La stranezza (2022), di Roberto Andò. Recensione di Mattia Nuzzaci
Il tragicomico ben calibrato a svelare ciò di cui fruire dalla dimensione metateatrale tanto cara ad Andò. Laddove l’arte smette la sua progressione deterministica, avviene la rivoluzione, che è nel paradosso di cosa può essere davvero naturale su di un palco o nella realtà quotidiana, la stessa che priva di sovrastrutture, diviene pulsione di vitalismo.
È lì l’incoscienza pirandelliana, è “La stranezza” quella che pur accentuando il suo tratto di incomunicabilità, ha l’esigenza di far scegliere al pubblico da che parte stare. Ammesso ve ne sia una. Nel mentre il personaggio prima ancora di ricercare il suo autore, deve ricercare se stesso. D’altronde è quello che fa anche lo stesso Pirandello, recuperando i rapporti con la sua terra d’origine da cui non sente l’esigenza di fuggire come l’altrettanto suo insoddisfatto Mattia Pascal. Andò ha la capacità di raccontare il tutto con ironia per poi calare il plot twist in una cornice quasi drammatica. Il tutto accompagnato da una fotografia suggestiva. Nella direzione attoriale sorprendono Ficarra e Picone, mentre Servillo si dimostra utile anche quando lavora di sottrazione.
“La stranezza” è un’opera riuscita, tranne probabilmente nella formulazione di un discorso funzionale sul teatro davvero incisivo, probabilmente l’unico difetto palesato da un finale un po’ troppo aperto ma che non toglie granché al giudizio complessivo.
Mattia Nuzzaci