La Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici a Lecce un centro di eccellenza
Di Paul Arthur.
Quando sono arrivato a Lecce per la prima volta nell’ormai lontano 1991, sentivo di aver raggiunto l’ultimo lembo dell’Italia (De finibus terrae), dopo vari anni vissuti, prima a Roma, poi a Napoli, due capitali di quella che sarebbe dopo il 1861 divenuta un’Italia unita. Non potevo sbagliarmi di più.
L’Università del Salento era riconosciuta come uno dei più prestigiosi centri di studi dell’archeologia in questo Paese, merito dei vari docenti che si erano susseguiti negli anni, incardinati nel Dipartimento di Beni Culturali e nella Scuola di Specializzazione in Archeologia (e, in seguito al D.M. del 31 gennaio 2006, ora Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici!). Quest’ultima, fondata nell’anno accademico 1979-1980 (solo una mezza dozzina di anni dopo che Giovanni Spadolini aveva fatto istituire un Ministero specifico per la tutela e valorizzazione dei Beni Culturali in Italia), trae le sue caratteristiche distintive da un’intensa attività archeologica e storica da parte degli allora docenti dell’Ateneo che, giustamente, avevano uno sguardo particolare verso l’Oriente.
Tali studiosi avevano fatto in modo che Lecce diventasse un punto di riferimento obbligatorio per chi voleva esplorare la Magna Grecia ed i contatti tra l’Italia, i Balcani e l’Asia Minore. Persone quali Attilio Stazio, Cosimo Pagliara, Francesco D’Andria, Marcello Guaitoli e Mario Lombardo hanno portato l’Ateneo ad essere uno dei maggior punti di riferimento per l’antichistica dell’intero mondo mediterraneo. Allora, il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia era Cosimo Damiano Fonseca, eccezionale promotore di studi medievistici, della storia della prima Chiesa e dell’insediamento rupestre, con un particolare occhio al suo straordinario
paese natale di Massafra. Lui, meritatamente, divenne il primo direttore della Scuola di Archeologia e, successivamente, fondò l’Università della Basilicata con la propria Scuola di Specializzazione in Archeologia.
I docenti fondatori della Scuola a Matera provenivano, altresì, dalla Scuola leccese. Il 6 febbraio 1980, Giovanni Pugliese Carratelli, ex Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, tenne la prolusione per l’inaugurazione del I Anno Accademico della Scuola di Specializzazione a Lecce, con una lezione sull’annosa questione di “Storia e realtà archeologica”. È stato un anno esemplare, con insegnamenti tenuti anche da illustri studiosi quali Georges Vallet (Direttore dell’École Française a Roma), Alastair Small (University of Alberta) e Massimo Oldoni (Università di Roma “La Sapienza”).
Agli inizi degli anni ‘90, l’istituzione di un Corso di laurea in Beni Culturali
prima, divenuto Dipartimento nel 1993 e Facoltà poi nel 1997, ha rafforzato l’autorevole nucleo di studiosi di storia ed antichistica, grazie soprattutto
all’entusiasmo ed impegno di Luigi “Gino” Rizzo. Per il settore dei Beni Culturali ebbe così inizio una fase nuova di sviluppo che, insieme ad un’intesa con la Soprintendenza Archeologica retta da Giuseppe Andreassi ed alcuni progetti ben finanziati dal CNR, ha portato ad un più intenso e organizzato impegno archeologico nella creazione di laboratori e nell’attività sul terreno e, eventualmente, anche sott’acqua.
L’intesa che si era creata a Lecce tra l’Università e la Soprintendenza, ovvero tra il MIUR e il MiBACT, per certi versi sembra essere echeggiato dalle attuali proposte di riforma, che tentano di istituire una maggiore collaborazione tra i due Ministeri, cosa che non sempre ci è stata, se non a livello di singole realtà territoriali (p. es. Ricci 2002, 361-362).
Comunque, il risultato più incisivo di quel percorso storico fu la creazione del Dipartimento dello stesso nome, negli anni ’90 appunto, al quale oggi afferisce la Scuola, e che detiene una delle migliori biblioteche di Archeologia, Storia antica e Numismatica dell’Italia meridionale, nonché una nutrita serie di laboratori specializzati (cf. infra).
Nel 1984 Cosimo Damiano Fonseca fu sostituito, come Direttore della
Scuola, da Dinu Adamesteanu, energico ed appassionato archeologo che aveva lasciato la Romania ancor prima della dittatura di Ceaușescu; Adamesteanu ha retto la Scuola fino al 1988. Con delibera del Senato Accademico del 29 Marzo 2004, a pochi mesi dalla sua scomparsa, la Scuola fu a lui intitolata, sia per il prestigio della sua figura di archeologo, tra la Romania e l’Italia, sia per la sua grande capacità di coinvolgere gli allievi nella ricerca sul terreno.
