La vita comincia ogni momento: ottocentododici rose rosse (1/3)
di Tiziana Leopizzi
Proseguendo il cammino iniziato con Franco Repetto mi piace condividere la storia di un’altra vita d’artista altrettanto ricca di messaggi, quella di LeoNilde Carrabba. Il suo tratto più saliente è la voglia di vivere, direi di più, la sua fame di vita, dovuta certamente al carattere ma anche alla fortuna di nascere in una famiglia che teneva in massima considerazione la cultura e il senso dell’umorismo. Cosa rara, forse dovuta alle radici ebraiche del padre abruzzese, ingegnere chimico, specializzato in colori che arrivava a casa soddisfatto dicendo:
Oggi ho fatto un nero!” Evidentemente lasciò il segno.
LeoNilde crebbe tra liberi pensatori, in un ambiente estremamente stimolante.
Si considerava brava nella scrittura e negata per il disegno, per cui era convinta che il suo destino sarebbe stata la letteratura.
Invece la sua vita fu a c o l o r i, veri non metaforici.
Un’esistenza in verità punteggiata da sconquassi a livello fisico ma forse proprio queste sofferenze come ci insegnano i Miti, sono state la chiave per far a tempo debito esplodere il suo Daimon in tutta la sua forza.
– Alla mia domanda di prammatica: cosa ti sei portata dietro dall’infanzia mi risponde così: Ottocentododici rose rosse, centottanta rose rosa, ottanta rose gialle, fregi di foglie e di rami; il tutto distribuito in una doppia fila rettangolare di cassettoni di legno brunito, ventotto cassettoni all’esterno, distribuiti in una fila di dieci sul lato più lungo ed una fila di sei sul lato più corto, all’interno di questa fila di dieci cassettoni un’altra fila di sette sul lato più lungo e di quattro sul lato più corto, poi restava un rettangolo all’interno, dimenticavo di dirlo, una prepotente e magnifica rosa nera. Sembrava che tutto ruotasse attorno a lei, almeno così la vedevo io, e dato che quello che vedevo io era per me essenziale risultava indubitabile che tutto ruotasse attorno alla rosa nera, la regina, la dea segreta della mia infanzia, in essa si incarnavano tutti i miei amori. Incantata dai soffitti di casa, passavo ora a guardarli*. Chissà forse di qui sarà nata la passione che mi incatena tuttora …
– Questo è il cielo della tua infanzia che mi dici aver vissuto più o meno perennemente ammalata. In più la ciliegina della guerra.
Già, la guerra, l’orrore, il terrore. Io ero molto piccola per fortuna, e quando si è piccoli tutto diventa un gioco. Mi divertiva andare a letto con i calzini come voleva mia madre che ci voleva pronte a schizzare nel rifugio. Ancora adesso, quando la vita si fa difficile ripeto questo rito… Mi conforta.
Vivevo con i miei genitori e mia sorella Laura in questa casa liberty, stupenda, di cui conservo vivido il ricordo. Mia madre Ester, era dalmata, ed era angosciata per i suoi genitori ed il fratello minore che vivevano ancora in Slovenia. Si sapeva delle atrocità delle foibe… Io la consolavo dicendo: “Li salverà un Angelo” e mia madre sistematicamente rispondeva: “Non ci sono Angeli durante le guerre”.
Ci furono per due ragioni: 1 – I Nonni arrivarono a Monza nel 1946 e 2 – mia sorella si salvò in una situazione impossibile.
1946… avevi sono 8 anni. Ti piaceva andare a scuola?
Mi vedo ancora camminare nel parco molto bello che si doveva attraversare per raggiungerla.
Era un collegio però. L’ho odiato con tutte le mie forze.
Dopo qualche anno, ne avevo 13, affrontai con mio padre la questione. Qui riporto il nostro dialogo quando gli parlai della mia sofferenza: Tu dici che nella vita bisogna essere logici, io non capisco la tua logica. Ti dichiari libero pensatore e poi mi mandi a scuola dalle suore. E lui: Una logica c’è, nascosta ma c’è. Quando dichiarai il mio amore a tua madre e la chiesi in moglie, le chiarii subito che ero un libero pensatore. Nonostante ciò, lei mi rispose di sì, ma mise una clausola – per i figli maschi avrei deciso io sulla scuola mentre per le figlie femmine avrebbe deciso lei. Mi spiace sei nata femmina e poi nessuno può liberare un altro. – Ho capito papà. Se trovo il modo di liberarmi tu mi appoggi? E lui: sì! Mesi dopo, lezione di storia, l’insegnante chiede come mai l’Italia si sia unita più tardi degli altri paesi europei. Mi alzai in piedi e col pugno alzato gridai: Il Papato è il cancro nel cuore dell’Italia come dice mio Padre e poi descrissi con chiarezza tutta la situazione. L’insegnante, intelligente, risolse la questione con una 8 in storia e a corollario una bella nota. L’indomani avrei dovuto tornare accompagnata dai genitori. Andai a casa e mia madre, disattendendo per fortuna il patto contratto sull’educazione, disse che la cosa riguardava non lei ma mio padre che ligio, il giorno dopo mi accompagnò a scuola. Litigò con la Suora, mi diede ragione ed ebbi 3 mesi di vacanza e l’anno dopo andai alle pubbliche con buona pace di tutti.
