“L’insostenibile pesantezza del prima”
di Riccardo Rescio
Partendo dal noto adagio ‘si stava meglio quando si stava peggio’, passando attraverso l’altrettanto famoso ‘non ci sono più le mezze stagioni’, fino ad arrivare a dichiarazioni come ‘non è più come prima’ e ‘allora sì che si stava bene’, potremmo osservare un’infinita serie di nostalgie inutili e banali che sembrano ripetersi senza fine.
I media, da parte loro, non fanno altro che rinforzare queste percezioni, presentando il ricordi del ‘prima’ come se fosse una sorta di età dell’oro ormai perduta.
Paradossalmente, compassione e commiserazione sembrano aver preso piede nel nostro paese come vere e proprie strategie di comunicazione.
La sensazione che se ne ricava sembra essere la strana gratificazione nel constatare che il proprio malessere, possa essere comune e diffuso.
Chi soffre di questi malesseri spesso cerca la commiserazione, vista come suprema conferma del proprio stato di disagio.
Ed è proprio in questo contesto che i media di ogni tipologia giocano un ruolo determinante nell’esasperare il comune sentire.
Piuttosto che interrogarsi sul loro scopo fondativo, che è quello di informare, fornendo notizie accurate, spesso alimentano una narrativa di sensazionalismo, una sorta di moderno passaparola, che in ogni passaggio inevitabilmente altera il precedente, ma il giornalismo dovrebbe essere tutt’altra cosa.
Invece di elevare il dibattito pubblico e fornire strumenti utili per la comprensione della realtà, si preferisce alimentare l’onda del lamento collettivo. Così facendo, l’informazione si riduce a un mero meccanismo di soddisfacimento dei bisogni indotti, piuttosto che reali.
Il postulato su cui si basa questa pseudo comunicazione contemporanea sembra essere quello di dare alle persone ciò che desiderano, ma solo dopo aver creato in loro il bisogno di desiderarlo.
Questo circolo vizioso alimenta uno stato di perenne insoddisfazione e nostalgia, dove il passato viene idealizzato, il presente costantemente criticato e il futuro fortemente ipotecato.
Un meccanismo perverso che ci porterà all’autodistruzione.
Un peso psicologico talmente gravoso che non permette di vivere il presente per quanto merita di essere vissuto.
Alla ricerca del nulla, percorriamo il nostro viaggio caricati di un bagaglio virtuale così pesante da sembrare una schiacciante realtà.
Spesso, nella generale inconsapevolezza e in mancanza di approfondite ricerche, non riusciamo a dare risposte certe alle estinzioni di grandi civiltà del passato profondamente evolute, con conoscenze talmente ampie e profonde che non possiamo neanche del tutto immaginare.
Risposte che potrebbero essere trovate partendo anche dalla presa di consapevolezza di tutto il bello e il buono che ci circonda, tutelandolo anziché distruggerlo in perenni conflitti interpersonali e internazionali.
Forse, è proprio questo l’assurdo percorso ciclico che compiamo da millenni e che dovremmo interrompere.