La spiritualità di Etty Illesum (1914-1943). Il cuore pensante della baracca
di Vincenzo Fiaschitello
Quando Etty Illesum si autodefinisce nel suo Diario “Cuore pensante della baracca”, la mia memoria corre spontaneamente a ciò che narra Carlo Gustav Jung allorché un giorno si trovò a colloquio con un capo indiano, il quale considerava i bianchi tutti pazzi perché pensavano con la testa. E dopo avergli domandato il motivo di quella sua convinzione, quello, indicando il cuore, gli rispose: “Noi pensiamo qui”.
Trovo sorprendente, se non misterioso, che questa intuizione dell’unità di mente e cuore, sia nata in Etty per il tramite di un personaggio, Julius Spier, che si formò proprio alla scuola di Jung, ricevendone incoraggiamento e appoggio scientifico per la fondazione di una nuova disciplina chiamata Psicochirologia (Jung scrisse la prefazione al libro di J. Spier, Le mani dei bambini- Introduzione alla psicochirologia, Nuova Ipsa, Palermo, 1999).
Chi legge il Diario (Etty Illesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano, 1985) e le Lettere (Etty Illesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano,
1990), apprende che Spier ebbe un ruolo centrale nella vita di Etty: c’è
una Etty prima di Spier e una Etty dopo Spier.
E dunque cominciamo a esplorare la prima parte della sua esistenza. Ebrea, nata ad Amsterdam il 15 gennaio 1914, di famiglia agiata: il padre era un professore di latino e greco, divenuto in seguito preside; la madre, molto legata alle sue origini russe, coltivava la lingua materna e amava insegnarla. Non si hanno molte notizie sulla vita di Etty fino allo scoppio della guerra nel 1939, se non che era una ragazza molto intelligente, gioiosa, amante delle feste in compagnia di numerosi amici, sentimentale, ambiziosa, appassionata di letteratura, teatro e musica. Ammirava il fratello più piccolo, Mischa, che già a sei anni aveva debuttato come pianista suonando Beethoven. Anche l’altro fratello Jaap, nato nel 1916, dava lustro alla famiglia perché a 17 anni aveva scoperto un nuovo tipo di vitamina, per cui era stato accolto alla facoltà di medicina con ottime prospettive per il futuro.
Tuttavia la sua naturale allegria era offuscata da alcune situazioni familiarie tempestose, che la turbarono alquanto: prima fra tutte il rapporto non idilliaco con la madre, alla quale rimproverava una incapacità organizzativa nella conduzione della casa e poi con il padre per il quale nutriva un certo risentimento per averla lasciata nell’isolamento e nella insicurezza. Per i due fratelli aveva grande stima. Il ricovero in ospedale psichiatrico in tempi diversi sia per l’uno che per l’altro, l’aveva però prostrata terribilmente e atterrita per la possibilità di presenza di tare ereditarie nella sua famiglia.
Conseguita la laurea in giurisprudenza, Etty studiò lingue slave e, desiderando vivere liberamente, lasciò la casa di famiglia e accettò l’ospitalità in una grande casa, il cui proprietario era un vedovo piuttosto anziano con un figlio ventenne. Completavano il gruppo altre tre persone: una cuoca, un tranquillo uomo che si intendeva di politica e una infermiera. A Etty era stato assegnato il compito di occuparsi dell’andamento della casa, ma ben presto nacque una relazione amorosa prima con il vedovo e più tardi con il figlio.
Queste esperienze sessuali che Etty annota nel suo diario, come varie altre, testimoniano la passione amorosa, la sensualità, la carica erotica, il desiderio di avventure che avvolgevano la sua persona: “Se un uomo, scriveva lunedì 10 marzo 1941 (il giorno dopo aver iniziato il suo diario che si concluderà il 12 ottobre 1942), mi fa una certa impressione, sono capace di abbandonarmi per giorni e notti alle mie fantasie erotiche”. (Diario, op.cit. p.28).