Riuscii a sopportare questo martirio per anni grazie all’arrivo dei Nonni, di zio Marino e della Pereza, una vecchia donna di servizio di mia nonna. Per fortuna casa nostra era grande e ci fu posto per tutti. Il 1946 fu un anno di cambiamenti. L’unica cosa che non cambiava era la mia propensione a buscarmi ogni sorta di malanno… quindi quell’anno andai a scuola solo per due o tre mesi. Durante il giorno stavo nel grande letto dei miei, sommersa da libri e libri e … volavo. Molti anni dopo capii che mentre il mio corpo era stremato per la lunghissima malattia, la mia mente lo curava rifugiandosi nell’impossibile. Mi tuffavo nell’aria per appollaiarmi sul cornicione della casa di fronte e di lì decidevo dove andare. Una notte volai così alto che vidi sotto di me la Madonnina del Duomo di Milano. Sempre in quel periodo di forte sofferenza, una notte qualsiasi mi alzai per andare in bagno e “vidi” mio padre, mia madre e mia sorella seduti assieme al tavolo della stanza da pranzo e seppi con certezza che sarebbero morti uno a breve distanza dall’altro. Così fu. Una sensazione troppo dura da razionalizzare e così la rimossi. Per anni.
– I difficili anni del collegio intaccarono la tua voglia di studiare?
No, per fortuna. La curiosità ha sempre prevalso. Solo ero negata per il disegno, tanto che i compiti a casa me li faceva mia sorella. Anni dopo leggendo “Il Codice dell’Anima” di James Hillman capii il perché: il Karma dell’artista è troppo potente per un bambino e così l’Ego scartò proprio quella che sarebbe stata la passione dominante della vita. Emerse poi, a tempo debito. Credo sia stato questo il motivo per cui amavo molto ascoltare mio padre quando parlava di colori.
– A 12 anni sorprendentemente lo sport irruppe nella tua vita. Fu la prima grande passione, e … la tua ancora di salvezza per sfuggire al controllo della famiglia. – Proprio come succede oggi vero? (n.d.r.)
Già… Mi allenavo con costanza e caparbietà. Volevo vincere. Questa mia voglia di accettare le sfide, o meglio a provocarle, si riverberava però nei rapporti familiari. Con mio padre tutto filava liscio ma con mia madre il contrasto era forte e continuo, anche duro.
– É facile immaginare che conquistare l’indipendenza divenne un dictat. Grazie alla tua famiglia numerosa avevi a disposizione molti modelli differenti, cosa assai preziosa e direi fondamentale per la formazione.
Vivere in questa famiglia larga, ben diversa dalla famiglia allargata del giorno d’oggi, mi aprì la mente. Prendiamo la religione: mia madre era osservante di facciata ed amava andare a messa a mezzogiorno in Duomo. Mia nonna era osservante di cuore ed andava a messa la mattina alle 8 in una piccola chiesa con un coro di monache. Mio padre era un libero pensatore e, per fare un favore a mia madre, veniva con noi a messa a Pasqua e Natale. Mio nonno era Giansenista. Mio zio agnostico. Laura, mia sorella, si allineava a mia madre. Una famiglia così variegata offriva ampi spazi di riflessione.
– A un certo punto hai seguito studi linguistici perché sembrava proprio che lo scrivere sarebbe stato la base della tua futura professione. Poi di colpo ti sei iscritta al secondo anno del Liceo Internazionale. Perché?
Si, avevo cominciato a guardarmi dentro. Capii che volevo viaggiare. Dovevo imparare le lingue. Era un liceo duro per fortuna, come tutti prima del ‘68, e mi venne in soccorso la tenacia che avevo acquisito con lo sport.
Per migliorare le mie capacità di apprendimento la sera prendevo la metedrina così riuscivo a studiare tutta la notte. Poche ore di sonno e ripartivo per la scuola a Milano. Sacrificai gli allenamenti per le selezioni propedeutiche ai Mondiali di Barcellona, ma superai gli esami e riprenderli dopo mi costò caro. Svenni in pista ed ovviamente addio selezioni. Mio padre, un ex sportivo, mi aveva messo in guardia ma mi consolò pagandomi il viaggio in Spagna per poterli almeno seguire dal vivo.
– Lasciato obtorto collo l’agonismo sportivo si ripresentò puntuale e prepotente la voglia di essere autonoma. Hai iniziato a lavorare e hai trovato subito un lavoro creativo come quello di copywriter nella pubblicità.
Ero molto soddisfatta in effetti, per l’ennesima volta però, era il 1959, mi ammalai gravemente. Febbre altissima per un’infezione alle tonsille, nel delirio continuavo a vedere le diapositive di una lezione di francese sugli impressionisti… e il mio Daimon si risvegliò.
La seconda parte sarà online il 16 aprile.