Infine, dal 1988 al 2013, la direzione è stata tenuta da Francesco D’Andria, un altro studioso di grandi visioni e praticità. Sotto la guida di queste tre figure e, lasciatemi dire, in particolare sotto la direzione di quest’ultimo, la Scuola è diventata un fondamentale punto di riferimento nel panorama dell’archeologia italiana ed internazionale. Ora, dal 2013, è diretta da chi scrive.
Fino dalla sua nascita, la Scuola ha avuto «lo scopo di approfondire la
preparazione scientifica e l’addestramento tecnico-pratico nel campo delle
discipline archeologiche e di fornire le competenze professionali finalizzate
alla tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico» (cf.
Gallo, Rossi Vairo 1998; Vaccaro 2001). Questo lavoro viene svolto non solo
in aula o in laboratorio, ma anche attraverso il diretto coinvolgimento degli allievi nelle varie attività di ricerca sul terreno e nella continua speranza che alcuni di essi arriveranno a concludere il percorso conoscitivo attraverso le proprie esperienze e pubblicazioni.
Francesco D’Andria è sicuramente stato sotto questo aspetto tra i più coinvolgenti e non solo nel Salento; infatti ha portato gli allievi a scavare presso l’antico centro di Hierapolis di Frigia in Turchia (Fig. 1) che, fino dal 1992, ha anche previsto una specifica competenza medievale. Tramite i docenti Francesca Baffi, Isabella Caneva, Mario Capasso, Paola Davoli e Grazia Semeraro in particolare, alcuni allievi sono stati coinvolti anche in altri scavi e ricerche all’estero, quali Mersin in Turchia, Bakchias in Egitto, Khartoum nel Sudan, Tell Tuqan in Siria (Fig. 2) e a Tas Silg sull’isola di Malta nonché a Chersonesos (Sevastopol) in Crimea (Fig. 3), da parte dell’autore.
A fianco di questi notevoli scavi in altri paesi dell’area mediterranea e ai vari importanti progetti di scavo e ricognizione archeologica a Lecce stessa (da ultimo lo scavo e il restauro delle mura urbiche), nel Salento e in Puglia, le missioni che hanno visto il coinvolgimento degli allievi della Scuola in varie attività comprende Veio, Aquino, Priverno, Fabrateria Nova (Frosinone), Pietravairano (Fig. 4), Lecce, Metaponto, Eraclea e Panarea, per citarne alcuni. A questi, si devono aggiungere tutti quei progetti e scavi, in Italia, nonché all’estero, che la Scuola ha potuto consigliare ai propri allievi per la loro migliore formazione.
Con il nuovo ordinamento didattico attivato a Lecce nel dicembre 2007 e
la crescita nella domanda pubblica per l’accesso ai beni di interesse culturale nonché in seguito alle ultime riforme del MiBACT e alla creazione al suo interno di una Direzione Generale Educazione e Ricerca nel 2017 e di Soprintendenze Uniche (illustrate e discusse da Volpe 2015, e criticate da Pavolini 2017), la Scuola tiene conto sempre di più della necessità di formare figure professionali nuove e aggiornate nel settore del patrimonio culturale. In base ad un protocollo d’intesa tra MIUR e MiBACT siglato nel 2015, si prevede l’istituzione di un pacchetto di riforme, comprese la revisione ed ulteriore qualificazione delle Scuole di Specializzazione nonché dei corsi di laurea e dottorati.
Perciò, per quanto possibile entro i limiti delle regole vigenti, una più articolata formazione interdisciplinare è fra gli obiettivi, tenendo conto anche di nuovi profili professionali e di una maggiore attenzione alle scienze applicate, all’archeologia preventiva ed all’economia gestionale, attraverso i tre curricula (Preistoria e protostoria, Archeologia classica e Archeologia tardoantica e medievale).
Questi indirizzi hanno in comune tra loro vari insegnamenti ritenuti fondamentali e trasversali. Cosi, oggi, nella Scuola non solo si insegnano Antropologia e Bioarcheologia (paleobotanica ed archeozoologia), ma sono presenti anche materie quali Ecologia, Economia, Gestione e comunicazione, Museologia e museografia, per la maggior parte tenute da docenti interni all’Università stessa o, quando necessario, facendo ricorso a specialisti esterni.