Ed è con sincerità, trasparenza e rammarico, che riconosce certi eccessi della vita passata ancora il 7 luglio 1942 quando scrive parlando di sé e di Spier: “Abbiamo avuto entrambi una vita molto libera e sregolata di amori trascorsi in molti letti altrui, eppure siamo ancora capaci di essere timidi ogni volta. E’ molto bello che sia così e me ne rallegro” (Diario op.cit. p.148).
Tale leale confessione dà il segno della personalità di questa giovane ebrea, libera, indomabile, pur in mezzo all’immane dramma che si andava delineando con l’occupazione dell’Olanda da parte dell’esercito germanico nazista (14 maggio 1940). Seduta al tavolo del suo studiolo accanto ai libri prediletti come la Bibbia, al primo posto, le poesie di Rilke, i romanzi di Dostoevskij, Etty conduce una vita piacevole con gli amici, fatta di incontri musicali, di discussioni culturali, di passioni amorose, fino a quando una dopo l’altra sopraggiungono le inquietanti limitazioni della libertà personale imposte agli ebrei: prima il divieto di ingresso in alcuni negozi, l’espulsione dalle scuole, il divieto di frequentare certe vie e canali di Amsterdam, la rimozione dei dipendenti pubblici ebrei dai loro posti di lavoro, la registrazione di tutti gli ebrei, il divieto di allontanamento dalla città, il divieto di servirsi dei mezzi pubblici di trasporto, il divieto di andare in bicicletta, ecc.
Tuttavia quella valanga di regolamenti antisemiti non spezzò l’ottimismo di Etty e la sua gioia di vivere. In contatto con gli amici dei circoli antifascisti studenteschi di sinistra, ormai libera dai vincoli familiari, trasferita nella nuova residenza accanto alla piazza principale di Amsterdam, Etty, durante una serata musicale, lunedì 3 febbraio 1941 conosce Julius Spier, ebreo, seguace della psicologia di Jung e suo allievo e collaboratore. Subito Etty restò colpita dal carisma di Spier, come tante altre giovani donne che lo esaltavano e ne riconoscevano il fascino che emanava dalla sua “magica personalità”.
Spier attraeva nella sua orbita anche uomini professionalmente affermati, tra costoro anche noti giornalisti che contribuivano a far crescere la sua popolarità. La sua tecnica della lettura delle mani non era diretta a far conoscere il futuro delle persone che a lui ricorrevano, ma a far scoprire aspetti della personalità, conflitti interiori, paure, desideri, senso e scopo della vita personale.
Etty rapidamente da paziente divenne assistente di Spier e poco dopo anche sua amante. Spier aveva 54 anni, Etty 27.
Inizialmente la relazione amorosa, definita dalla stessa Etty, “ambigua e curiosa”, perché ciascuno dei due manteneva una forma di distacco (si davano del “lei” e passarono al “tu” dopo parecchio tempo): lui desiderava restare fedele alla sua fidanzata che allora risiedeva a Londra e lei al suo amante di turno che era il vedovo proprietario della casa dove era stata ospitata.
In poche settimane il rapporto con Julius Spier si rivelò per Etty straordinariamente importante, al punto che per lei Spier divenne non solo maestro di vita ma addirittura l’ostetrico , come lei stessa lo definì, che appunto fece nascere una nuova Etty. Con lui Etty da “gomitolo aggrovigliato”, quale si sentiva nel corso della sua vita irrequieta e scandalosa, si trasforma gradualmente in un essere che avverte il bisogno di pensare, di guardare sempre più attentamente nella sua interiorità, entro la quale scopre il divino. “Tutte le avventure e le relazioni che ho avuto mi hanno resa terribilmente infelice, mi hanno straziata… le mie forze interiori hanno potuto organizzarsi, esse hanno cominciato a lottare contro il mio desiderio di avventure e contro la mia curiosità erotica (Diario, op. cit. p.36). Partendo dalla posizione di atea, attraverso la sua straordinaria sensibilità, intraprende un cammino che la conduce a spiritualizzare tutto ciò che è esterno, compreso l’amore fisico per Spier che ama profondamente.
