Le Turbanti. Per una rete internazionale di donne, artiste della resistenza.
di Antonella Rizzo, curatrice
Parto da un’immagine ancora viva: il cielo di domenica scorsa, 7 luglio, il suo colore cangiante, tra il grigio scuro e l’azzurro sereno. Quel cielo è stato clemente, non si è concesso alla pioggia, l’ha trattenuta nell’azzurro, l’ha portata altrove, certamente non su Milano, non su Corvetto dove eravamo noi Turbanti. Quel cielo era nelle mie preghiere.
Un tempo incerto incombeva sul CIQ (Centro internazionale di quartiere), un centro artistico-culturale, italo-senegalese, che abbiamo scelto come luogo del nostro rito collettivo perché è periferico, perché è sulle soglie che si trovano le maggiori opportunità di cambiamento.
Le Turbanti è frutto di un cielo improbabile come quel giorno, si è nutrito di nuvole passeggere e a volte ferme, pesanti e sempre in viaggio. Un lungo percorso personale e di ricerca sull’arte, sul femminile e sul potere trasformativo di quel connubio mi ha condotta a maturare l’idea di dar forma a una rete internazionale di donne, artiste della resistenza. Quella traiettoria di pensiero si è concentrata in poco tempo in un evento: Le Turbanti. L’ho condivisa subito con Francesca Cosentino, ideatrice del progetto Waxewul e del bel laboratorio “Emancipate your heads”, e con Ines Negro, presidente della associazione italo-spagnola La Estacion del Arte.
E’ iniziato tutto così, da una fiducia reciproca e da una alleanza al femminile. Raccolte le loro disponibilità, ci siamo messe al lavoro per attivare le nostre reti e i contatti possibili di artiste che potessero apprezzare il progetto. Quella chiamata alle arti ha raccolto l’adesione di ben 18 artiste internazionali.
Tante le arti rappresentate nel gruppo, tante le direzioni di ricerca che ciascuna artista ha portato nel confronto aperto che poi è diventato un progetto comune, nonostante la varietà dei campi di indagine individuale: il dialogo sul sé e il paesaggio nella fotografia di Ardesia Coco; la ricerca sull’immagine autentica e sulla bellezza di Maria Sapia (make up artist), di Lucia Pavan (LikeUAfrica) e di Sonia Micheli (SeiAfro); l’impegno per la costruzione di una comunità di pratica per un Noi emancipato di Francesca Cosentino (Waxewul); la cura di sé e dell’altro nella ricerca musicale di Marianna Sala (Megattera), Valentina Sala (cantante e formatrice) e Annalisa De Biase (chitarrista); la conservazione della memoria della propria terra attraverso l’antica pratica dell’hennè a tecnica indiana di Nimesha Warnakulasuriya; il dialogo tra arte e tempo di Serena Rossi, pittrice e poeta che ha realizzato un quadro estemporaneo durante l’evento; e infine la ricerca poetica di nove lettrici, di cui sei autrici, che quel giorno hanno portato versi propri o di altre poete e in più lingue (Maria Pia Quintavalla, Serena Rossi, Roberta Tantillo, Rosaria Munafò, Margarete Braitenberg, Chandrani Kariyawasam, Omnyat Muhammed, Francesca Cosentino che ha letto i versi del padre Giovanni Cosentino, e Antonella Rizzo).
Il lavoro di armonizzazione delle diversità è stato delicato, complesso e tuttavia fluido. Nell’idea originaria l’evento doveva avere la forma di un rito collettivo, così è stato. E’ infatti nel dispositivo rituale che si costruisce comunità, forma sociale che si sta polverizzando nel tempo contemporaneo e che noi abbiamo voluto recuperare. Abbiamo dato all’evento una forma liturgica, fatta di fasi e gesti, articolandolo in due momenti: una prima parte, che abbiamo chiamato “La semina”, in cui si sono svolti i laboratori di Francesca Cosentino e Maria Sapia; e una seconda parte, “La raccolta”, che si è aperta con la lettura del Manifesto delle Turbanti*, cioè l’atto costitutivo del progetto.
La Raccolta si è poi sviluppata in un momento di letture poetiche durante il quale il pubblico ha potuto ascoltare versi in tedesco, arabo, cingalese, italiano, e con quei versi tutte le arti hanno dialogato secondo una tessitura precisa, che ha poi condotto alla fase conclusiva del rito, cioè la sfilata, la parte dionisiaca del rito, quella della danza, del caos, della chiusura e dei saluti.
Si sono levate verso quel cielo di quartiere, così locale eppure così universale, le parole di poete di guerra, testimoni e vittime della discriminazione, come l’iraniana Fereshteh Sari, la curda Choman Hardi, l’afghana Nadia Anjuman, la palestinese Fadwa Tuqan. A tutte loro abbiamo reso omaggio leggendone alcuni versi, per essere a nostra volta testimoni della resistenza.
Questo evento è stato come una valanga, è nato quasi come un rumore sordo in lontananza ed è giunto a valle in una forma grande, spinto dall’energia potente di diciotto artiste, dai loro canti, dalle loro danze, dalle loro lingue e dalle loro ragioni.
A valle abbiamo trovato tante altre donne e uomini che hanno partecipato pienamente alla festa, trasformandosi con stoffe colorate, i wax, sfilando per se stessi e per un progetto comune.
Nei giorni successivi ci sono giunte parole di gratitudine per quanto condiviso, lettere e testimonianze di chi ha vissuto quella festa collettiva come liberatoria, qualcuna ha raccontato di aver sentito per la prima volta il valore del prendere parola e spazio come strumento di emancipazione e oggi custodisce un desiderio futuro di resistenza verso un sé giudicante.
Questo è stato Le Turbanti.
Noi esistiamo per questo, per turbare la terra e per questo agiremo.
*di seguito si riporta il Manifesto integrale delle Turbanti di Antonella Rizzo
“MANIFESTO LE TURBANTI
Rete internazionale di donne, artiste della resistenza
Milano, 7 luglio 2024
Noi esistiamo per questo.
Per prendere parola, farla agire, trasformarla, capovolgerla, costruire con essa un mondo che prima che non c’era. Per turbare la terra.
Noi esistiamo per questo.
Per abbandonare una parte di ciò che siamo come individui e incontrare il Noi.
Per imparare a condividere ciò che sappiamo fare perché qualcuno possa a sua volta insegnarci qualcosa.
Noi esistiamo per questo.
Per fare arte civile, impegnata nella Storia, nel nostro tempo, per tradirlo, scuoterlo e non accontentarlo.
Per fare di quel racconto detto da altri un discorso tutto da rifare.
Per imparare a guardare prima di vedere, perché chi giunge dall’altra parte sia visto e non solo guardato.
Perchè ciascuno di noi giunge dall’altra parte per l’altro.
Noi esistiamo per questo.
Per imparare a mettere i piedi sulle soglie e non sui campi dei potenti, perché è lì, è sulla soglia che si impara il limite reciproco ed è lì che ci si perde nell’altro.
Noi esistiamo per questo.
Per fare del femminile lingua nuova, incomprensibile, spaventosa eppure necessaria. E’ così che vogliamo agire.
Un tempo nuovo ha bisogno di nuove parole e le parole nuove hanno bisogno di coraggio e radici.
Noi esistiamo per questo.
Le Turbanti
Antonella Rizzo”
Immagini di: Ardesia Coco