“Lo scrittore venuto da lontano”, un racconto di Vincenzo Fiaschitello
Dopo un lungo viaggio, durante il quale aveva dovuto sopportare ogni sorta di disagio, dallo schiamazzo continuo di cinque ragazzetti che si accapigliavano senza tregua, alle urla di due contadini che discutevano su una questione di confini delle loro terre, finalmente Michele decise di aver raggiunto la sua meta quando il treno fischiando e sbuffando si fermò nella piccola stazione di P.
Raccolse il suo fagotto e scese dal treno. Si guardò attorno e, alla vista di un militare in divisa, si affrettò a svicolare fuori dalla stazione.
Una strada polverosa in salita portava verso il paesino. La percorse senza incontrare alcuno, finché giunse alle prime case. Una vecchietta seduta dinanzi all’uscio lo guardava con curiosità già da una certa distanza. Non appena le fu vicino, Michele la salutò e le domandò dove potesse trovare un alloggio per qualche tempo.
La vecchietta, felice di poterlo aiutare, gli diede tutte le indicazioni del caso.
La sera al bar della piazzetta, mentre alcuni giocavano a briscola, uno del gruppo di amici che stavano intorno, se ne uscì dicendo: “Sapete la novità? Abbiamo in paese un altro forestiero! L’ho visto dalla finestra e subito mi sono affrettato a scendere in strada per vederlo da vicino. Ha i baffi, è un giovane robusto, sicuramente un ottimo lavoratore!”
Volarono prontamente le domande, ma nessuno ne sapeva di più.
I giorni passavano in fretta e non si riusciva a sapere nulla del forestiero, fuorché il nome e la fattoria dove era andato ad alloggiare.
Severino era un ragazzino di circa undici anni. Correva per i campi nella buona stagione sempre scalzo a richiamare, con una verga che faceva schioccare nell’aria, quei tacchini che si allontanavano troppo e li rimandava indietro.
Con le pecore era più piacevole perché si riposava: le teneva a bada il suo cane bianco e lanuginoso come una pecora e lui se ne stava a sgranocchiare un pezzo di pane duro, accompagnandolo con il formaggio o suonando lo zufolo di canna che si era costruito da sé.
Non aveva amici della sua età, non era mai andato a scuola per cui non sapeva né leggere né scrivere. Però da quando in paese era arrivato da una terra lontana Hans, amava sfogliare le riviste che trovava sul suo scrittoio e osservare le illustrazioni di paesaggi a lui sconosciuti, soprattutto marini e di pescherecci carichi di ceste di pesci e lunghissime reti.
Hans lo affascinava con i suoi racconti. La sera, dopo cena, gli sedeva accanto e con naturalezza gli poneva delle domande, qualche volta anche imbarazzanti. Quando gli chiedeva perché fosse venuto in un luogo così lontano dalla sua casa o come avesse fatto ad arrivare fin là, Hans, sorridendo dava delle risposte vaghe, fantastiche.
Diceva: “Non puoi immaginare nemmeno com’è lontana la mia terra, com’è grande il mare che la circonda e com’è profondo! Un mattino, mentre me ne stavo tranquillo seduto su una roccia, vicino all’acqua, d’improvviso mi apparve una creatura bellissima e strana, una fanciulla dai lunghi capelli biondi. Ma, uscita dall’acqua, mi accorsi subito che non poteva camminare, non aveva le gambe. Al loro posto aveva una lunga coda di pesce. Per un attimo mi fissò negli occhi, guardò il cielo azzurro e scomparve. Capii che era una sirenetta”.
-Ma esistono davvero le sirenette? – domandò meravigliato Severino.
-Certo e, secondo me, vivono in fondo al mare.
-Come si chiama il tuo paese? -incalzò Severino.
-La mia terra è la Danimarca e io sono venuto qui, perché mi avevano detto che ero molto malato, che i miei polmoni erano rovinati e avevo bisogno di una terra inondata dal sole, come la tua.
Una notte non potevo respirare, non finivo mai di tossire. Mi alzai e aprii la finestra. Fuori c’era la luna e a un tratto vidi scendere dal cielo qualcosa. Man mano che si avvicinava, mi accorsi che era un tappeto e sul tappeto sedeva un uomo con un turbante in testa. Da ragazzo avevo letto molte storie di tappeti volanti, ma credevo che fossero solo fantasie. Quello, invece, era proprio vero e si fermò dinanzi alla mia finestra. L’uomo col turbante sorrise e mi disse di prendere subito la mia roba e salire sul tappeto perché mi avrebbe portato nel paese del sole. Così non mi feci pregare, presi un po’ di vestiario, i miei libri e le mie carte e salii su quel tappeto.
Viaggiammo tutta la notte. Al mattino un bel sole caldo e luminoso mi svegliò. Quando aprii gli occhi, vidi attorno a me i tuoi tacchini che mi guardavano con curiosità. Poi arrivasti tu, ricordi?”
Quando lasciò il suo paese, Hans aveva già una certa fama di romanziere e poeta. Ed ora che la sua salute migliorava, poteva attendere al suo lavoro con più tranquillità. Il suo piccolo amico Severino lo aiutava a guarire.
