IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“L’equilibrio di Ben-Essere: memoria storica – a cura di Cipriano Gentilino

Rubrica a cura di Cipriano Gentilino

Rubrica a cura di Cipriano Gentilino

Il recente succedersi  di giorni della memoria, quello dell’Olocausto e quello del Ricordo delle vittime delle foibe  induce a fare alcune considerazioni e porci delle domande su quella che chiamiamo memoria storica, pur con qualche imprecisione tecnica. Mentre infatti la storia tende, almeno idealmente, all’accertamento della verità attraverso metodi rigorosi, la memoria è una esperienza soggettiva che tende a salvaguardare l’identità anche attraverso la mutevolezza in risposta a stimoli di interesse contrastanti. * E’ evidente che parlare di ricordo per fatti accaduti prima che ciascuno di noi possa viverli è una forzatura scientifica a meno che non si concordi, nel linguaggio ordinario, su una forma di memoria speciale, che, senza esperienza diretta, si basi sia su racconti altrui e che su una storia collettiva.  

Così intesa, la memoria storica svolge sia la funzione di ponte tra singoli e collettività e tra presente e passato, sia di  nesso quindi tra un vissuto emotivo trasmesso di tra generazioni e le loro singolarità attuali. E’ evidente allora che le istituzioni la narrano  attraverso monumenti, lapidi, commemorazioni e discorsi al fine di  promuoverne l’interiorizzazione da parte dei cittadini attraverso le le ricorrenze, le giornate dedicate e le proprie istituzioni educative. La diffusione di memorie storiche nazionali compensa, sociologicamente, differenze interne alle popolazioni legate a collocazioni di classe e ceto, nonché a culture regionali ed etniche facendo riferimento a una identità di gruppo, e più specificatamente, nazionale le cui basi sono territoriali e definite da un confine.

Ed è a partire da questi concetti che l’interesse culturale alla memoria storica assume un ruolo importante nella lettura degli attuali rapidi passaggi dai nazionalismi alla globalizzazione e ai tentativi di passaggio inverso in assenza di una politica mondiale che regolamenti aspetti essenziali del sopravvivere e vivere civile, sociale e culturale. Intanto dobbiamo constatare che  sulla stabilità di confini e popolazioni non si è potuto contare molto a lungo (Connerton 2009). Nel corso del 900 infatti in Europa i confini sono mutati a più riprese: migrazioni, trasferimenti forzati, deportazioni e mobilità di ogni genere hanno incrinato i nessi fra memorie e territori. I rapporti fra memorie storiche istituzionali e memorie di individui e gruppi spesso si  sono incrinati anche per questo con il pericolo di un progressivo allontanamento tra individui e stato, tra l’essere rappresentati e la funzione politica intesa come visione del governo.

La memoria storica serve infatti ad incrementare la capacità delle persone di orientarsi dentro il tempo, il tempo precedente per il tempo futuro e per questo motivo non ha a che fare soltanto con il comune senso storico ma anche e principalmente con la elaborazione collettiva del passato. Una elaborazione condivisa che è sempre complessa e quindi difficile ma sempre necessaria. Se infatti, come si suole dire, la storia la fanno i vincitori non minore forza hanno tutti i revisionismi alcuni dei quali sono spesso giunti fino alla negazione degli avvenimenti.

La elaborazione può infatti percorrere la scorciatoia delle dimenticanze che tendono a scartare fatti e avvenimenti che potrebbero risultare inquietanti per un  popolo. Per questo non dovrebbe mai sostituire il confronto consapevole con gli aspetti negativi attraverso una assunzione di responsabilità rispetto alla propria storia. ( Adorno 1959 ).** Gli studi sulla memoria dell’Olocausto restano esemplari perché hanno reso evidente che lo scopo della memoria storica non è solo trasmettere questa memoria alle generazioni successive affinché siano in grado di riconoscere e combattere l’insorgere di fenomeni consimili ma anche quello  di riconoscere ciò che di questa memoria resta comunque silente, ma non per questo è irrilevanti nelle vite di coloro che da vittime e da carnefici discendono. Che se ne sia consapevoli o no, i traumi delle generazioni precedenti infatti pesano sulle vite di quelle successive, e l’inconsapevolezza a riguardo non aiuta.

Conta una dimensione che è individuale e collettiva insieme: conta cosa e come i predecessori narrano, ma conta anche su che cosa e come i successori sanno rivolgere domande (Rosenthal 1997). Esemplari a questo proposito sono le ancora non esaustive analisi critiche in alcune repubbliche ex-comuniste che transitano tra il bisogno di uno stato onnipresente e una giovane democrazia, così come la stessa terra iugoslava post titina divisa in etnie in continua tensione pre-bellica. Si potrebbe dire che la storia è fatta sia di rielaborazioni guidate che di assunzioni di responsabilità e che la speranza che le guerre e gli orrori delle guerre e delle dittature non si ripetano dovrebbe  far più uso di assunzioni di responsabilità complessive accolte dai popoli in una area di convivenza piuttosto che in quella del potere e della sopraffazione. Una memoria nuova quindi che sappia anche  utilizzare tutti gli strumenti comunicativi e sociali nuovi per tendere ad una ipotetica, e forse utopica, memoria storica globale. Il XXI secolo si è aperto con un’immensa moltiplicazione delle memorie storiche e questo, a  prescindere dai casi specifici locali, è uno dei portati generali della globalizzazione (Inglis 2016).

