L’intramontabile fascino della poesia
di Vincenzo Fiaschitello
Negli anni giovanili, quando scrivevo poesie come tanti altri della mia età, ricordo che nel corso delle mie letture mi imbattei in un paio di affermazioni che mi colpirono particolarmente.
La prima: tutti poeti, nessun poeta.
Era un detto diffuso nei discorsi quotidiani che un noto critico letterario volle prendersi la briga di commentare. Sosteneva, infatti, con semplicità e autorevolezza, che era del tutto naturale che ciascuno volesse esprimere liberamente i propri sentimenti e le proprie emozioni, ma che invece non fosse accettabile l’ambizione errata di farsi largo nel mondo dell’ufficialità letteraria, senza possedere una cultura e senza avere conoscenza di come altri, che ci hanno preceduto, hanno saputo comunicare liricamente emozioni e vitalità interiore attraverso la padronanza di mezzi tecnici adeguati.
La seconda affermazione fu quella di Montale, il quale diceva che dopo i poeti della sua generazione sarebbe stato impossibile scrivere altra poesia. A me sembrò subito una espressione raggelante e comunque azzardata, molto simile a quella che si disse per la filosofia hegeliana e cioè che dopo Hegel e il suo Assoluto non ci fosse più alcuna strada percorribile dalla ragione umana. In realtà la ricerca, come era giusto aspettarsi, andò avanti!
Così è stato anche per la poesia, che ha trovato altre modalità, al di là di ciò che è stato l’ermetismo, l’avanguardia e il dopoavanguardia. Al di là delle formule e delle mode, infatti, occorre partire dalla consapevolezza che la poesia è indispensabile nel nostro vivere quotidiano. Essa contribuisce ad addolcire non poco la fatica del vivere, a condizione però che sia genuina, sincera, che tocchi nodi esistenziali profondi, purtroppo spesso rimossi dalla vita dei nostri tempi; a condizione che rimanga fedele a un’etica, a temi che riguardano la commossa vita interiore dell’uomo; a condizione che non nasca da un pensiero vuoto e alienato.
Per quanto riguarda la prima questione, padronanza dei mezzi tecnici, credo che sia fondamentale concentrare l’attenzione attorno al problema della lingua, che in larga parte è ciò che fa la differenza. Pascoli soleva dire che poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra, ma che nessuno sa dire. Ciò non significa che il poeta debba essere volutamente oscuro e difficile, ma che è sempre alla ricerca di parole più acute e più forti, di parole rivisitate, lucidate e riscoperte nel mistero che spesso racchiudono. Non si può tuttavia non riconoscere che nonostante il massimo impegno di essere chiaro, ogni poeta porta sempre con sé una quota di “silenzio”, che a volte lascia perplessi. Aggiungerei senza esitazione che questo favorisce il lettore più che danneggiarlo, nel senso che gli si concede spazio non solo per accostarsi ai sentimenti espressi dal poeta, ma anche per richiamarne altri dei suoi, simili a quelli.
Ecco perché è sempre problematico spiegare una poesia.
Il poeta greco Ghiannis Ritsos scriveva: “Ci sono versi – a volte intere poesie – /che neanch’io so cosa vogliono dire. Quello che non so/ mi trattiene ancora. E tu hai ragione a chiedere. Ma non/ chiedermelo/. Ti ho detto che non so”.
Più recentemente il filosofo Jacques Derrida esprime lo stesso pensiero quando scrive che la poesia deve correre il rischio di mancare di senso, perché senza questo rischio non è poesia.
E’ importante ricercare la parola “giusta” per esprimere quel che sentiamo dentro, affinché il bello cui aspiriamo sia sempre più bello. Nello Zibaldone di Leopardi abbiamo la prova di come quel genio poetico fornito di smisurata cultura, con umiltà andava a ricercare e a riflettere su singole parole e a capire come potessero essere poeticissime o meno. In quella specie di enorme quaderno di appunti scriveva per esempio: “Le parole notte, notturno, oscurità, profondo…lontano…antico…le parole arcaiche come ermo, ostello, verone, donzelletta…sono poeticissime”. Il motivo principale era che queste parole che nascono dal vago, dalla indeterminatezza, suscitano immagini e ricordi poetici. La poesia racchiude l’enigma della parola. L’arte va a toccare la profondità della parola, la sua oscurità, il suo abisso, che solo il poeta può conoscere. La parola, magari svuotata di valore per il continuo uso nel parlare quotidiano, riprende luce e nuovo significato nel verso in cui è collocata dal poeta. Essa tolta dal circuito di utilizzazione originale e inserita in spazi erroneamente ritenuti impropri e inappropriati acquista sorprendentemente una memoria semantica. Così che in quella particolare posizione la sentiamo vibrare, senza tuttavia far venire meno l’attenzione agli effetti del senso e alla capacità di impostare nuovi possibili rapporti conoscitivi.
