La violenza sulle Donne nella storia e nella letteratura di Giovanni Teresi
Le opere letterarie sono spesso lo specchio della società, ma nello stesso tempo la plasmano.
La letteratura, avendo spesso come tema centrale l’amore, non può esimersi dal presentare legami con la violenza sulle donne. Infatti per creare una società in cui non vi siano più abusi sulle donne, occorre prima educare all’amore.
La storia e la letteratura raccontano di violenze sulle donne basti pensare a Otello, la tragedia shakespeariana dove Otello uccide Desdemona o l’Inferno dantesco dove si racconta la vicenda di Paolo e Francesca.
Oggi come ieri la gelosia è ancora l’elemento scatenante di violenza e uccisioni.
Di violenza sulle donne e femminicidi si parla anche in altre opere letterarie:
Tentazione! Di Giovanni Verga; Il rosso e il nero di Stendhal; Ab Urbe Condita di Livio. Qui si racconta dello stupro di Lucrezia, moglie di Collatino, ad opera di Sestio Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo. L’oltraggio a Lucrezia dà il via all’insurrezione e alla cacciata di Tarquinio a cui segue la nascita della Repubblica.
Ma procediamo con ordine nel ricordare brevemente alcuni degli atti esecrandi contro le donne:
- Paolo e Francesca della “Divina Commedia”
Uno dei canti più suggestivi e famosi della “Divina Commedia” di Dante Alighieri presenta un caso di femminicidio. Stiamo parlando del Canto V dell’ “Inferno”, in cui la protagonista Francesca da Polenta (o da Rimini) commette adulterio innamorandosi del cognato Paolo Malatesta e per questo viene uccisa con violenza dal marito, tra il 1283 e il 1285.
Dante Alighieri, negli stessi versi, sottolinea il potere della letteratura, che è presentata come causa dell’adulterio: «[…] Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante […]» Paolo e Francesca stanno leggendo il celebre romanzo francese, i cui protagonisti sono Lancillotto e Ginevra. Lancillotto era uno dei cavalieri della tavola rotonda, che si era innamorato della Regina Ginevra, moglie di Re Artù. In particolar modo i due cognati, si soffermano sulla scena del bacio, che ha avuto in loro lo stesso esito: «[…]Quando leggemmo il disiato riso/esser basciato da cotanto amante,/questi, che mai da me non fia diviso,/la bocca mi basciò tutto tremante […]» Il Principe Galeotto era colui che aveva consigliato a Lancillotto e a Ginevra di dichiararsi il loro amore.
- Il crudo verismo di Verga
Una delle novelle meno conosciute di Verga, “Tentazione!”, presenta il tema dello stupro e quindi un femminicidio. La violenza sessuale nell’Ottocento, non doveva essere trattata dalla letteratura, ma Verga era lo scrittore della Verità e in quanto tale, non poteva tralasciare questo argomento.
Nell’opera, non vi è alcuna condanna morale da parte dell’autore. Questi vuole invece sottolineare come la violenza non sia prerogativa delle menti predisposte al crimine, ma riguarda chiunque.
I protagonisti sono tre ragazzi normali, che si recano a una festa serale a Vaprio, nei pressi di Milano. Lo stupro avviene su una strada buia e silenziosa, che i tre prendono come scorciatoia per tornare a casa. La vittima è una contadina, della quale lo scrittore non accenna all’abbigliamento o alla bellezza fisica, poiché la donna è considerata in ogni caso una tentazione disturbante, per il semplice fatto di essere donna. Verga si fa così portatore dell’idea misogina della pericolosità della creatura femminile.
La novella è un racconto-confessione del trauma subito da chi compie il femminicidio: il narratore diventa interno e il suo punto di vista coincide con quello di uno dei tre ragazzi protagonisti. L’autore del misfatto, non riesce a capire come sia successo e gli pare d’impazzire. E’ cosciente del fatto che non esista una causa evidente. In tal modo viene fuori la concezione della violenza in Verga, come eccesso di passione istintiva, una sterzata improvvisa che riporta l’individuo a comportamenti primitivi. Sottolinea il carattere inconsapevole dell’abuso e lo stupro diventa la forza demoniaca che rompe l’equilibrio della ragione.
I tre protagonisti, non solo compiono violenza carnale sulla donna, ma poi la uccidono e ne tagliano la testa, per riuscire a nascondere il corpo in una fossa.
La violenza di gruppo annulla ogni responsabilità individuale. Verga mette in risalto come in branco sia facile rendersi autori di azioni efferate, per poi trovare protezione nella potenza e nella deresponsabilità del gruppo.
Oltre a condannare la vittima, che tenta i ragazzi con la sua presenza nella notte, Verga concorda con l’impunità dell’atto, considerato puro divertimento sessuale a scapito di un essere debole come la donna.
