L’Italia del XXI secolo…
di Eliano Bellanova
E’ passato più di un secolo di distanza dagli eventi del Primo Conflitto Mondiale e del periodo immediatamente successivo, il mondo vive un’era pregna di contrasti e di cambiamenti.
Intanto è necessario stabilire dei punti fermi, credo indispensabili in un universo che privilegia un “coacervo” di parole vaghe e spesso senza senso.
Nelle trincee della Prima Guerra Mondiale si distinguono due fasi essenziali.
La prima è quella che inizia il 24 maggio 1915, quando l’Italia neutrale (e prevalentemente neutralista) entra in guerra contro l’Austria-Ungheria. Essa si protrae fino alla sconfitta di Caporetto (ottobre 1917), in cui si rivela poco redditizia la condotta bellica di Luigi Cadorna, che già fin dalle prime fasi dell’avanzata austro-tedesca ricorre a toni catastrofistici e a locuzioni denigratorie nei confronti del Generale Capello, responsabile della II Armata e vittima in quei giorni di un attacco di nefrite, per il quale era stato poco prima costretto al ricovero ospedaliero.
Il vignettista Boschini ritrarrà in uno schizzo il soldato italiano caduto e lacrimante con baionetta ed elmo deposti al suo fianco sinistro, come simbolo della disfatta.
Mentre Luigi Cadorna aveva concesso 120.000 licenze, in quanto presumeva che l’attacco non avrebbe avuto luogo o avrebbe avuto luogo nei tepori della dolce primavera, diversamente disponevano il Generale tedesco Von Below e i Generali austro-ungarici Arz, Conrad, etc., i quali sorpresero gli italiani dopo un concentrico e cadenzato fuoco di artiglieria, che consentì al giovane Capitano Erwin Rommel (la futura “Volpe del Deserto”) di aprire una breccia nello schieramento italiano, facendo ben 10.000 prigionieri.
Caporetto è il momento peggiore della guerra per gli italiani, che, dopo la conquista di Gorizia, avevano creduto in un’evoluzione positiva delle operazioni.
Tuttavia, dopo lo sbandamento iniziale e lo “stordito” telegramma di Luigi Cadorna a Roma, in cui assume che “taluni reparti della II Armata si erano vilmente ritirati senza combattere”, implicitamente accusando di imperizia “l’odiato” Capello – l’Italia si ritrova in un clima di fratellanza e compattezza insperate.
La seconda fase della guerra data dalla sostituzione di Luigi Cadorna, con uno sconosciuto Ufficiale originario del napoletano e che, a causa del suo nome, lascia supporre ad alcuni commentatori che sia di origini straniere.
Qualcosa di vero c’era, poiché gli ascendenti del Generale Armando Diaz erano di origine spagnola e si erano stabiliti nel napoletano all’epoca della dominazione spagnola, sopravvenuta in seguito alle lunghe guerre fra Carlo V d’Absburgo e Francesco I di Francia.
All’epoca del Primo Conflitto è, però, un cittadino italiano a tutti gli effetti. Nativo di Mercato Sanseverino, nel Salernitano, è stato a lungo conteso con Napoli, che ne rivendicava l’origine. Campanilismo alla vanga, come nel caso delle omonimie: se un uomo di genio o un potente hanno il nostro nome, sono familiari o parenti stretti; se sono imbecilli o morti di fame, non ci appartengono nemmeno per un “coccio”. È quindi “logico” che l’aspra contesa fra il piccolo centro salernitano e la capitale partenopea avesse luogo.
Nel momento in cui (8 novembre 1917) Armando Diaz assume il comando è quindi il napoletano che “rende la pariglia” a Luigi Cadorna, che è nativo di Pallanza e finirà i suoi giorni a Bordighera.