E alla data del 6 ottobre 1941 annota nel suo diario: “Il sesso non è più così importante per me, anche se può sembrare il contrario… quel che ho di veramente fisico è per molti versi incrinato e indebolito da un processo di spiritualizzazione” (Diario, op. cit. p. 65)
Più avanti precisa che pur avendo un gran bisogno di carezze e di tenerezza, riconosce di non essere adatta a un uomo solo, perché il suo cuore molto appassionato non è per una persona sola, ma per tutte le persone. Il tempo dell’amore per Spier è contrassegnato da un evento che procura a Etty una forte angoscia, la stessa che provano “tutte quelle ragazze che s’accorgono con terrore di aspettare un figlio non desiderato… tutti gli esseri umani son infelici, quindi non voglio prendermi la responsabilità di aumentare il numero di quegli sventurati”.(Diario op. cit. p. 82). E ancora con linguaggio piuttosto crudo scrive: “Ti attaccherò con acqua calda e con orribili strumenti, ti combatterò con pazienza e costanza fintanto che non ti sarai di nuovo dissolto nel nulla e allora sentirò di aver compiuto un’azione buona e responsabile” (Diario, op. cit. p.85).
Certo in questa azione, condannata sia dall’ebraismo che dal cattolicesimo, dovettero pesare quel tormento e orrore provati da Etty quando assistette impotente al ricovero forzato in un istituto psichiatrico prima del fratello più piccolo Misha e poi dell’altro più grande Jaap: fu infatti in quella occasione che Etty giurò che non avrebbe mai messo al mondo un bambino sicuramente destinato a soffrire come tutti gli esseri umani.
Spier, malato di cancro, morì il giorno prima che la Gestapo arrivasse a casa sua per arrestarlo e spedirlo ad Auschwitz. Etty piange la morte dell’amico, ma è felice perché si è salvato da sofferenze e orrori di cui già da tempo ebrei olandesi e ebrei tedeschi hanno avuto precise notizie.
Martedì notte all’una del 16 ottobre 1942, Etty annota: “Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che mi hai insegnato a pronunciare con naturalezza il nome di Dio. Sei stato l’intermediario tra Dio e me”. (Diario, op. cit. p.196).
L’immane tragedia dell’Olocausto è già in pieno svolgimento e Etty prega in ginocchio tra le lacrime, ricordando che anche questo gesto, non trasmesso dalla tradizione religiosa ebraica, era stato un insegnamento dell’ebreo Spier, tanto che scherzando, le aveva suggerito di scrivere la storia di una ragazza che non voleva inginocchiarsi.
La sera del 31 dicembre del 1941, Etty aveva scritto che quella era “l’ultima sera di un anno che è stato per me il più ricco e fruttuoso, e insieme il più felice di tutti… a partire dal 3 febbraio… per la mia grande presa di coscienza”. (Diario, op. cit. p.93).
Dunque il tempo trascorso accanto a Spier è stato particolarmente prezioso perché il suo amico ha sciolto il groviglio, il caos, nel quale era immersa, aiutandola a trovare una sicurezza emotiva e la fede in Dio.
Lo scrittore e storico Patrick Shane Wolfe ha ricordato che: “Settant’anni dopo la sua morte, Papa Benedetto XVI la definì una donna trasfigurata dalla fede, così piena di amore e di pace interiore che pur sapendo che sarebbe morta nell’Olocausto, era in grado di dichiarare Vivo in costante intimità con Dio”.
