Manifesto dello Scrittore Indipendente
di Francesco Abate
Ogni persona che scrive, comprese quelle che amano farlo, sogna o ha sognato almeno una volta di pubblicare per una grande casa editrice e vivere del suo mestiere. Qualcuno vorrà fare lo snob e dirà di no, ma è solo un bugiardo. Guardando però quello che pubblicano i colossi dell’editoria, e anche i più piccoli che sognano di eguagliarne vendite e fama, ben presto si capisce che lo scrittore deve scegliere se vuole fare arte o se vuole avere successo.
La scrittura è arte, eppure i libri di maggior successo degli ultimi anni smentiscono la mia affermazione. Fare arte significa per me esprimere concetti o sentimenti attraverso la bellezza, quindi il libro deve essere qualcosa di bello che lascia al lettore qualcosa nella mente e nel cuore.
Nella letteratura di successo contemporanea però di arte non c’è nemmeno l’ombra. Ho letto tanti autori contemporanei e quasi sempre mi sono trovato di fronte a libri per tutte le stagioni, che possono piacere a tutti per il semplice fatto di essere neutri.
Oggi si scrive secondo regole precise, e se non lo fai intervengono gli editor a conformare il tuo scritto a esse, così si arriva alla pubblicazione di un prodotto ottimo per il mercato, un libro che ti impegna delle ore senza lasciarti dentro niente. I concetti espressi sono quasi sempre gli stessi, i temi trattati sono quelli più di tendenza, gli stili di scrittura e i personaggi sono copie esatte di omologhi presi da altri libri. Non c’è originalità, non c’è riflessione e non c’è coraggio; nessuna traccia di arte. Guardate ai grandi del passato: i loro libri non sono mai vuoti e hanno sempre portato qualcosa di originale nei contenuti o nello stile di scrittura,.
I grandi della letteratura contemporanea sono considerati tali perché si sono uniformati a questo gioco (con qualche eccezione, a memoria cito Umberto Eco). Le case editrici vogliono vendere, quindi devono accontentare la massa. Se scrivi un libro complesso e originale, il rischio che non piaccia è alto, e chi guarda solo alle vendite non ama rischiare; se scrivi il solito piattume fatto di personaggi banali, vicende trite e riflessioni da murales di un liceale, e lo scrivi in modo tanto semplice e immediato da assecondare la pigrizia, la superficialità e lo scarso livello culturale dell’uomo moderno, hai molte probabilità di sfornare un best seller. Frutto di questo stupro dell’arte, di questo svilimento della scrittura, sono i mille romanzi fotocopia che ogni anno infestano le librerie.
Lo scrittore che vuole vendere deve stare al gioco.
Scrivere seguendo come il vangelo le regole di scrittori di successo ed editor, perché l’originalità oggi è un peccato mortale; scegliere i temi e le idee più di moda; accettare che il proprio scritto venga stravolto da uno o più sconosciuti che hanno studiato come rendere vendibile un romanzo. Quest’ultimo punto rivela a mio modo di vedere la perversità dell’attuale sistema: secondo i guru della letteratura moderna sarebbe giusto, anzi fondamentale, che il prodotto dell’ingegno di una persona sia riscritto dietro le indicazioni fornite da un’altra che segue delle regole prestabilite e orientate alla vendita del prodotto. Tradotto in parole povere: lo scrittore mette l’idea e la base, ma il libro lo scrive l’editor.
Se tutti i libri pubblicati oggi partono da un’idea già poco originale per poi essere riscritti dalle stesse persone che seguono fedelmente le stesse regole, quante speranze credete ci siano che venga fuori qualcosa di originale e valido? C’è una cosa di cui sono fermamente convinto e che credo spieghi a dovere il mondo perverso di quello che chiamano “editing formale”: se Dante Alighieri scrivesse oggi la Divina Commedia, gli editor gli chiederebbero di riscriverla in prosa. Se ci pensate, in questa epoca frenetica e superficiale, chi apprezzerebbe un poema?
