L’uomo che verrà. Appunti per una cittadinanza come apertura di carattere interculturale
di Gennaro Tedesco
Vorrei partire, per affrontare l’argomento in questione, da un punto di vista forse eterodosso. Sono del parere che l’assimilazionismo e il multiculturalismo , al di là delle loro carenze teoretiche e antropologiche, che, tra l’altro, sembrano, esercitare un notevole fascino sulle nostre elite dirigenti, sono rivelatori di un approccio eurocentrico non solo alla cittadinanza, ma anche alla cultura. Sono proprio gli immigrati extracomunitari che hanno tutti o quasi tutti i titoli per dettare l’agenda della nuova cittadinanza non solo europea ma globale. Essi, infatti, posseggono due caratteristiche importanti che li contraddistinguono in particolare rispetto ai nostri allievi e ai nostri docenti delle Scuole e delle Università che sono in prima linea, con altre istituzioni ufficiali e pubbliche, nella loro accoglienza : di solito posseggono almeno una doppia esperienza della realtà del mondo e sono motivati o costretti ad aprirsi e a confrontarsi con l’altro. E inoltre, a parte qualche eccezione, per scelta o per necessità, si impegnano almeno nel tentativo di informarsi sul nuovo contesto nel quale sono coinvolti.
E a me sembra che queste tre caratteristiche le possiamo considerare strategiche e determinanti, anche se non esaustive, al fine di riconfigurare una teoria e una pratica dell’approccio interculturale alla cittadinanza non solo europea, ma anche e soprattutto globale.
Il cittadino interculturale e globale che verrà non mi sembra ancora abitare tra di noi nella dimora europea. Il cittadino europeo che verrà deve andare alla scuola degli extracomunitari e non viceversa.
In questi ultimi anni , a partire dalle mie esperienze balinesi e dalle mie letture antropo-teoretiche, mi sono interessato alla storia di un vasto spazio africano come quello rappresentato dal Congo e alle “radici” storiche di due complessi fenomeni migratori, quali quello albanese e rumeno, all’interno della Comunità europea e, anche alla luce dei miei soggiorni balcanici e delle mie esperienze quotidiane e assidue con tali soggetti storici e sociali, credo di poter mettere in campo almeno qualche osservazione non solo storica, ma anche fenomenologia e sociale.
Dalla sintesi delle mie ricerche storico-interdisciplinari, approfondite per mezzo di esplorazioni elettroniche e sitografiche oltre che testuali e bibliografiche, confluite nella produzione di quattro cd, ho potuto constatare la quasi assoluta carenza di conoscenza o perdita di conoscenza non solo di allievi e docenti italiani sulla storia e sulle problematiche interdisciplinari dei Balcani, ma, anche attraverso le mie pratiche sociologiche e antropologiche, il loro probabilmente anche conseguente rifiuto, derivante dall’ignoranza su detta, di un contatto alla pari con tali soggetti balcanici.
Al contrario , albanesi e rumeni, nel loro proprio stile culturale e antropologico, con alle spalle almeno una doppia esperienza del mondo e con la necessità o la scelta di aprirsi ad esso, si appropriano di un’istruzione e di un’educazione prevalentemente informale, che li rende alla fine dei loro percorsi esistenziali e civili di vita, enormemente consapevoli delle opportunità, che, malgrado tutto, anche una democrazia carente e claudicante come la nostra può ancora offrire, più consapevoli e maturi dei nostri adolescenti e giovani, alle prese con un’educazione alla cittadinanza scolastica avulsa da qualunque contesto esperienziale di vita e da qualunque pratica di vita in altri mondi, assurdamente abbarbicata a ristrette nozioni pragmatistiche e ad astratte e incomprensibili teorie di civismo nazionale o, peggio ancora, di nazionalismo. Tutto ciò in un contesto dinamicamente dialettico del processo di globalizzazione e di cosmopolitizzazione del diritto e non solo del diritto.
