Le donne di Messapia
Di Fernando Sammarco
Alcune singolari caratterizzazioni femminili, evidenziate in multiformi scene pittoriche e descritte da diversi autori classici, veicolano, a tratti, l’idea di una donna affrancata dal suo millenario ruolo di subalternità e di sottomissione all’elemento maschile. Potrebbero, pertanto, sorgere dubbi su una tale tipizzazione in un’epoca storica tanto remota; ma l’ambiente così delineato può certamente riferirsi ad un importante aspetto della cultura epicorea dell’antico Salento. Le documentazioni archeologiche e le numerose iscrizioni epigrafiche ci rivelano alcuni segreti di un mondo in cui la donna aveva senz’altro un ruolo molto importante e certamente molto meno subordinato di quanto si possa immaginare. Le informazioni dedotte ci rivelano diverse sfaccettature dell’ambito femminile che offrono allo studioso di oggi interessanti profili culturali di un’epoca intrisa di misteriosi costumi ed usanze che furono alla base di una vera e propria civiltà, quella messapica.
All’apice della scala sociale c’era la donna di alto rango che godeva a pieno titolo dei diritti di cittadinanza e poteva anche assurgere a rilevanti cariche politiche e diplomatiche nel quadro delle giurisdizioni locali o di quelle confederate. È comunque ampiamente condiviso che essa svolse diversi ruoli e varie funzioni in seno alle organizzazioni tribali dell’intero territorio salentino. Fu quindi reggente, principessa, eroina, ambasciatrice, cavallerizza, amazzone, sacerdotessa, vergine consacrata alla dea Thana Sasynide, al dio Bàlakras di Sallentia, a Thàotor, ad Artemis Bendis o ad altre venerate divinità; ma fu anche una donna comune, che si dedicava alla cura del proprio focolare domestico o alle diverse attività quotidiane che riguardavano comunque l’ambito familiare. Non era insolito, però, che la stessa donna, che fungeva da amministratrice della casa, da mamma e compagna dell’uomo, fosse chiamata a compiere anche pesanti lavori nei campi e in altri settori produttivi in forma autonoma insieme al marito o alle dipendenze di ricchi possidenti che altrimenti non avrebbero potuto espandere le proprie attività economiche.
In Messapia non esistevano veri e propri schiavi o erano talmente pochi che non costituivano certamente un fenomeno sociale da prendere in considerazione. La formazione della composita etnia messapico-salentina, come diversi autori classici e moderni hanno riferito, fu il risultato di un lungo processo di aggregazione che si concluse verso il V sec. a.C., dopo una lunga e stratificata colonizzazione che dall’età protostorica e quella del ferro si protrasse nei secoli successivi fino a quando non fu raggiunto un adeguato livello culturale ed amministrativo che sancì la nascita di una vera civiltà autonoma. L’originario ceppo etnico peninsulare si fuse nel tempo con l’elemento cretese-miceneo, poi con quello illirico-japigio, ed infine con diverse stirpi elleniche provenienti delle sponde orientali e dalle isole del Mare Jonio. Durante la prima fase, le genti della penisola salentina, sottomesse dai nuovi arrivati, furono probabilmente tratte in schiavitù; ma con il passare delle generazioni, esse furono affrancate dal loro stato di inferiorità, prendendo parte attiva alla vita sociale di un rinnovato amalgama etnico-territoriale.
È pur certo che maestranze specializzate autoctnone e straniere siano state impiegate per la realizzazione di grandiosi monumenti, ed è altrettanto ammissibile che numerosi manovali locali, che svolgevano umili lavori a pagamento, fossero utilizzati a tale scopo. Le donne non erano risparmiate dalle fatiche. Esse assolvevano ad impegnativi compiti ausiliari al fianco degli uomini. Il loro lavoro manuale, molto stimato dalla società del tempo, era ripagato in porzioni di grano, olive o altri generi di primario consumo. In questo modo, i membri delle classi sociali più povere, privi di risorse essenziali per condurre una vita decorosa, attendevano con piacere l’inizio di grandi opere perché rappresentava una sicura promessa di sostentamento per tutto il tempo che occorreva alla loro ultimazione. Le classi dominanti erano, invece, costituite dalle famiglie più nobili delle comunità messapiche, i cui capostipiti si erano distinti nelle epoche precedenti sia per meriti di guerra sia per importanti ruoli politici ricoperti. Essi si assicuravano in tale modo il totale rispetto della popolazione e un’abbondante fortuna economica.
Quell’antico assetto sociale non escludeva comunque dai benefici le famiglie emergenti che potevano trovare una giusta collocazione all’interno delle comunità grazie alle benemerenze di alcuni loro esponenti. Si può, quindi, rilevare che esistevano diverse tipologie di donne caratterizzate dal loro ceto sociale; tutte, però, erano parte integrante di un’etnia al cui vertice c’era il wanax o curione che aveva il compito precipuo di salvaguardare la concordia e la pace fra la sua gente. Nel quadro generale della civiltà messapica, il modus vivendi delle donne di famiglie povere era quindi condizionato dallo strenuo lavoro che esse erano tenute a compiere perché costrette dalla precarietà economica del loro ambiente particolare; mentre, molto più allettante era invece l’ambiente nel quale vivevano le figlie e le consorti di abili artigiani, di ricchi fattori o grandi allevatori. Esse potevano assumere una parte di comando all’interno delle attività familiari e impartire ordini ai braccianti che lavoravano presso di loro.
Le fanciulle di alto rango erano le vere elette dalla fortuna, poiché il loro stato era talmente riverito che potevano permettersi ciò che a molte altre era proibito. Esse potevano dedicarsi alle attività ginniche, come le donne di Sparta, e potevano prendere parte ai diversi consessi alla presenza di uomini, senza essere marchiate con l’epiteto di donne di facili costumi. L’alto lignaggio permetteva loro di condurre uno stile di vita più appagante e concedeva aspettative coniugali che ben si uniformavano con le prerogative dinastiche della propria stirpe. Ogni capo famiglia della classe dominante contemplava quindi unioni fruttuose e foriere di prolifica prosperità per le proprie discendenti.
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