La lettura della Bibbia (i Salmi soprattutto), del Nuovo Testamento, del Corano, del Talmud, di Meister Eckhart, di Sant’Agostino, la confortano, le fanno ritenere di scarsa importanza la sofferenza personale, fino a darle la certezza della necessità di condividere il dolore con tutto il suo popolo e ancor più con l’intera umanità. Qualche ebreo influente l’aveva aiutata a far parte del Consiglio ebraico della città, una sorta di governo fantoccio che i nazisti avevano creato per un migliore controllo della comunità ebraica e per la pronta trasmissione delle decisioni assunte dalle autorità germaniche. Il compito di Etty era puramente amministrativo. Resistette poco più di una settimana, come dattilografa, a scrivere lettere e liste di nominativi di ebrei destinati alla deportazione. Poi si rese conto che il suo posto era direttamente nei luoghi di sofferenza.
I nazisti, già dall’inizio della occupazione dell’Olanda, avevano istituito il campo di Westerbrok, un campo dove gli ebrei erano costretti a lavorare in attesa di essere deportati in un campo di concentramento e di sterminio come quello di Auschwitz in Polonia. Ebbene Etty, pur consapevole di andare incontro alla morte, chiese e ottenne di essere assegnata al campo di Westerbrok, quasi come una assistente sociale per aiutare i bambini, le donne, i vecchi, ad affrontare l’angoscia della partenza. Ogni martedì un treno merci di un ventina di vagoni carichi di ebrei partiva da Westerbrok per Auschwitz. Dopo tre giorni di viaggio infernale molti giungevano cadaveri, altri venivano subito dirottati alle camere a gas, i sopravvissuti venivano sistemati nelle baracche in attesa del loro turno.
Dinanzi a quell’abisso di male, Etty aveva una parola di conforto per ognuno di quella umanità così terribilmente provata nel corpo e nell’anima. Condividendo la loro sofferenza, la giovane donna si interrogava sui motivi di tanta sofferenza generata dalla disumanità degli uomini e scriveva: “dall’aprile scorso sono morti 700.000 ebrei… eppure non riesco a trovare assurda la vita… eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni momento.” (Diario, op. cit. p.134).
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una donna che rasenta la follia per simile affermazione. Ma non è così!
Etty in diverse altre circostanze dichiara questo suo amore per la vita, nonostante tutto ciò che di doloroso e orribile accade attorno a lei. Lo fa perché, come ha scritto Edgarda Ferri nella biografia a lei dedicata
(E. Ferri, Un gomitolo aggrovigliato è il mio cuore. Vita di E, Illesum, La Nave di Teseo, Milano, 2017), è una giovane assetata di vita e di amore.
Nel suo diario Etty scrive: “Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita… sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine.” (Diario, op. cit. p. 136). E poco più avanti: “Il dolore ha sempre preteso il suo posto… Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integralo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita… sono certa che la vita è bellissima, degna di essere vissuta e ricca di significato. Malgrado tutto.” (Diario, op. cit. p. 137).
Un’altra affermazione sulla vita che trovo colma di sapienza filosofica è la seguente: “Dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere… La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto. (Diario, op. cit. pp. 138-139).
Etty dice che avrebbe voluto essere un poeta per descrivere la bellezza che pure c’è sotto i suoi occhi: ogni varietà di fiori, anemoni, rose, orchidee, narcisi, campanule, tulipani, viole, puntualmente si alternano sul suo scrittoio accanto alla piccola lampada, mentre spesso scrive fino a notte inoltrata, tutto è armonia e bellezza, persino il ruvido tappeto dove in ginocchio prega.
Ora mi viene spontaneo pensare. E’ vero che Etty Illesum non può essere annoverata tra i poeti e i filosofi riconosciuti tali, ma una scrittrice sicuramente sì. Comunque si voglia pensare, io credo che in fondo il processo della cultura umana abbia seguito sempre una direzione e cioè quella che inizialmente parte da una profonda intuizione di persone speciali, in genere i poeti, gli artisti, i mistici, sui quali non si sa bene come salgano dalla interiorità o come scendano dall’alto dei cieli le idee che, simili a donne di raffinata eleganza e splendente bellezza spontaneamente e senza preventivo invito, si presentano dinanzi al cuore e alla mente di quei pochi privilegiati. E non c’è alcun dubbio che Etty Illesum fa parte di tale eccezionale schiera. I filosofi, cioè coloro che con grande capacità razionale e intelligenza sistematica raccolgono le intuizioni dei primi, vengono dopo.