Il discorso sulla cittadinanza come apertura di carattere interculturale non può prescindere dal suo stretto legame con l’architettura istituzionale e politica che la Comunità Europea va costruendo e ridefinendo lentamente e gradualmente nel suo processo di evoluzione costante e permanente. Credo che anche questo percorso di maturazione europeo e non solo europeo, pur potendo richiamarsi ad illustri e considerevoli modelli tratti dal suo passato storico, possa e debba fare i conti soprattutto con quei Paesi emergenti, come ad esempio l’Indonesia, che pur tra immani difficoltà ed enormi problemi, con la loro profonda e antica civiltà, ma soprattutto con le loro odierne e avvincenti sperimentazioni istituzionali , si stanno rivelando laboratori politici e sociali di estrema importanza. L’Indonesia, pur essendo un Paese poco e mal conosciuto in Occidente e accusato di non contrastare adeguatamente il fenomeno del fondamentalismo islamico al suo interno, ha costruito e sviluppato un sistema politico basato su quello che potremmo definire un politeismo istituzionale. In questa Repubblica sud-est-asiatica lo Stato, costretto a confrontarsi in un vastissimo territorio con popolazioni di diverso orientamento non solo religioso, ha istituzionalizzato una indifferenza politeistica e laica, molto più laica della stessa Europa e della stessa America, proponendo una “religione” civile dello Stato e della cittadinanza a tutte le popolazioni che ne fanno parte.
Pur tra inevitabili contraddizioni e contrasti tra la maggioranza islamica e le altre minoranze indù, buddiste, animiste e cristiane, tale processo di modernizzazione e di laicizzazione politeistica procede, guardando avanti, valorizzando e avvalendosi di un passato metamorfico e dinamico che potenzia il misticismo islamico, l’estetismo indiano, la tolleranza buddista e il naturalismo animistico. In un contesto sociale in cui la donna, anche quando “velata”, gode di margini di libertà personale, anche se non codificata, maggiori che in Europa e America.
Ma torniamo in Occidente. E’ evidente , ci sembra, che a questo punto del nostro discorso se vogliamo intendere realisticamente la cittadinanza come effettiva apertura di carattere interculturale all’altro e al mondo essa deve confrontarsi sempre di più con un diritto che in larga parte è sempre più cosmopolitico come lo è sempre di più inevitabilmente il cittadino non solo europeo. E allora una domanda : cittadinanza nazionale, seppure europea o cittadinanza cosmopolitica ?
Negli ultimi anni le numerosissime prediche ideologiche su radici, identità e cittadinanza nel contesto della storia e della tradizione europea, anzi eurocentrica, a noi sembrano non ispirate da genuini bisogni storiografici e scientifici, ma da mal celati , profondi e ancestrali timori non solo ontologici : l’Europa, o meglio l’Occidente , potrà ancora essere al centro del mondo , dettare e imporre le sue leggi ?
Anche e soprattutto di questi timori e di queste assurde e pretestuose domande l’elaborazione di una nuova cittadinanza interculturale dovrà tener conto. Dietro queste domande si celano l’irruzione e l’irruenza sulla scena del mondo dell’Elefante indiano e del Dragone cinese. I perdenti di un tempo , ora vincenti, prorompono nel teatro del mondo per insidiare e contestare con la loro dirompente e straripante forza economica il primato occidentale. A portare alla ribalta dell’Europa e dell’Occidente il discorso sulla cittadinanza in qualunque modo intesa non sono i dibattiti scientifici , le disquisizioni storiografiche e giuridiche o le dispute ideologiche, ma i fatti nudi e crudi, brutali e spigolosi di uno sviluppo economico che non dimora più in Europa o in America, ma nel misterioso e impenetrabile Oriente. E dopo l’ultima recentissima crisi finanziaria è giocoforza che dallo “Scontro delle Civiltà” si passi al “Confronto delle Civiltà”. Se l’Europa e l’America intendono sopravvivere nella disputa mondiale, debbono necessariamente fare i conti con una rielaborazione della cittadinanza in senso interculturale che tenga presenti due direttrici del processo di globalizzazione ancora in corso : la forza rampante e travolgente delle economie asiatiche e il dialogo interculturale, due fattori indissolubilmente legati tra di loro. Anche perché il processo di impoverimento materiale e culturale dell’Europa può essere contrastato e superato solo da una educazione alla cittadinanza globale e interculturale che approfondisca, recepisca e diffonda la comprensione e la pratica dell’interconnessione planetaria.
Riferimenti bibliografici
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