Per Cadorna il soldato del Sud è un soldato di serie cadetta, il contadinotto che abbandona le sue contrade in cerca di avventura, pur se tale avventura si identifichi con la guerra e le sue funeste conseguenze sul campo di battaglia. Il padre di Cadorna, Raffaele, era stato un uomo d’armi, il cui nome riconduceva a Porta Pia e, ancorché poco gradito a vertici politici e militari e subentrato a Pollio soltanto per la prematura scomparsa di costui, è “un nome” di prestigio. Altero, austero, severo, solido e asciutto, con le spalle alzate, senza un sorriso e una battuta amena, egli è la personificazione del Generale sabaudo di scuola piemontese.
Tuttavia, contrariamente alle asserzioni dei detrattori e dei “nemici italici”, è un uomo colto, fine, distinto, impeccabile e preparato. A fronte di queste doti innegabili, è per i soldati, i Sottufficiali e gli Ufficiali, l’uomo incomunicabile e inavvicinabile, che rimane in buoni rapporti solamente con se stesso.
Per Cadorna l’Arma con cui comunicare è quella di Cavalleria, dove “si annidano” Ufficiali di vecchia scuola provenienti dalle caste nobiliari e dalla grande cadetteria esclusa dai diritti di primogenitura.
Diverso, profondamente diverso è Armando Diaz. Buon comunicatore, in ottimi rapporti con i politici al Governo, migliore psicologo, con una dimensione umana gradita a tutti gli interlocutori. E se non è un Napoleone italiano, certamente non è uno sprovveduto.
I rapporti fra Cadorna e Giardino e Alfieri, Salandra e Boselli, erano stati poco felici. Quelli fra Diaz e i superiori sono invece ottimi.
Diaz provvede a migliorare le condizioni della truppa, opta per una tattica meno dispendiosa, è alieno dagli attacchi centrali e all’arma bianca, in cui erano stati ingoiati tanti giovani italiani.
Nelle trincee arrivano i giornaletti (La Ghirba e La Giberna e altri, nonché le prime riviste pornografiche, che oggi sarebbero giudicate da sacrestia), le prostitute (sotto stretto controllo sanitario) e le compagnie teatrali. Cose, oggi ritenute di poco conto, che all’epoca sono innovazioni importanti…
Fra gli indiziati per la sconfitta vi è Pietro Badoglio, il futuro successore di Benito Mussolini dopo il 25 luglio 1943. Fa parte dei sei Alti Ufficiali sottoposti a inchiesta: Cadorna, Porro, Capello, Bongiovanni, Cavaciocchi e appunto Badoglio.
Badoglio, assolto da ogni capo di imputazione, è nominato sottocapo di Stato Maggiore e diviene artefice di quasi tutti i piani bellici. La sua carriera sarà luminosa e la sua popolarità non si estinguerà neppure dopo la caduta del Fascismo.
Il triumvirato Diaz-Badoglio-Giardino, non trascurando Caviglia, condurrà l’Italia alla vittoria.
A livello politico il Governo Boselli accusa la sfiducia e Vittorio Emanuele Orlando forma un nuovo Gabinetto, in cui ha grande rilievo Sidney Sonnino.
In questa nuova dimensione l’Italia cura più assiduamente i rapporti con gli Alleati, mentre Cadorna scompare progressivamente dalla scena. Accudirà a un importante memoriale: “La Guerra Sulla Fronte Giulia”.
Quando si finisce di “fare la storia” si scrive la storia…
A livello di popolo l’Italia si ritrova. Trae dal suo seno insperate energie. Caporetto ha messo fuori combattimento la metà dell’Esercito Regio.
Sembra impossibile riprendere le operazioni. Eppure le Armate italiane resistono sulla linea del Piave, sull’onda della celebre canzone di Gaeta, alias E. A. Mario.
È l’Italia del Piave… che fa dimenticare quella di Caporetto.
Diaz ispeziona le truppe e comunica con i soldati.
Mentre gli Ufficiali di complemento erano stati scelti da Cadorna in base all’istruzione, Diaz opta per la capacità bellica, indipendentemente dall’istruzione scolastica. È una svolta importante, che consente che non vi sia più un grande distacco fra “capitani” e soldati. Si riscopre, tout-court, la fraternità universale.