Nel caso di Etty non è affatto difficile trovare che alcune intuizioni a distanza di oltre ottant’anni sono presenti in correnti di pensiero del nostro tempo, soprattutto sul piano dell’etica. Proviamo dunque ad esplorare alcuni aspetti straordinariamente sorprendenti per la loro attualità.
Premesso, come scrive J.G. Gaarlandt nella introduzione al diario che “i cristiani rivendicano Etty come la quintessenza del cristianesimo, e gli ebrei come la quintessenza dell’ebraismo (Diario, op.cit. p.13), dobbiamo ricordare che in realtà quando Etty approda alla religione resta sempre con il suo ardente temperamento provocatorio e anticonvenzionale. Non si fa catturare né dalla Chiesa cattolica con i suoi dogmi e con la sua liturgia, né dalla Sinagoga e dalla tradizione biblica. Il Dio che scopre, dopo l’incontro con Spier, è il Dio presente nella sua interiorità, frutto di un dialogo continuo con la parte più profonda di lei: “dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in questa sorgente c’è Dio.” (Diario, op.cit. p.60).
Più avanti scrive: “Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi.” (Diario, op.cit. pp.169-170).
E infine in un lettera del 18 agosto 1943, pochi giorni prima di ricevere l’ordine di salire su quel treno del martedì che la porterà ad Auschwitz, dove si concluderà la sua breve vita, scrive: “Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio.” (Etty Illesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano, 1990 p.122).
Se dunque ora richiamiamo i punti di forza dei nuovi orientamenti della teologia contemporanea, soprattutto della teologia laica, possiamo facilmente trovare quali e quante idee religiose “rivoluzionarie” questa donna del primo novecento, ebrea non praticante né cattolica, ha saputo ispirare, idee via via maturate nei decenni successivi. La sua religiosità non accetta né dogmi né gerarchie; non accetta l’immagine di un Dio, guerriero e vendicativo, come spesso si rivela nel Vecchio Testamento, specialmente nel libro dei Salmi. Il Dio di Etty si identifica con l’interiorità, che può essere chiamato sorgente, forza, luce, energia, coscienza. Il nome ha poca importanza: ciascuno ha dentro di sé un piccolo pezzo di Dio.
Se troviamo una chiara concordanza con il pensiero di sant’Agostino (almeno del primo sant’Agostino delle “Confessioni”: In interiore homine habitat veritas), subito dopo si deve ammettere che la divergenza si fa strada, che è poi quella seguita attualmente dalla gran parte della teologia laica. Quando infatti Etty scrive che Dio non può aiutarli nell’immensa tragedia che lei e il suo popolo stanno vivendo, io credo che voglia sottintendere almeno due cose: la prima è che non è accettabile l’idea di un Dio creatore della terra e del cosmo che premia (Paradiso) e punisce (Inferno) e tutto sommato resta lontano dagli uomini, nonostante le guerre, le devastazioni, i cataclismi, le sofferenze, le ingiustizie, ecc.; la seconda cosa che va respinta è che se Dio viene implorato può intervenire mediante i miracoli. Si tratta di una radicata convinzione trasmessaci dalla tradizione biblica, sebbene un filosofo come B. Spinoza l’avesse respinta mediante un nuovo concetto di natura e una diversa metodologia di interpretazione della Bibbia nel Trattato teologico-politico e nell’Etica. Dio è il creatore della natura secondo leggi eterne che non possono essere violate e dunque: come è possibile pensare che Egli possa smentirle con i suoi interventi, richiesti dagli uomini? Non può fare da “tappabuchi”. E questo comporta che l’uomo sia in torto quando si lamenta perché si sente abbandonato nei pericoli, nella sofferenza, nelle stragi di innocenti, negli orrori delle persecuzioni, ecc. Etty ha le idee chiare su questo punto. Dio ha costruito la sua casa in ciascuno di noi. Così scrive nel suo diario: “A ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarmi, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”. (Diario, op.cit. p.169).