- Il femminicidio come atto di amore
Lo scrittore francese Stendhal, nel suo romanzo “Il rosso e il nero”, presenta invece la nobilitazione dell’uomo che “per amore” uccide la donna.
L’opera ha carattere psicologico ed è il frutto della lettura di uno dei fatti di cronaca riportati ne “La gazzetta dei Tribunali”. Il femminicidio avviene ai danni della Signora de Renal, per mano di Julien Sorel, poi decapitato. Egli è precettore presso la casa de Renal e ha una relazione extra coniugale con la donna. Il marito di lei, viene informato dell’adulterio tramite una lettera a anonima, a seguito della quale Julien parte per Besançon ed entra in seminario.
Julien inizia così una storia con Mathilde, figlia del marchese che lo ha assunto come segretario.
Ma la signora de Renal s’intromette tra i due innamorati, inviando una lettera al padre della fanciulla, per screditare l’uomo agli occhi del futuro suocero. Julien, vedendo svanire il sogno di un amore, raggiunge la signora de Renal e la ferisce con un colpo di pistola. Viene per questo ghigliottinato e ottiene il perdono della donna aggredita, che legge nel gesto incauto e folle, un atto di amore. La stessa muore di disperazione pochi giorni dopo. La devozione femminile verso l’uomo, arriva anche da parte di Mathilde, che ne recupera la testa e prima di seppellirla, la bacia.
- “Una stanza tutta per sé”
La scrittrice inglese Virginia Woolf, è autrice di un celebre saggio del 1929, intitolato “Una stanza tutta per sé” (“A room of one’s own”). Lo scopo è rivendicare la possibilità per la donna di essere ammessa alla cultura, fino a quel momento riservata solo all’universo maschile.
L’opera è ambientata presso l’università: la protagonista parla nel college di Oxbridge. Emblematica è la scelta del luogo, visto che è l’ambiente principe dell’esclusione femminile.
La narrazione è condotta da questa protagonista anonima, che non è Virginia Woolf, ma la donna con la “D” maiuscola, quella che ha vissuto nel silenzio per secoli. Se non esiste un muro su cui misurare le gesta della donna, è perché questa è stata esclusa dalla cultura e dalla vita sociale. Secondo l’analisi della scrittrice, in parte la colpa è anche delle donne, troppo occupate a fare le madri e a dedicarsi alle attività domestiche. Non bisogna invece arrendersi al ruolo di madre e una donna deve avere dei soldi e una stanza per sé, se vuole fare la scrittrice.
Il tema viene poi approfondito con il personaggio fittizio di Judith, che Virginia Woolf inventa essere la sorella di Shakespeare, la quale vuole fare la scrittrice. La donna si trova quindi davanti a un bivio: fare la scrittrice, per poi essere etichettata come folle, oppure arrendersi al volere del padre e sposarsi. Alla fine Judith avrà una gravidanza indesiderata e si suiciderà. Virginia Woolf sottolinea quanto sia difficile per la donna staccarsi dal modello patriarcale.
- Shakespeare e i drammi della società moderna
Shakespeare aveva intuito temi di grande attualità. Nella tragedia ritroviamo la manipolazione di Iago ai danni di Otello. Vi è poi l’insopportabile senso d’inferiorità degli uomini verso la donna, in questo caso rappresentata da Desdemona. E infine ricorre il tema della gelosia folle, capace di trasformare l’innamorato in assassino. Tale emozione viene presentata come una forza oscura, insita in chi la prova, indipendentemente dai comportamenti della compagna.
Così, la violenza eseguita a danno delle donne può manifestarsi nell’abuso “emozionale”, in quello “psicologico”, nella violenza sessuale o lesiva a qualsiasi grado. Inutile dire che qualsiasi forma di violenza è dannosa e crea ferite nella donna, siano esse visibili all’occhio umano o siano impresse nella sua anima e nei suoi ricordi.
Riguardo alcuni personaggi della storia ricordiamo, infine, Beatrice Cenci e le sorelle Mirabal.
BEATRICE CENCI, LA TRISTE FINE DI UNA INNOCENZA OPPRESSA
La tragica vicenda di cui è stata protagonista la giovane nobile romana (1577-1599), forse la più famosa detenuta delle prigioni di Castel Sant’Angelo, ha suscitato in epoca romantica l’ammirazione di Shelley, Stendhal e Dumas, i quali nelle loro opere hanno immortalato l’eroina che, sola in una famiglia di codardi, ha osato vendicarsi degli oltraggi subiti da un padre crudele, andando coraggiosamente incontro alla morte.