Non si salva da questa degenerazione anche la microeditoria. Innanzitutto molte piccole case editrici hanno i loro editor che si divertono a riscrivere opere altrui, forti della passività dell’autore che tutto accetta pur di sfondare. Per i piccoli c’è anche il meccanismo squallido e perverso della pubblicità: viene concessa visibilità non agli autori che producono qualcosa di valido ma a quelli che hanno amicizie interessate nel mondo del giornalismo o della politica, meglio ancora se gli amici hanno a loro volta qualche amico importante. Spesso la presentazione del libro di un esordiente viene pubblicizzata semplicemente perché conosce il giornalista Tizio a cui ha regalato il libro, così riceve pubblicità nonostante spesso il suo libro sia la copia mal fatta dei mille che infestano gli scaffali delle librerie. Viene lanciato il libro del miglior leccatore di culi, non del miglior scrittore. Alla faccia dell’arte!
La lunga premessa che ho fatto sopra era doverosa per dirvi come intendo io l’arte dello scrivere (mi rifiuto di parlare di “mestiere” dello scrittore!).
Chi scrive deve farlo spinto da un fuoco sacro, dal bisogno di creare un mondo per manifestare un pezzo della propria anima. Deve farlo cercando di creare qualcosa di bello, ma nella valutazione di ciò che è bello, nell’elaborazione dei suoi concetti e nella costruzione dell’universo-libro nessuno oltre lui dovrebbe mettere bocca. Lo scrittore deve essere solo con sé stesso.
Per quanto concerne le regole della buona scrittura, è giusto conoscerle, così come è giusto scegliere in maniera libera quali seguire, quali ignorare e quali violare volutamente. Si può essere artisti solo creando un proprio stile, i copisti non sono scrittori.
L’editing non è da demonizzare. Una casa editrice seria deve offrire una correzione di bozze e lo scrittore deve accettarla, perché i refusi non mancano nemmeno in un manoscritto corretto mille volte; l’opera dell’editor deve fermarsi qui. Per quanto riguarda ciò che l’opera contiene e il modo in cui è scritta, la casa editrice deve pubblicare quello che ha ricevuto senza cambiare una virgola.
Quando Céline presentò all’editore Viaggio al termine della notte, l’editor propose dei cambiamenti alla punteggiatura disordinata e lui li rifiutò, essa infatti fu un’originalità voluta che si rivelò una delle chiavi del successo dell’opera. Editor e scrittori dovrebbero capire che il piccolo errore non è un dramma: la Divina Commedia di Dante contiene alcuni riferimenti imprecisi o sbagliati, eppure nessuno si sognerebbe di sminuire né l’opera né l’autore. Prendiamoci il rischio di libri meno perfetti e accettiamone eventuali originalità.
Ultima annotazione: lo scrittore indipendente non è colui che fa lo snob e sputa in faccia a tutti quelli che hanno successo. Prima ho citato Umberto Eco, un autore che ha costruito i suoi romanzi senza preoccuparsi della loro complessità fuori moda, è andato per la sua strada e ha avuto successo: non dobbiamo sminuirlo solo perché ha venduto milioni di copie. Indipendente è chi scrive e propone quello che sente senza compromessi, agire in un certo modo solo per opporsi a un altro sistema è una forzatura tanto grave quanto l’omologazione. Se vuoi essere uno scrittore indipendente, devi scrivere, dire e fare quello che ti pare, senza chiederti cosa penseranno gli altri e che effetto farà.
In questi mesi di assenza ho avuto parecchio tempo per pensare. Questo mio sfogo nasce dalla consapevolezza che la letteratura sta assecondando l’imbarbarimento della società invece di contrastarlo; non è più il libro uno strumento in grado di salvare il mondo, bensì è il mondo che sta inquinando il libro.
Oggi più che mai c’è bisogno di invertire questa tendenza, perciò spero che questo mio appello sia condiviso. Se siete d’accordo con me, vi invito a condividere il mio “manifesto” sul vostro blog o pagina. Se avete invece delle obiezioni, potete inserirle nei commenti qui sotto.