Da questo mistico pensiero discende che, ritenendo Dio come forza interiore, come energia che illumina la coscienza e la abita, siamo portati ad amare gli altri, tutti, anche coloro che ci infliggono sofferenze: “Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. E cerco di disseppellirti dal loro cuore.” (Diario, op. cit. p.194).
Forte di tale consapevolezza, Etty non può abbandonare gli altri, in particolare la gente del suo popolo destinato all’annientamento, per cui, non ritenendosi affatto nelle grinfie di uomini violenti ma fra le braccia di Dio protetta e sicura, impregnata di eternità, si muove tra le baracche del campo di Westerbrok a portare aiuto, a confortare chi è in preda alla disperazione, chi è ammalato, chi è privato anche delle più piccole cose necessarie alla sopravvivenza. Così annota nel suo diario: “Non voglio stare al sicuro, voglio esserci, voglio che ci sia un po’ di fratellanza tra tutti questi cosiddetti nemici dovunque io mi trovi…voglio stare fra gli uomini, fra le loro paure.” (Diario, op.cit. pp.228-229).
Un’altra fondamentale idea, che emerge dal diario di Etty e che la teologia contemporanea assume come visione oggettiva della realtà, come colonna portante della spiritualità, è la consapevolezza che “la vita è composta di contraddizioni… queste vanno accettate tutte come sue parti integranti… non si può accettarne una a spese di un’altra.” (Diario, op.cit. p.58). E Etty resta fedele a questo principio fino alla vigilia della sua deportazione nella notte tra il 6 e il 7 settembre 1943, come scrive nella sua ultima lettera indirizzata all’amica Maria Tuinzing: “siamo stati marchiati dal dolore, per sempre. Eppure la vita è meravigliosamente buona nella sua inesplicabile profondità.” (Lettere, op.cit.p.148). E ancora, in una precedente lettera agli amici il 3 luglio 1943 aveva scritto: “La vita è una cosa splendida e grande… A ogni crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi… Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.” (Lettere, op. cit. p.87).
Il tema della bontà e dell’amore è presente in vari passi del suo diario con una precisa raccomandazione riguardo alla necessità di fare in primo luogo la nostra parte dentro di noi: “Una pace futura, scrive Etty, potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo.” (Diario, op.cit. p. 127). La sua è una testimonianza altissima di amore per tutti gli uomini e di condanna dell’odio indifferenziato che considera la cosa peggiore che ci sia, una vera e propria malattia dell’anima: “se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’ultimo tedesco meriterebbe di essere difeso…e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero.” (Diario, op.cit. p.29). E ancora, dopo aver meditato sul vangelo, in particolare su Matteo, 5, 23, scrive:” Convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale.” (Diario, op. cit. p.212).
Credendo fermamente in tali principi ai quali ispirò tutta la sua generosa attività di cura e di conforto verso gli altri nel campo di Westerbrok, il 12 ottobre 1942 poté scrivere coerentemente queste ultime parole con le quali si chiude il diario: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.” (Diario, op.cit. p.239).
Non meno significative sono queste altre scritte su una cartolina postale che Etty riuscì a gettare fuori dal treno il 7 settembre 1943 ( poi ritrovata da un contadino e spedita all’indirizzo dell’amica di famiglia Christine von Nooten) :”La partenza è giunta inaspettata… Abbiamo lasciato il campo cantando.” (Lettere, op. cit. p. 149).
Etty Illesum morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943.
Bibliografia
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A. Consolo, E.Illesum. Il coraggio della scrittura, Ares, Milano, 2022
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