Beatrice, figlia di Francesco Cenci, uno degli uomini più ricchi di Roma ma altrettanto dissoluto e violento, subisce per tutta la sua adolescenza e giovinezza sevizie ed abusi da parte del padre che, temendo che un eventuale matrimonio della figlia possa intaccare i suoi averi, già dissestati dalle continue spese ed esautorati dalle speculazioni, la segrega, insieme con la matrigna, nella rocca di Petrella Salto vicino Rieti, dove possiede un castello.
Esasperata dalle continue violenze che anche in quel posto sperduto il padre continua a usarle, la Cenci, avvalendosi della complicità del carceriere Olimpio Calvetti, forse divenuto suo amante, lo fa allora trucidare, simulando un incidente.
Molte voci gridano subito al delitto ed una rapida inchiesta conduce all’arresto di Beatrice e dei suoi fratelli Giacomo e Bernardo, che hanno collaborato al suo piano. Dopo la confessione sotto tortura, il processo, seguito dal popolo inorridito ed emozionato, malgrado le molte attenuanti e la simpatia dell’opinione pubblica, determina l’interesse di papa Clemente VIII ad incamerare i beni confiscati dopo la fine della famiglia. All’esecuzione sulla piazza di Ponte Sant’Angelo (sul lato del ponte opposto al castello) l’11 settembre del 1599 assiste una folla immensa di persone, commossa dalla giovinezza e dal coraggio della fanciulla nel salire sul patibolo. Durante l’esecuzione vi sono state ribellioni contro il papa e tumulti e diverse persone trovano addirittura la morte per la rottura di un palco. Il boia stesso alcune settimane dopo, lacerato dai sensi di colpa per aver spezzato la vita di Beatrice e della sua famiglia, si uccide.
Le sorelle Mirabal
“Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza”, racconterà anni dopo Dedé, unica sorella sopravvissuta. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere e la confisca dei beni.
Una continua persecuzione che convincerà anche le sorelle Patria e Maria Teresa e i rispettivi mariti a diventare attivisti contro il dittatore della Repubblica Dominicana, riunendosi nel gruppo politico clandestino denominato “Movimento 14 giugno” (la loro opera rivoluzionaria sarà tanto efficace che il dittatore in una visita a Salcedo esclamerà: “Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal”). Una decisione, questa, che costerà alle Mariposas la vita.
Il 25 novembre 1960 la jeep su cui viaggiano con l’inganno di poter rivedere i propri mariti ancora reclusi sarà oggetto di un’imboscata da parte dei servizi segreti del regime di Trujillo. Patria, Minerva e Maria Teresa saranno picchiate, violentate, strangolate e gettate in un fosso nel tentativo di far sembrare la loro morte un incidente.
Nessuno crederà a questa versione dei fatti e il femminicidio delle tre sorelle Mirabal catalizzerà l’attenzione internazionale e locale contro il sanguinoso regime dittatoriale di Rafael Leonidas Trujillo, assassinato dai capi militari della Repubblica Dominicana il 30 maggio dell’anno successivo. Purtroppo da quel lontano novembre del 1960 tantissime saranno le donne uccise.
La trentennale dittatura di Trujillo sulla Repubblica Dominicana viene considerata una delle più dure dell’America Latina: dal 1930 al 1960 si calcola che sono state uccise più di 50.000 persone.
Minerva, Maria Teresa e Patria Mirabal vengono uccise in quel lontano 25 novembre di tanti anni fa per le loro idee politiche e perché reputano un dovere l’esporsi per sostenerle. Vengono uccise perché la loro sfrontata femminilità,il loro modo di essere donne irrita il regime. Frequentano l’università, guidano la macchina, partecipano a riunioni politiche, sono belle, libere, colte, indipendenti. Hanno delle idee non stereotipate e non hanno paura di esprimerle, per questo il regime ha scelto di farle tacere.
Quando a Minerva Mirabal dicono che Trujillo l’avrebbe fatta ammazzare, lei risponde: “Se mi ammazzano, tirerò fuori le braccia dalla tomba e sarò più forte”. La promessa di Minerva si è realizzata: dall’assassinio delle sorelle Mirabal la dittatura di Trujillo ha iniziato a scricchiolare. Qualche mese dopo il dittatore venne assassinato e, nel 1962, si tennero finalmente le prime elezioni libere dall’inizio della dittatura.
La data del 25 novembre non è casuale. Si è scelto quel giorno per la lotta alla violenza sulle donne per ricordare tre sorelle coraggiose, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), assassinate brutalmente il 25 novembre del 1960 da mandanti del dittatore Trujillo.
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Nella risoluzione viene precisato che si intende per violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.
La data di questa giornata internazionale segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre, per sottolineare come la violenza contro le donne sia una violazione dei diritti umani. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ong a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
Giovanni Teresi