L’equilibrio di ben-essere: LA SPERANZA
di Cipriano Gentilino
Il passaggio tra una fine anno e l’inizio di un altro può essere immaginato, dal punto di vista psicologico, come un imbuto attraverso il quale lasciamo transitare gli aspetti positivi e tentiamo di fermare quelli negativi con uno sguardo bifronte che rivolto contemporaneamente al passato e al futuro rende la speranza la protagonista più rappresentata. Tentare di descrivere e definire la speranza è il modo migliore per conoscerne il significato psicologico e le strutture neurobiologiche che la sorreggono.
Premessa necessaria, questa, per la ricerca di un ben-essere che sia ricco e complesso ben oltre gli pseudo incoraggiamenti e, spesso anche auto incoraggiamenti, da banale mano sulla spalla. L’etimologia della parola speranza si ricollega al latino spes = speranza, a sua volta dalla radice sanscrita spa- che significa tendere verso una meta. Un etimo chiaro che proprio nel tendere verso una meta trova la definizione già precisa ma che diventa più chiara se si associa il tempo dell’aspettare come ci suggerisce quell’esperar spagnolo che si traduce sia in sperare che aspettare, come se si potesse aspettare solo ciò che si spera. Dalla mitologia greca inoltre ci viene in aiuto il mito di Pandora . Zeus affida a Pandora un vaso che contiene tutti i mali del mondo. Quando il vaso viene scoperchiato, gli uomini perdono la loro immortalità e iniziano la loro vita di sofferenza. Per salvare gli uomini, Pandora riapre il vaso e libera elpis, la speranza, che era rimasta sul fondo, unico rimedio possibile per far fronte alla sofferenza della vita. Galimberti (1999) in ambito psicologico definisce speranza la fiducia nel futuro che permane anche dopo insuccessi o vane aspettative e che dal punto di vista psicologico funziona come difesa dalle conseguenze patologiche delle frustrazioni.
E la permanenza, nonostante gli insuccessi, ha relazione sia con la temporalità dell’attendere sia con la capacità di resistenza alle sconfitte. La stessa importanza hanno la resilienza e la flessibilità psicologica e comportamentale e quindi con adattabilità personale. Come è evidente quindi la speranza, nonostante appaia come esperienza solo individuale, ha molte relazioni con la socialità e con le integrazioni sociali tanto da potere parlarne anche in termini gruppali come speranza di un insieme in risposta a evenienze contestuali. Una speranza, quindi che via via si complicava perchè in essa confluiscono attesa, desiderio e progetto-attività. In proposito Minkowski (1933) scrive: “nella speranza, io vivo il divenire nella stessa direzione dell’attesa, cioè nella direzione di avvenire-presente e non nella direzione presente-avvenire. Quando spero, attendo la realizzazione di quanto spero, vedo l’avvenire venire verso di me. La speranza va più lontano nell’avvenire della attesa. Io non spero nulla né per l’istante presente né per quello che immediatamente gli succede, ma per l’avvenire che si dispiega dietro. Liberato dalla morsa dell’avvenire immediato, vivo, nella speranza, un avvenire più lontano, più ampio, pieno di promesse.
E la ricchezza dell’avvenire si apre adesso davanti a me”. Anche Boch ( 1959 ) considera la speranza una chiave di lettura negli studi di filosofia della storia quando la si legge ben oltre l’immediato futuro. Una visione ampia di una speranza che assume anche significati spirituali e religiosi . Non a caso, per esempio nel Cristianesimo, la speranza è considerata una virtù teologale che, secondo il Cattolicesimo, il credente aspira a raggiungere sia con la visione beatifica di Dio cioè con l’attesa della sicura beatitudine eterna sia con l’aiuto della grazia divina per poterla conseguire. La ricca e polimorfa complessità della esperienza di speranza non ha permesso ancora di darne un definizione psicologica univoca. Mentre sul piano neurobiologico è considerato rilevante il ruolo della amigdala e dei mediatori chimici come la serotonina, permangono idee non convergenti sul considerare la speranza una emozione secondaria o complessa o mista o comportamentale o sociale, risultante da una combinazione di varie emozioni primarie o di base che si sviluppano con la crescita dell’individuo e che spesso sono anche frutto di influenze sociali o della comunità nella quale la persona vive. Alcuni autori invece ritengono che la speranza non possa essere definita come emozione o come sentimento perché troppo complessa ed in tal senso risulterebbe inclassificabile.
D’altro canto è solo da poco tempo che si studia la speranza come esperienza quotidiana .Ovviamente varie teorie sono state proposte ma la più citata perché più indicativa è la cosiddetta “teoria della speranza”, elaborata da Snyder intorno alla metà degli anni Novanta, che afferma: “la speranza è uno stato motivazionale positivo che si basa sull’interazione tra il senso di successo nel produrre i percorsi cognitivi o le strategie cognitive da utilizzare nel conseguire un determinato fine desiderato e il senso di successo nel produrre l’energia mentale nell’utilizzare tali percorsi o strategie per realizzare la finalità desiderata”. Essa è caratterizzata da tre componenti: la percezione della propria capacità di prefigurare le mete da perseguire (goals), i percorsi cognitivi da utilizzare nel conseguirle (pathways) e la capacità di produrre l’energia mentale interiore che attiva, orienta e mantiene il soggetto verso tali finalità desiderate (agency).
Snyder ha dimostrato che chi ha un alto indice di fiducia in sé supera in maniera migliore gli ostacoli rispetto a chi ha una bassa autostima e riesce ad elaborare con maggiore facilità strategie alternative per raggiungere le proprie mete. Inoltre sostiene che la speranza non è innata ma che deve essere elaborata e coltivata in ogni individuo per ottenere così anche un miglioramento della propria autostima e suggerisce l’inserimento di questo procedimento in ambito educativo. Ulteriori ricerche hanno confermato quanto affermato da questa teoria. Ed è proprio per il fatto che la speranza non sia innata e che debba essere coltivata anche in ambito educativo che assumono un senso concreto i consigli di ben-essere. Coltivare la speranza infatti significa non solo coltivarla per sé stesso facendo ricorso a pratiche di resilienza, flessibilità, adattabilità ma anche coltivarla sul piano educazionale attraverso il ricorso alla condivisione e alla reciprocità in un contesto di rispetto e di capacità di progetto ed attesa, di elaborazione e di valorizzazione comune di ciascuno.