, 1941. Five ships of the enemy fleet were sunk, burned or destroyed. Except for the loss of one aircraft in action, our fleet suffered no damage or casualties. The events and information prior to the action, on which my appreciation was based, are already to Their Lordships. (Vogliate sottoporre alle Loro Eccellenze gli acclusi rapporti sulla battaglia di Matapan, 27 – 30 Marzo 1941. Cinque navi della flotta nemica furono affondate, bruciate o distrutte. Eccettuata la perdita di un aereo nell’azione, la nostra flotta non ebbe alcun danno o perdita. Eventi e informazioni precedenti l’azione, su cui fu basato il mio apprezzamento, sono già noti alle Loro Eccellenze).
A questa comunicazione è accluso il dettagliato rapporto.
Il Servizio Informazioni inglese aveva raccolto, in base alle dichiarazioni dell’Ammiraglio Cunningham, importanti informazioni (peraltro già note all’Ammiragliato) sui movimenti della flotta italiana in mare nel Marzo 1941. In base a queste era stato possibile ai Comandi supremi elaborare un piano strategico da manuale della storia navale. Si è anche ipotizzato che il Comando navale inglese fosse a conoscenza della rotta che avrebbe dovuto seguire la flotta italiana.
Ci soccorre in proposito ancora l’Ammiraglio inglese nel suo rapporto: Era importante mantenere un’apparenza di normalità nell’area interessata, per tema che il nemico «mangiasse la foglia». Fortunatamente un solo convoglio era in mare in quel momento, lo A.G.9, diretto al Pireo con un carico di truppe, il quale era allora a sud di Creta. Fu ordinato a questo convoglio di mantenere la sua rotta fino al tramonto del 27 e poi di ritornare sulla sua scia. Fu ordinato a un convoglio diretto dal Pireo verso sud di non partire. Le autorità dell’Egeo furono avvertite al più tardi possibile di sgombrare l’area di navi.
L’Ammiraglio Cunningham aveva disposto di non seguire da vicino il convoglio che avrebbe dovuto scortare e anzi nella notte avanzata del 27 ordinò che ritornasse sui suoi passi. Ciò indusse in errore l’Ammiraglio Angelo Jachino, che era al comando di unità in gran parte leggere, con le quali avrebbe dovuto attaccare le navi inglesi che portavano soccorsi alla Grecia. Queste le navi in campo di parte italiana: Vittorio Veneto, in qualità di nave ammiraglia sulla quale era quindi imbarcato Jachino, otto incrociatori (Fiume, Pola, Zara, Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Trento, Trieste e Bolzano), tutti scortati da quattordici cacciatorpediniere. Contro di esse si era concentrato il grosso della Flotta inglese di Alessandria d’Egitto:
la forza B (incrociatori Orion, Ajax, Perth, Gloucester, i caccia Ilex, Hasty, Hereward e Vendetta), che all’alba del 28 Marzo si sarebbe dovuta trovare a sud-ovest dell’isola di Gaudo;
la forza C (costituita da cinque cacciatorpediniere), che sarebbe dovuta congiungersi alla Forza B verso la stessa ora;
la ricognizione aerea delle forze dell’aria di Creta e Cirenaica;
la RAF di stanza a terra e sulle portaerei, che avrebbe dovuto coadiuvare la ricognizione delle forze aeree terrestri;
i sottomarini Rover e Triumph, in pattugliamento al largo di Suda e Milo;
la Forza D (Juno, Jaguar e Defender), alla fonda al Pireo e pronta all’intervento. Quindi la Carlisle con compiti di difesa contraerea a Suda.
La sera del 27, alle ore 19.00, il Cunningham si mosse con la Flotta di Alessandria così composta: ben tre corazzate (Warspite, Barham, Valiant), la portaerei Formidable, le unità leggere Jervis, Janus, Nubian, Mohawk, Stuart, Greyhound Griffin, Hotspur, Havock). Destinazione: Gaudo. Proprio dove la Flotta italiana si dirigeva sperando nella sorpresa.
Le navi italiane erano infatti a Sud di Gaudo la mattina del 28 Marzo.
Alle otto le avanguardie degli incrociatori italiani e inglesi si avvistarono simultaneamente. Gli italiani aprirono il fuoco per primi, mentre gli inglesi fuggivano deviando dalla rotta originaria. La fuga inglese faceva parte di un preciso calcolo strategico. Ce ne dà la certezza il Comandante degli incrociatori, Ammiraglio Pridham-Wippel: «Decisi di attirarli verso la nostra flotta da battaglia e la portaerei». L’Ammiraglio inglese intendeva, praticamente, farsi inseguire per portare le unità italiane verso il grosso della Flotta di Alessandria. Tuttavia l’Ammiraglio Jachino, presentendo sgradite sorprese, dà ordine di invertire la rotta e di far presto ritorno a Taranto. Ma gli inglesi non demordono. Inseguono tenendosi rigorosamente fuori della portata balistica, inscenando una pantomima che avrebbe meritato moderne cineprese. L’atto teatrale dura ben due ore circa, finché Jachino, persa la pazienza, decide di re-invertire la rotta per inseguire a sua volta il nemico e sottoporlo all’azione dei suoi potenti cannoni. Ignorava a quel punto che la Flotta inglese di Alessandria incrociava non lontana da Gaudo e Matapan. E, mentre la ricognizione aerea inglese era stata molto efficiente, quella italiana aveva lasciato alquanto a desiderare. Malgrado tutto questo non sarebbe stato comunque prudente spingersi oltre, giacché dei convogli mercantili inglesi diretti in Grecia non vi era traccia. Invece l’Ammiraglio italiano decise di aumentare i giri di motore per accorciare le distanze dal nemico, il che lo condusse nel raggio di azione degli aerosiluranti di stanza sulla Formidable, che verso le 11,30 raggiunsero la Vittorio Veneto, sganciarono i siluri e la mancarono di poco. L’episodio fu illuminante per Jachino che, finalmente, decise di far rotta a 28 nodi verso la base di Taranto, anche perché nelle prime forsennate fasi della battaglia aveva sprecato circa la metà delle munizioni mancando sempre il nemico, per poi dare la colpa nelle sue memorie (Gaudo e Matapan e Tramonto di una Grande Marina) all’imprecisione dei cannoni italiani. Dalle 12.00 in poi gli aerosiluranti inglesi, superando spesso la contraerea italiana, si susseguirono sulla corazzata in diverse ondate. L’ultima ondata (due bombardieri e tre aerosiluranti Swordfish) riuscì a coronare l’impresa di colpire a poppa la Vittorio Veneto: uno Swordfish planando lungo la fiancata della nave, si portò fuori dalla contraerea lanciando da distanza ravvicinata.