E’ evidente che la ricerca non è tutto; la poesia si sostanza con le passioni e con le idee della vita: gioie, mancanze, dolori, conquiste, amore, morte, sono tutti temi che appartengono al grande gioco della vita. Il poeta è colui che sa trarre dall’umano ciò che appartiene alla perfezione e dall’effimero solo quel poco che richiama l’eterno. Ecco perché la poesia non può estinguersi, continua finché l’uomo viaggerà sulla terra. Compito e ruolo della poesia è ricordare l’umanità dell’uomo. Essa non può dunque prescindere da un pensiero, per cui può essere avvicinata alla filosofia, senza però creare confusione.
Il pensiero filosofico si serve del linguaggio per argomentare, per riflettere: il suo dovere è di giungere a una conclusione, ha la coscienza della potenza dell’episteme, della scienza e ovviamente riflette anche sulla poesia, evidenziando il proprio limite rispetto a quella.
Il pensiero poetico ha un suo procedere e un suo linguaggio che si sprofonda nell’abisso di ogni parola, in quella oscurità misteriosa che risveglia in noi emozioni e sentimenti, non destinati affatto a conclusioni razionali, come avviene per il discorso logico. Il linguaggio poetico che, come scrive Andrea Zanzotto, è qualcosa di sacrale, cerca di “indicare”, non arriva a definire e concludere, mostra come nessuna parola può essere la cosa: la rosa è la rosa, ma è anche qualcosa d’altro. E il poeta è colui che sperimenta e entra nella oscillazione dei significati. Non ha nulla di preciso da mostrare, nulla da sistemare in un ordine. Discute con l’imprevedibile, da cui invece rifugge la ragione filosofica. Volgendosi verso il reale, il poeta scopre mille sfumature, è l’umile raccoglitore di briciole della realtà che si affollano attorno alla sua fantasia, innumerevoli segni segreti dell’universo, che emergono dalla ancestrale notte da cui proveniamo. Sono questi segni che sollecitano a comporre parole che ci avvicinano a ciò che ci oltrepassa. La complessa sfaccettatura delle parole conferma che si è ben distanti dal pensiero filosofico e contribuisce altresì ad evitare una forma di oracolità, di declamazione di sentenze inappellabili, presenti in certe poesie contemporanee cariche di presunzione, perché dichiarate quasi messaggi degli dei immortali. La vaghezza, l’indeterminatezza, la logica non logica della parola poetica giocano un ruolo fondamentale nel far sì che il dolore, l’angoscia, la paura, la gioia, il sorriso, presenti negli eventi del passato, liberino dalla ruggine ciò che è stato, per disporlo sull’altare della sacralità poetica, che trascende ogni manchevolezza, al di là dell’aspetto nostalgico e consolatorio.
In conclusione si può dire che la poesia continua ad avere ancora oggi un posto privilegiato nel vasto campo della cultura. E’ vero che i poeti non hanno mai governato una repubblica, come ha scritto Maria Zambrano; è altrettanto vero che la poesia non riesce a fermare i carri armati, i terribili bombardieri, le guerre, i genocidi, ma ha la capacità di rendere sensibili agli uomini di ogni tempo i pensieri e i sentimenti di chi soffre, di rendere visibili attraverso gli occhi dell’anima le ingiustizie, il malgoverno, i soprusi, la morte della libertà. Ernst Cassirer ha fatto notare in un suo splendido saggio filosofico che siamo abituati a dividere la vita in due sfere: la sfera della attività pratica e quella della attività teoretica. Questa divisione ci ha fatto dimenticare che sotto all’una e all’altra vi è uno strato più profondo, un substrato originario, che solo il poeta riesce a intercettare mediante una visione né puramente pratica, né puramente teoretica, ma “simpatica”, la quale assicura in massimo grado la condivisione con gli altri.
Vincenzo Fiaschitello è nato a Scicli, risiede a Roma dall’età di venti anni. Dal 1969 docente di ruolo di storia e filosofia nei licei statali; dal 1974 direttore didattico, preside e dirigente scolastico fino al 2006.
Ha svolto per un ventennio attività di docente nei corsi biennali post-universitari
È autore di vari saggi sulla scuola e collaboratore della “Enciclopedia italiana della pedagogia e della scuola”, in 6 volumi, diretta da M. F. Sciacca (Roma Curcio 1971), prima enciclopedia pedagogica del dopoguerra in Italia.
Selezionato nel Concorso Letterario “Libri Di-Versi in Diversi Libri” indetto dalla Libreria Editrice Urso di Avola: IV-V-VI-VII-VIII-IX-X -Edizione.
È autore di parecchie pubblicazioni in versi e in prosa.
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana ( 2 giugno 1997 ).