La comunicazione planetaria dà voce e potenzialità di ascolto a infinite versioni della storia. Ciò è per molti versi un fatto positivo, anche se spesso le memorie si contestano reciprocamente. Non è semplicemente in gioco il riconoscimento di storie e di memorie fino ad oggi considerate locali,  è invece  in gioco seriamente la identità dei popoli e dei singoli che andrebbe riconosciuta fino a poter essere parte integrata ed integrante in un storia più complessiva e quindi poi più globale. Lo strumento comunicativo nuovo e globale è senza dubbio internet e tutte le sue varie applicazioni ed usi. La sua comparsa e quella  dei computer e più recentemente di smartphone appartiene alla storia della progressiva capacità umana di comunicare e quindi  esteriorizzare la memoria attraverso supporti tecnologici. Nel corso dell’età moderna le tecnologie hanno offerto strumenti via via sempre più potenti per preservare e per riprodurre le tracce del passato. Gli atteggiamenti culturali a riguardo sono stati e sono tuttora contraddittori.

Alcuni pongono  l’accento su una crisi ricorrente delle tradizioni: il passato perde il carattere di normatività per il futuro e, nella misura in cui il tempo si “accelera”, le aspettative nei confronti del futuro divergono sempre più radicalmente dalle esperienze passate e possono portare  a una svalutazione della memoria storica (Hartog 2003). Ma vi sono anche tendenze contrarie che valorizzano i cambiamenti, anche radicali, ponendo però la necessità di nuove regole. Sul piano culturale e  -psicologico siamo nell’epoca  dell’autobiografia: un narrarsi che, in nome dell’importanza attribuita ai processi di individualizzazione di ciascuno, promuove un’attenzione dei soggetti al proprio passato biografico che, quanto a diffusione, non ha alcun precedente nella storia. Un’attenzione a cui parte degli strumenti oggi disponibili (si pensi in particolare alle piattaforme social) dà oggi nuovo spazio e impeto. Alcuni sociologi paventano un affievolirsi della consapevolezza del passato, presente e futuro come se si possa fare a meno della cronologia in una interazione umana caratterizzata dalla contemporaneità virtuale e da quel che viene chiamato  Presentismo ovvero la marcata accentuazione del presente e la concentrazione quasi esclusiva della nostra attenzione su quest’ultimo, è un aspetto della condizione contemporanea.  

L’adesione incondizionata al presente potrebbe fare  il gioco di diversi interessi economici e politici inerenti alla semplificazione populista e al pensiero unico che anche la contemporaneità favorisce per la sua ambivalenza  nei confronti della memoria e, forse di più, rispetto alla memoria storica.  Non è un problema medico, e neanche un semplice problema di istruzione. Non si risolve una semplice conoscenza del passato ma comporta l’appropriazione soggettiva di certi elementi del passato e la loro trasformazione in momenti costituitivi di ciò che si può dire esserci. Già nella prima metà del Novecento lo sottolineava Walter Benjamin, secondo il quale la vita  frammentata in ambiti e in episodi scollegati, rende difficile la formazione di esperienza in senso proprio. Si hanno molte esperienze e si può non avere esperienza. Come sintetizza il punto Hartmut Rosa, Benjamin distingueva “… tra Erlebnissen (cioè episodi di esperienza) ed Erfahrungen (esperienze che lasciano un segno, che si connettono alla nostra identità e sono rilevanti per essa e per la nostra storia). E suggeriva che ci stavamo avvicinando a un’epoca ricca di Erlebnissen e povera di Erfahrungen (Rosa 2010, p. 111). Ma ciò significa  correre il rischio di non essere in grado di orientarci perchè dimentichiamo di fare del tempo delle nostre esperienze il ‘nostro’ tempo, così gli episodi dell’esperienza e il tempo dedicato ad essi ci restano estranei. Tuttavia, una mancanza di appropriazione delle nostre azioni ed esperienze non può che portare a forme più o meno gravi di estraneazione da sé.

Non essere capaci di appropriarci della nostra esperienza corrisponde in fondo a non saperci confrontare con le nostre eredità: tanto quelle che noi lasciamo a noi stessi e ad altri nel corso della nostra vita, quanto quelle che altri hanno lasciato a noi. Qualcosa ereditiamo sempre. Ereditiamo le condizioni entro cui ci troviamo a vivere; ereditiamo a volte beni materiali; ereditiamo comunque certi elementi culturali. Possiamo esserne consapevoli o meno, ma con ciò che ereditiamo abbiamo a che fare. Scordarsene non cambia le cose, nel senso che ciò che abbiamo ereditato può contare inconsciamente. Esserne consapevoli, al contrario, permette di esercitare certe scelte. Massimo Recalcati ha scritto che “per poter possedere autenticamente ciò che hai ereditato devi riconquistarlo” (Recalcati 2011, p. 19). Vale per ogni eredità, e anche per quelle a cui attribuiamo un valore negativo, La memoria storica è con tutto questo che ha a che fare. È un nesso significativo che viene costruito fra il presente e il passato; è la scelta di cosa portare con noi in futuro.

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