La grande unità, colpita nell’apparato motore, si fermò, imbarcando acqua in grande quantità, conducendo alla morte quaranta uomini, rimasti intrappolati dalla immediata chiusura dei compartimenti stagni. La struttura eccezionale della nave, dotata di una serie intricata di compartimenti stagni e di una corazza di 30 cm di acciaio temprato, fu, tuttavia, fondamentale per la sua sopravvivenza, impedendo all’acqua di dilagare da poppa a prua. Il valore del personale di macchina si rivelò anch’esso determinante: gran parte dei motori fu rimessa in efficienza. La nave cessò di girare su se stessa e, con accorte manovre e contromanovre, riprese la marcia guadagnando velocità a grado a grado, fino a raggiungere ben 28 nodi.
Jachino decise di chiudersi in un quadrato di navi per difendersi da eventuali attacchi siluranti o «per vendere cara la pelle», dato che l’armamento della corazzata era rimasto indenne. Il Trento, il Bolzano e il Trieste, si strinsero intorno al leone ferito per fare buona guardia. All’avanguardia (incrociatori Fiume, Pola e Zara) fu imposto di ritornare, anch’essa, sui suoi passi, dato che si trovava in rotta già verso Taranto ed era molto distanziata. Gli aerei inglesi seguivano dall’alto i movimenti italiani con ben otto siluranti pronti a colpire. Verso il tramonto del sole, nei pressi di Matapan, assalirono le navi italiane lanciando siluri. L’azione fu contrastata efficacemente dalla contraerea italiana. Quando si contarono le ferite mancava all’appello l’incrociatore pesante Pola, colpito da un siluro e rimasto fermo in mare. Indeciso sul da farsi, Jachino lasciò passare due ore prima di ordinare ai gemelli Fiume e Zara di portare soccorso al Pola immobilizzato. Alle 22,30 riuscirono a raggiungerlo. Ma nelle vicinanze erano anche le tre corazzate inglesi Warspite, Barham e Valiant, munite di radar e adatte al combattimento notturno.Esse erano riuscite a individuare il Pola e, quando lo avvistarono, trovarono sul posto anche il Fiume e lo Zara.
Ventiquattro cannoni da 381 mm furono concentrati sulle navi italiane da distanza ravvicinata (circa 2 miglia), riducendole a pontoni fumiganti. Alla tragedia furono associati due caccia, l’Alfieri e il Carducci, di scorta agli incrociatori. Gli inglesi si allontanarono subito non soccorrendo nemmeno i superstiti, ma conservando un fair play che rende onore alla loro tradizione marinara: comunicarono ai Comandi italiani il punto in cui bruciavano le cinque navi, che sarebbero state inghiottite dal mare.
Tragica la fine dello Zara che, andato alla deriva per circa due ore, esplose poco dopo mezzanotte lasciando sul posto un’immensa chiazza in cui si dibatterono i superstiti e le loro zattere. In migliaia rimasero in mare in attesa dei soccorsi. Dopo l’una passarono altre unità nemiche che con le loro eliche dilaniarono innumerevoli sopravvissuti e dettero il colpo di grazia al Pola duro a morire. Il caccia Jervis, tornato sui suoi passi, imbarcò numerosi superstiti del Pola e si allontanò, dopo aver scagliato contro la nave altri due siluri.
L’altro scempio lo fecero gli squali, al punto che solo 160 uomini furono salvati dalla nave ospedale Gradisca, che giunse tre giorni dopo, la sera del 31 Marzo. Altri furono salvati dai greci e dagli inglesi, compresi i duecentocinquantotto tratti in salvo dal caccia Jervis. Intanto, protetta dalla notte, la Vittorio Veneto giunse a Taranto per rimanere sei mesi in arsenale per le riparazioni.
Un vespaio di polemiche segue alla sconfitta di Matapan e si accusano anche i vertici di Supermarina. In effetti gli Inglesi avevano decifrato i codici segreti italiani (Enigma), cosa che fu appurata dopo molti anni.
Dovette sostenere diversi contrasti con Supermarina – Roma, a seguito di differenti vedute nella condotta delle ostilità in mare.