Da Caporetto nasce, insomma, l’Italia unita, sebbene in seguito si sviluppino il nazionalismo e l’imperialismo, i frutti maligni di Vittorio Veneto…
Alla fine della guerra l’epidemia di “spagnola” compie una falcidia epocale.
Pur tuttavia la nazione resta unita e compatta e la gente stringe rapporti di maggiore amicizia e solidità. Di fronte al pericolo, successivo alla guerra, si trova un’Italia forte, seppur provata e in difficoltà. La teoria dell’untore di manzoniana memoria, è sostituita dalla ricerca del bene comune.
È una nazione povera, ma con una dimensione umana, l’Italia del primo dopoguerra… I soldati hanno sottoscritto polizze assicurative da mille lire, gli Ufficiali da 5 mila lire. Non tutti ne faranno buon uso… come sempre succede, ma tutti sanno che “devono ripartire” uniti e compatti.
A capo della compattezza si pone il Fascismo, che governerà la nazione per venti anni, che si chiuderanno con il disastro della Seconda Guerra Mondiale.
Certo… questa è un’altra storia. Ciò che esaminiamo in questa sede è la caratteristica di una nazione che ritrova se stessa, nella miseria, nella volontà di crescere, nell’opporsi al destino avverso.
A distanza di un secolo assistiamo al fenomeno “coronavirus”, pandemico o epidemico che sia…
Dal crollo della Prima Repubblica l’Italia ha fatto “passi avanti” verso la disgregazione nazionale. Sono crollati i partiti politici tradizionali, ne sono sorti altri e più numerosi e, per giunta, privi di un “corrispettivo ideologico”.
In un evento disastroso, come Caporetto, l’Italia fece ricorso ai “Ragazzi del ‘99”, le giovani reclute diciottenni che colmarono i vuoti e raggiunsero i veterani nelle trincee. Un contributo epocale. Se leggiamo nomi di vie dedicate a “Ragazzi del ‘99”, è perché giovanissimi soldati furono arruolati in fretta per dare una mano alla Patria in pericolo.
Oggi di quell’Italia cosa esiste? Nulla… Solo la cultura dell’odio, l’odio di classe assurdo, un “dai all’untore”, la malignità sociale, la disgregazione, il menefreghismo, l’egoismo, il “si salvi chi può”, la fuga dal prossimo, gli occhi iniettati di disprezzo per i propri simili, le scritte ipocrite tipo “io resto a casa”, “almeno un metro di distanza”, “lavatevi le mani” e, proprio in questo luogo da cui oggi scrivo, un insultante, irridente e irriverente “scritto”: “Gli italiani hanno imparato a lavarsi le mani.
Ora lavatevi le ascelle”. Così è scritto all’ingresso di un pubblico esercizio. Non è un “osservare le regole” (per giunta neppure credibili), ma un denigrare in modo occulto e pernicioso il prossimo, carichi e depositari di un odio insito e connesso al popolo italiano della Seconda Repubblica, ma anche presente nelle classi al potere.
Il minaccioso monito del Presidente del Consiglio a proposito dei presunti assembramenti “altrimenti vi chiudo in casa”, attesta che quanto a democrazia siamo alla frutta, e, per giunta, siamo complici “assurdi” e incoscienti del declino e della morte della libertà.
Diaz, Giardino, Badoglio, Orlando, Sonnino e anche Vittorio Emanuele III, seppero trasformare una sconfitta in vittoria. Gli attuali governanti hanno saputo trasformare un evento avverso (sul quale si dovrebbe far luce) in un disastro sociale, economico e morale, che si ripercuoterà su molte future generazioni.
Saremo colpevoli di fronte all’umanità e un giorno saremo giudicati come criminali dell’umanità. Ciò accadrà quando vi sarà più luce sui fatti occulti e patenti e quando le passioni e i dissensi, di cui siamo soggetti consapevoli o inconsapevoli, cederanno il passo alla serenità, all’obiettività, al buon umore.
Eliano Bellanova