Con Michele, il giovane forestiero arrivato da poco e ospitato dal fattore in cambio di un aiuto nella stalla dei cavalli, Hans fece presto amicizia. Dapprima Severino se ne lagnò per gelosia, perché credeva che ora Hans lo trascurasse, poi invece se ne rallegrò perché si accorse che anche Michele era un tipo interessante e simpatico.
Se ne accorse anche la sorella, una ragazza graziosa e allegra di circa diciassette anni, che cominciò a guardare Michele con interesse.
Ogni volta che Michele la incontrava, le sorrideva sempre, scambiava qualche parola, sembrava ogni giorno meno taciturno e introverso.
Mentre di Hans, il primo forestiero, si sapeva pressoché tutto, di Michele non si riusciva ad avere notizie.
Si facevano le più strane congetture. Per qualcuno, da quando era arrivato Michele, un occhio di mistero aleggiava ad ogni crocicchio, ad ogni vicolo, ad ogni angolo di strada. Al bar, nelle botteghe, la gente sussurrava il suo nome, faceva sorrisi maliziosi e a volte anche scongiuri. C’era addirittura chi, per levarsi lo sfizio, aveva fatto ricorso a una fattucchiera, la quale di volta in volta, non sapendo che cosa inventare, diceva che si trattava di un nobile che aveva perso tutto al gioco e che infine si era adattato a fare lo stalliere, oppure che era un marinaio che aveva trovato un tesoro ed era stato costretto a fuggire, e via di questa passo.
Insomma la curiosità cresceva intorno a Michele.
Quando il fattore capitava in paese per fare qualche acquisto, chi con una scusa, chi con un’altra, gli si avvicinava, lo salutava e non mancava di chiedere notizie del forestiero sconosciuto. Ma il fattore si liberava presto di quegli importuni e tagliava corto dicendo: “Per me è un bravo stalliere, ci sa fare con i cavalli e questo mi basta. Non chiedo altro.”
Hans chiacchierava spesso con Michele. Lo ammirava per le sue premure verso i cavalli, che avevano imparato ad essere docili ogni volta che Michele si avvicinava.
Per vari giorni le conversazioni sui cavalli, sulle loro abitudini, sulle preferenze, sulle prestazioni, furono oggetto del loro amichevole rapporto di amicizia. Poi Hans cominciò a parlare di sé, della Danimarca, delle sue preoccupazioni per la salute, nella speranza che anche l’amico gli facesse qualche confidenza. Ma la riservatezza di Michele restò a lungo intatta.
Un mattino Michele apparve in groppa al suo cavallo preferito con un’aria allegra e un viso rilassato. La sera prima si era intrattenuto a parlare piacevolmente sotto la pergola della corte con Donata, a cui più volte aveva strappato lunghi scoppi di risa.
Sceso da cavallo, si sedette su una pietra e senza che Hans aprisse bocca, cominciò: “So che voi tutti siete curiosi di conoscere chi sono e da dove vengo. Ebbene, caro amico, mi confesso per primo con te che ti considero persona saggia e intelligente. Io vivevo in Sicilia, in una ricca casa di Palermo, al servizio di un nobiluomo. Guidavo il calesse del padrone, sbrigavo ogni incarico che mi veniva affidato. Vivevo bene e già pensavo di trovarmi una ragazza con la quale formare una famiglia. Un brutto giorno, però, accadde che il padrone morì all’improvviso, dopo aver consumato un lauto pasto. Si pensò subito ad un delitto e, prima ancora che i carabinieri terminassero le indagini, l’amministratore del palazzo e delle terre del padrone mi fece chiamare:
-Caro giovanotto, ho saputo proprio stamane che tutti i sospetti gravano su di te. Siccome io ti voglio bene come a un figliolo, ho pensato di aiutarti. Ecco qui un biglietto per imbarcarti sulla nave diretta a Napoli e una piccola somma di denaro che puoi utilizzare per raggiungere un paese lontano, dove nessuno ti conosce e iniziare una nuova vita.-
-Cercai di obiettare, balbettai; poi con una grande confusione in testa, presi il biglietto, il denaro, poche cose personali e mi recai subito al porto dove una nave era in partenza per Napoli.
Lo ammetto, la mia fu una grande ingenuità, ma avevo paura di essere arrestato, pur se innocente. E questo è tutto!
Ho passato lunghi mesi nel terrore di essere scoperto, nel rancore verso la persona che aveva causato questa mia triste sorte.-
Hans lo aveva ascoltato con grande attenzione e nel suo racconto aveva notato un tono di sincerità.
Dopo una lunga pausa, Hans gli disse:
-Io sono il tipo che non si arrende mai, amo la verità. Credo a ciò che mi hai raccontato e credo di poterti aiutare. Ho sempre desiderato raggiungere la Sicilia, questa è l’occasione buona per farlo. Andrò a Palermo e vedrò quel che potrò fare-
Hans fece le sue indagini personali per qualche giorno, chiedendo notizie con discrezione. E quando seppe che l’amministratore aveva ereditato denaro e proprietà del nobiluomo assassinato, si confermò ancora di più nella sincerità del racconto di Michele.
