La speranza per i bambini morti senza battesimo. Un documento approvato dal Pontefice Benedetto XVI
di Giovanni Teresi
La speranza per i bambini morti senza battesimo – (Inf. Canto IV Divina Commedia)
Ingresso nel Limbo (25-63)
…
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri,
che l’aura etterna facevan tremare; 27
ciò avvenia di duol sanza martìri
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di femmine e di viri. 30
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch’è porta de la fede che tu credi; 36
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo. 39
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi,
che sanza speme vivemo in disio». 42
Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. 45
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia’ io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore: 48
«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 51
rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato. 54
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moisè legista e ubidente; 57
Abraàm patriarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé; 60
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati». 63
Note: Il v. 30 riecheggia Aen., VI, 306-307: matres atque viri… pueri innuptaeque puellae («donne e uomini, fanciulli e ragazze ancora non maritate»), riferito alle anime che si affollano in riva all’cheronte.
Le parole di Virgilio ai vv. 33-36 anticipano la spiegazione dell’aquila nel Cielo di Giove, Par., XIX, 103-105: A questo regno / non salì mai chi non credette ‘n Cristo, / né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.
Al v. 45 l’agg. sospesi è lo stesso usato da Virgilio in II, 52.
COMMENTO:
Appena entrato nel Cerchio, Dante sente trarre sospiri da ogni parte, emessi dalle molte anime presenti che non subiscono alcuna pena. Virgilio spiega al discepolo che queste anime non commisero alcun peccato, ma non ricevettero il battesimo, il che li esclude per sempre dalla salvezza. Tra di essi vi sono anche i pagani che vissero virtuosamente ma non adorarono il Dio cristiano, compreso Virgilio stesso; la loro unica pena consiste del desiderio inappagato di vedere Dio. Dante comprende che nel Limbo sono «sospese» anime di grandissimo valore e virtuose.
Dante chiede poi a Virgilio se mai qualcuna di queste anime sia uscita dal Limbo, per merito suo o di altri. Virgilio risponde che poco tempo dopo il suo arrivo vide entrare Cristo trionfante (dopo la Risurrezione), che trasse fuori dal Limbo i patriarchi biblici per portarli in Paradiso: tra damo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, David, Giacobbe e i suoi figli, Isacco, Rachele. Prima di loro, conclude Virgilio, nessuno si era mai salvato.
Uno degli aspetti più problematici inerenti le anime confinate nel Limbo riguarda i bambini morti prima di essere battezzati, che pur essendo innocenti e non avendo commesso alcuna colpa sono irrimediabilmente esclusi dalla salvezza: il punto doveva colpire non poco i teologi medievali, che infatti se ne occupano in più di uno scritto, ed anche lo stesso Dante vi accenna ripetutamente nella sua descrizione del I Cerchio da cui proviene la sua guida nella prima parte del viaggio, il poeta latino Virgilio. In Inf., IV, 29-30 egli sottolinea che nel Limbo si sentono dei profondi sospiri emessi dalle anime lì relegate, turbe, ch’eran molte e grandi, / d’infanti e di femmine e di viri, mentre in Purg., VII, 31-33 è Virgilio a spiegare al concittadino Sordello che nel I Cerchio ci sono anche i pargoli innocenti / dai denti morsi de la morte avante / che fosser de l’umana colpa esenti, parole in cui è evidente l’apparente ingiustizia che la volontà divina sembra riservare a questa categoria di anime. Va aggiunto che l’aquila degli spiriti giusti, nel suo discorso sulla predestinazione e sulla salvezza nei Canti XIX-XX del Paradiso, risponde al dubbio di Dante sull’argomento (che lui stesso dichiara che lo ha tormentato a lungo) riconducendo tutto all’imperscrutabile giudizio divino, per cui ciò che può sembrare un’apparente ingiustizia trova la sua spiegazione nell’abisso della saggezza di Dio, che però è inconoscibile al limitato intelletto umano.
Il tema è delicato, in quanto l’esistenza del Limbo era ammessa dalla dottrina cristiana ma non trovava giustificazione in nessun punto delle Scritture, senza contare che il battesimo non era sempre condizione indispensabile per essere ammessi alla grazia: oltre all’eccezione rappresentata dai patriarchi biblici, rimasti nel Limbo fino alla Resurrezione di Cristo e poi portati da Lui in Paradiso, la dottrina riconosceva il caso di quei pagani che per meriti eccezionali e in virtù di un alto privilegio erano stati salvati, di cui vi sono vari esempi anche nel poema dantesco (i più clamorosi sono quelli di Catone Uticense, Rifeo e Traiano). Recentemente la Chiesa Cattolica è tornata sulla questione dei bambini morti senza battesimo e ha cautamente ipotizzato che per essi vi possa essere una speranza di salvezza, rimuovendo dunque il carattere di perentorietà circa la loro perdizione che era posta dalla teologia medievale: nel 2007 la Commissione Teologica Internazionale ha infatti redatto un documento, approvato dal pontefice Benedetto XVI, in cui si afferma che il battesimo è condizione necessaria per essere ammessi alla grazia, ma che è lecito sperare che Dio possa salvare i bambini morti senza aver ricevuto il sacramento (dunque l’esistenza del Limbo non viene negata e, anzi, esso viene ritenuta un’«ipotesi teologica possibile», ma viene di molto attenuata la sua importanza sul piano della salvezza individuale).
Ecco come si esprime la Chiesa nel citato documento:
«La conclusione dello studio è che vi sono ragioni teologiche e liturgiche per motivare la speranza che i bambini morti senza Battesimo possano essere salvati e introdotti nella beatitudine eterna, sebbene su questo problema non ci sia un insegnamento esplicito della Rivelazione. Nessuna delle considerazioni che il testo propone per motivare un nuovo approccio alla questione, può essere addotta per negare la necessità del Battesimo né per ritardare il rito della sua amministrazione. Piuttosto vi sono ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato fare per loro, cioè battezzarli nella fede della Chiesa e inserirli visibilmente nel Corpo di Cristo… Gli adulti, essendo stati dotati di ragione, coscienza e libertà, sono responsabili del proprio destino, nella misura in cui accolgono o respingono la grazia di Dio. I bambini tuttavia, non avendo ancora l’uso della ragione, della coscienza e della libertà, non possono decidere per se stessi…
Da un punto di vista teologico, lo sviluppo di una teologia della speranza e di una ecclesiologia della comunione, insieme al riconoscimento della grandezza della misericordia divina, mettono in discussione un’interpretazione eccessivamente restrittiva della salvezza» (testo approvato il 19 genn. 2007 e pubblicato sul sito ufficiale del Vaticano).
Tale posizione della Chiesa non fa che risolvere, almeno in parte, i dubbi teologici che già Dante e i pensatori del suo tempo avevano avanzato sulla questione, e pur non dichiarando espressamente che questi bambini saranno salvi, tuttavia riconduce ancora tutto alla volontà di Dio, mettendo maggiormente l’accento sulla Sua misericordia piuttosto che sul carattere implacabile della Sua giustizia. Non sappiamo cosa avrebbe pensato Dante se avesse potuto leggere queste considerazioni, ma è lecito affermare che il documento citato resta nel solco della dottrina e non ne mette in discussione i principi fondamentali (caso mai, li interpreta in maniera meno restrittiva), per cui l’attuale posizione della Chiesa non è certo in contrasto con quella espressa da Dante il quale, non dimentichiamolo, si rifaceva anch’egli strettamente alle affermazioni dei teologi a lui coevi.