Liriche “Il barocco di Noto” di Vincenzo Fiaschitello
Viaggio in treno merci da Palermo a Noto
La luce di lanterna all’acetilene
andava e veniva secondo il passo
greve del ferroviere, illuminando
e cancellando i nostri volti
tra il sonno e la paura.
Scorrevano prati di luce lunare
e si udiva il mare scagliarsi
contro le rocce sospinto dal vento
di scirocco. Attorno a me una capra
m’avvolgeva nella sua bionda
lanugine, finché il mattino
rischiarava i nostri occhi stupiti
di trovarci ancora in vita.
Fermo il treno per interminate
ore nella sperduta campagna
mentre il sole fiammeggiava
sui carri arroventando i pensieri
di chi si sentiva sopravvissuto.
Una minuscola tazza di latte
passava di mano in mano fino
a raggiungere a turno ogni bambino.
Tornava tranquilla la capra sul carro
dopo aver brucato l’erba attorno
al palo del telefono al quale
il padrone l’aveva legata
per quella sosta prolungata.
E penso ai miei spersi compagni
E penso ai miei spersi compagni
di una generazione che non restò,
che rifiutò i vicoli, i palazzi
e le deserte scenografiche scalinate.
Rimasero sempre gli stessi?
A me un grumo interno feriva l’anima
e pur riconoscendo che ero lo stesso
sempre credevo di essere qualcun’altro!
E penso a quei pochi che non cedettero
alle lusinghe di un allettante lontano.
Ti ho presente ancora oggi immagine
della tua mole principesca, Palazzo
Landolina, mio primo ricovero
dopo il fuoco della guerra.
Quella notte senza luna né altra luce
ci accolse l’oscurità dell’immensa
scala agglutinata alle nere blatte
che già si dileguavano al primo
lampo di un fiammifero.
Si fuggiva dalla paura e dalla fame,
il nostro destino si intrecciava
a esistenze antiche e a luoghi più sicuri
non più battuti dalla mitraglia nemica.
I balconi di Palazzo Tasca a Noto
E’ qui che il pensiero della vostra
inesistenza mi turba il cuore,
qui lungo questa via che di lontano
guarda il mare e ci vide insieme
affacciati ai balconi di Palazzo Tasca.
Più non verrò a visitarvi fantasmi
che ancora vi aggirate tra questi tetti
risparmiati dal tempo.
Una vena d’aria fresca nell’afoso
pomeriggio rompe il letargo di pensieri
vaghi e sospesi per via Mauceri
che ansimando salendo vado,
quando allegramente la bimba che
mi accompagna mi domanda:
“Era qui che abitavi da fanciullo, nonno?”
Gonfio è il cuore, fornace dove ardono
i volti e i modi d’essere di coloro che
sono passati, l’uno dopo l’altro, al supremo
eterno confine senza confini.
Pur nell’intima desolazione, l’incanto
di quella voce mi riporta al sereno
e l’indice rivolgo alla finestra dalla quale
filtravano i primi raggi di sole sulle
pagine che avidamente leggevo
mentre mi disvelavano verità e passioni
per quel viaggio che dura ancora.
Il pensiero dell’eternità
Ospitano tra le loro volute di pietra
delusioni, passioni, sogni e gli eventi
di genti vissute tra quelle strade,
i mascheroni che sorreggono
i balconi di Palazzo Nicolaci.
Il vento periodicamente li svuota
e tutto ricomincia.
Quei leoni, cavalli alati e sirene
pettorute, a caccia di eternità,
quei pinnacoli, quelle finestre di conventi
dalle ferree grate panciute, forse,
chiudevano disfatti pensieri di clausura
e desideri di repressa mondanità.
Frequentai la gioia
dell’adolescenza in quel luogo
mirabilmente rinato dal terribile
evento di morte e di dolore,
dove Sinatra, Labisi e altri
valenti architetti costruirono
con impareggiabile genialità.
Al ricordo di tale luce senza confini
da noi ereditata, il cuore trema
non certo per viltà, ma per la follia
della guerra che minaccia la bellezza
e rode il pensiero dell’eternità.
Il barocco di Noto
Mia città, com’eri silenziosa in altri
tempi nella tua regale solitudine!
Ora sei altra, punteggiata da ombre
innumerevoli che arrivano, gustano
e ammirano quel che ancora non è guasto.
Per nulla intimorito, il cuore addensa
le segrete sue risorse, respinge questo
presente e dà sfogo alla memoria.
Poi non sa frenarne l’inarrestabile volo
come di stormo di rondini radenti
il suolo bagnato dalle recenti piogge.
Vivi di un tempo, che con me vedeste
le sacre pietre del barocco netino
farsi d’oro nell’ora del tramonto,
anche voi forse pensate che la nuvola
di umani d’altri luoghi possa corrodere
la fragile bellezza di quelle forme irripetibili?
Fatto ho i conti con la mia infanzia
Fatto ho i conti con la mia infanzia
diffusa in lieve nebbia
con l’odore di cotogna e di castagna
dell’amato ottobre che sa di scuola.
Lei mi mesce il bene
come rosso vino che avvampa occhi
e gote e tutto mi riesce liscio, in alto
spinto da misteriose ali.
Allontano il passato di una infanzia
che tarda a morire e trovo il giusto
che pur vive nel male e nel dolore.
Affondo il cuore nel mare di tristezza
se d’improvviso un pensiero di viltà
o di mancato amore, a lungo covato
nel mio nido d’orgoglio, si risveglia.
Infine so che il male mi dà certezza
del bene, come la morte mi rassicura
che c’è la vita.
Vincenzo Fiaschitello
Nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma dall’anno accademico 1965/66 al 1973/74. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.
E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.
Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana (1997).