Qualche giorno dopo, andò a cercare il capitano dei carabinieri che al tempo dell’omicidio si era occupato delle prime indagini, dalle quali però, senza motivo, era stato estromesso e trasferito a Monreale.
Hans espose tutti i suoi dubbi e pregò vivamente il capitano di aiutarlo a fare riaprire il caso, affinché un innocente, che diceva di aver conosciuto casualmente in un paese del centro Italia, non venisse ingiustamente accusato del delitto.
Il capitano, dopo circa un mese di indagini serrate, riuscì a far trionfare la verità. L’amministratore e il suo complice, il cuoco, furono arrestati per aver procurato la morte del nobiluomo mediante avvelenamento. Il capitano chiese a Hans notizie sulla attuale dimora di Michele e telegrafò ai carabinieri di Napoli, perché invitassero l’interessato a tornare a Palermo per essere formalmente prosciolto da ogni accusa. Si premurò, inoltre, di fornire a Hans un verbale scritto nel quale si dichiarava l’innocenza di Michele.
Felice per aver risolto il caso, Hans si accinse a lasciare Palermo per far ritorno alla fattoria.
Sfortunatamente in quegli stessi giorni in paese cominciò a circolare la voce che i carabinieri cercavano un forestiero di nome Michele che doveva trovarsi da quelle parti. Non c’era alcun dubbio che si trattasse proprio dello stesso uomo che lavorava nella fattoria.
Quelle notizie, ovviamente allarmarono Michele, il quale, raccolte le sue cose, pensò di allontanarsi quella notte stessa. La mattina all’alba salì sul primo treno diretto a Napoli.
Aveva già preso la sua decisione. Con i risparmi accumulati in quei mesi di lavoro acquistò un biglietto di terza classe sul piroscafo che partiva per l’America.
Quando Donata apprese che Michele era partito, capì che non sarebbe più tornato. Fu presa da una forte crisi di pianto e per tutto il giorno nessuno più la vide perché si era chiusa nella sua stanza e non rispondeva ai richiami dei parenti.
Al tramonto del sole, mentre i suoi si preparavano per la cena, si raccolse i capelli con una forcina, si asciugò gli occhi, indossò il vestito della festa e, senza farsi sentire, uscì nella corte e come un automa si buttò nel pozzo. Da casa udirono il tonfo, corsero fuori e quando il padre si accorse del corpo della figlia dentro il pozzo, presa una scala e una corda, vi si calò e riuscì a portarla su. Tutti piangevano, ma Donata dopo poco aprì gli occhi, vomitò e disse con un filo di voce: “Perché non mi avete fatto morire?”
Alcuni giorni dopo, ritornò Hans. Non appena seppe del terribile equivoco che aveva fatto fuggire Michele e della tragedia sfiorata di Donata, fu preso da malinconia e per diverso tempo non disse nulla di ciò che aveva scoperto a Palermo. Aspettava che Donata si riavesse completamente dal colpo subito. Ma la ragazza non migliorava, né guarì mai del tutto. La sua mente era come assente e spesso passava i suoi giorni senza dire una parola.
In un momento di lucidità ascoltò e comprese quel che Hans aveva da dirle su Michele. Anzi, benché non sapesse leggere, volle conservare il verbale del capitano dei carabinieri che attestava l’innocenza di Michele e alcuni fogli di appunti di Hans.
Dopo le fatiche del viaggio in Sicilia, Hans si sentì male. La sua salute andò peggiorando di giorno in giorno. Spesso la sera con la tosse emetteva anche sangue dalla bocca. Il medico che lo visitava, un giorno disse che non sarebbe durato più di un mese.
Morì il primo giorno di primavera, quando la natura si risvegliava e apparivano le prime margherite nei prati.
Cinquant’anni dopo, in quei luoghi la terra tremò con violenza. Una nipote di Donata che dormiva nella stessa stanza che era appartenuta a lei, si svegliò terrorizzata. La casa resistette alla scossa di terremoto, ma fece cadere qualche intonaco dalle pareti e alcuni vecchi oggetti da un armadio.
Al mercatino di un paese del basso Lazio, tra vecchie cartoline, vecchie riviste dell’inizio del ventesimo secolo, medaglie e monete fuori corso, una domenica mattina comprai un pacchetto di lettere annodate con un fiocchetto di seta rossa scolorita. Erano lettere scritte da un giovane soldato alla sua fidanzata. In mezzo trovai anche alcuni fogli di quaderno piegati e ingialliti. Li lessi con curiosità: erano scritti a caratteri minuti in un italiano comprensibile, ma incerto nell’ortografia e nella sintassi a firma di Hans Bruger.
Erano gli appunti di una storia vera per un romanzo che lo scrittore venuto da lontano non ebbe il tempo di scrivere.
Vincenzo Fiaschitello
Nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.
E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.
Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).
Vincitore della XXXIX edizione (2023) del Premio dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli e della rivista internazionale “Nuove Lettere” per la raccolta edita di racconti “Ginevra, racconti storici e non”, Avola, Libreria Editrice,Urso, 2021.
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana (1997).