L’invisibile che ha sconfitto la dittatura dell’apparire
di Maria Rita Bozzetti
Prima del marzo 2020 l’ostentazione della propria immagine, vera o «costruita», era il biglietto da visita con cui presentarsi agli altri. La pandemia ha messo in crisi questo criterio riportando a galla chi se lo merita e facendoci riscoprire persone precedentemente ignorate.
Tra poco è Natale: il mistero del Dio che prende forma di un Bambino, dell’Invisibile che prende la nostra carne, interrogherà il cuore, anche in questo tempo di Covid19 e noi cercheremo una risposta.
Prima, in un periodo che ora pare felice, il visibile era il nostro padrone: noi stessi eravamo schiavi di come potessimo apparire, non interrogativi di cosa fossimo, o dentro come fossimo.
Un’immagine serena e carica di ottimismo, corroborata da una volontà di acciaio, era il biglietto da visita che si cercava di mettere su ogni curriculum, facendo capire che quello che appariva era il nostro io, o quello che si cercava di mostrare, pur non essendo tale.
Un’era dell’ostentare: la ricchezza, la bellezza, autentica o costruita, le
capacità professionali, spesso condensate in un elenco di master tutti rigorosamente visibili e molto altisonanti.
Anche l’amore andava mostrato, e giù come pazzi sui social, caricando
di foto anche il tempo dell’altro.
Nulla alla fantasia: tutto andava fotografato per sottolineare la veridicità, tutto visto e quindi tutto vero. Ciò che cade sotto i nostri occhi è la realtà, ciò che non esiste per i nostri occhi non esiste per la nostra mente e il nostro cuore.
Questi eravamo noi prima del marzo 2020, quando improvvisamente la morte di genitori, parenti e tanti amici ci ha costretti a fermarci, a soppesare che eravamo circondati da un nemico che i nostri occhi non potevano vedere. Un nemico invisibile, ma così vero da strappare via gli affetti più radicati.
Un non visibile così presente da chiuderci a casa, da annullare ogni esibizione che non sia quella ridotta in un iPhone o in una videoconferenza;
un modo di lavorare in cui domina solo chi conosce il suo lavoro, senza bisogno di rigonfiamenti o aggiustamenti visibili della propria carriera.
Chi sa parlare, può farlo, chi aveva bisogno del suggeritore si trova spiazzato: ecco come l’invisibile persona preparata emerge dall’ombra del suo carattere a volte timido ed emerge, ciò che non si vedeva perché non si mostrava, ora si vede e laddove c’erano fuochi fatui si è trovata solo cenere, spazzata via in un angolo.
Siamo nel periodo della rivincita di ciò che è nascosto perché preferisce le vie oscurate, gli ingressi di seconda importanza: ora conta solo saper fare e non quello che viene reclamizzato di saper fare.
E così chiusi in noi abbiamo ritrovato pezzi di noi rovinati dalle battaglie perse contro un consumismo di faccia, contro la cultura che si proclama tale solo nel libro che si vende e costruisce imperi economici.
Abbiamo smesso di ipotizzare un mondo che ci vedeva centro e gli altri spinti fuori dal nostro isolotto di egocentrismo esasperato.
L’altro, quello sconosciuto che sta sul pianerottolo di casa è divenuto improvvisamente importante, il suo sorriso ci conforta anche per il futuro, nel caso avessimo bisogno.
Già perché ora abbiamo imparato a pensare di poter aver bisogno dell’altro: sono caduti gli scenari del successo, dell’affermazione personale, e ci siamo ritrovati con la vera faccia nostra di fragili creature in balia di uno sconosciuto virus. Tutti quelli che abitano a noi vicino, che incontriamo alla spesa, tutti sono amici, perché dividono le nostre esperienze di umanità fragile e sconfitta.
Che bello poter parlare anche con il diversamente abile e accorgersi ora che sempre ci ha sorriso, ma ora il suo sguardo è per noi ancora più importante,
perché ci siamo accorti della sua umanità che è anche la nostra.
Così con i capelli imperfetti, i viso poco aggiustato, il vestiario essenziale e senza voglia di stupire ed emergere, ecco così vogliamo vivere sapendo che
esiste un invisibile molto forte che ci uccide e impariamo a sentirci meno padroni e a convivere solo con il concetto assoluto di morte.
Abbiamo ritrovato il piacere di interrogarci e di restare muti, di attendere dal domani risposte, di provare ad ascoltare anche l’invisibile che dentro di noi spesso si presenta come un reale, a-materico, ma non meno reale del mio io.
Anche al virus spesso parliamo chiedendogli di stare lontano. Abbiamo ritrovato un modo di relazionarci che non crede reale solo il visibile e quindi un modo meno sicuro di sé, meno certo delle proprie certezze,
più interlocutorio con tutti, e più umile da il pensiero dell’altro come vero, come oggetto di discussione, ma mai come a priori sbagliato.
L’amaro della terra sconfitta ha donato, forse nella bilancia della vita, di
poter gustare il sapore dolce che ci coglie davanti a un’alba o a un tramonto, frastornati da pulsioni meravigliose per un mondo che
gira intorno nella sua infinita bellezza; e ci porta ad accettare la
nostra dipendenza dal Tutto, il Dio Bambino che ci sovrasta e
sentire che ci ama.