La reputazione della Scuola di Lecce è tale che quasi due terzi della cin-
quantina di allievi iscritti ogni anno proviene da altre università di tutta l’Italia ed, a volte, anche dall’estero, offrendo così anche degli utili confronti con altre realtà europee e mediterranee. Proprio per l’alta formazione fornita, mi sembra ancora più fondamentale ed imprescindibile che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, nel suo compito di tutela e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali italiani, faccia il più possibile tesoro della risorsa costituita dagli allievi della nostra scuola e delle scuole di specializzazione in genere. Possiamo ricordare che vari Soprintendenti ed Ispettori del MiBAC sono degli anciens della Scuola di Lecce.
Oggi, valorizzare i beni culturali è una necessità imprescindibile per valorizzare questo Paese e conservare i paesaggi, i monumenti, gli oggetti e le tradizioni che lo contraddistinguono nonché per tenere vivo il dibattito culturale, che è il vero strumento della tutela (cf. Montanari 2013). Nel 2013, nel Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes), promosso dal Cnel/Istat, venne evidenziato che l’accesso e il godimento consapevole del paesaggio e del patrimonio culturale sono un indicatore determinante della qualità della vita individuale e collettiva.
Allo stesso modo, però, il rapporto lamenta «ampie carenze informative so-
prattutto riguardo alla possibilità di costruire serie storiche lunghe, fondamentali per l’analisi del paesaggio che è un fenomeno essenzialmente dinamico».
I nostri archeologi specializzati non sono, come troppo spesso si è portati a pensare, soltanto degli esperti nella catalogazione dei reperti o nello scavo archeologico: molti di essi si avviano ormai verso alte specializzazioni nello studio delle classi ceramiche, della scultura, dell’epigrafia e della numismatica, ma anche nello studio, analisi e valorizzazione del paesaggio, dell’ambiente, del turismo e della divulgazione pubblica, sempre più sentita.
Presso la Scuola di Specializzazione, i tanti laboratori dell’Università e i
cantieri di scavo e di ricognizione di superficie insegnano l’applicazione delle tecnologie diagnostiche e delle tecniche di datazione, della information technology, delle ricostruzioni virtuali e cosi via, a cui si spera, nel futuro prossimo, di aggiungere ancora altre specializzazioni. Possiamo già segnalare l’istituzione presso il Dipartimento di Beni Culturali di un Laboratorio della Ceramica, che è già attivo come centro di ricerca per alcune tesi di Laurea e di Specializzazione.
Mi auguro anche che possiamo assistere alla rinascita della prestigiosa biblioteca di archeologia, prevista con la ristrutturazione del vecchio edificio di Via Birago, visto che negli ultimi anni ha sofferto enormemente di mezzi e di finanziamenti largamente inadeguati per tentare di rimanere al passo con i tempi.
Negli anni il percorso e lo sviluppo perseguito dalla nostra Scuola di Specializzazione presso l’Università del Salento ha fatto sì che essa sia diventata una delle prime Scuole del suo genere in Italia. L’elenco dei tanti e variegati docenti-specialisti passati e attuali è impressionante. Inoltre, l’incidenza della Scuola può essere valutata tramite le sue pubblicazioni dirette ed indirette (dai docenti agli allievi), le sue conferenze e seminari mensili ed il successo professionale di molti dei suoi allievi, da chi è entrato di ruolo all’Università o nel MIBACT, a chi è diventato perfino Senatore della Repubblica.
La mia speranza è che anche molti altri possano raggiungere un eguale successo professionale, pur essendo tutti noi consapevoli delle enormi difficoltà nel perseguire una carriera di archeologo o specialista nei beni culturali e paesaggistici in questo Paese, nonostante il fatto incontrovertibile che l’Italia possieda uno dei patrimoni culturali più ricchi del pianeta, più volte richiamato, ma raramente riconosciuto dai poteri in essere.
Indubbiamente stiamo vivendo in tempi particolarmente problematici
dopo il boom economico della seconda metà del XX secolo e quello che,
allora, poteva sembrare un assetto politico relativamente solido. L’economia Italiana, come del resto quella mondiale, è stagnante e precaria e più del 70% delle aree che si affacciano sul Mediterraneo sono politicamente o economicamente instabili o irrequiete.
Alcuni Paesi sono segnati da preoccupanti fondamentalismi, nazionalismi ed intolleranze verso le culture altrui. In questi anni abbiamo assistito, quasi impotenti, al saccheggio dei musei in Iraq e in Egitto e alla distruzione di monumenti archeologici in Siria e Libia, per non parlare dell’agghiacciante massacro che è avvenuto in quei Paesi, anche nei confronti degli addetti dei beni culturali. In tempi poco più lontani, chiese e moschee sono state incendiate nei Balcani. Peraltro, tramite la vasta eco avuta sulla stampa, sappiamo anche che i recenti episodi di degrado a Pompei sono il segno più eclatante di una situazione di grave emergenza che riguarda anche l’Italia, spesso dovuta ad investimenti totalmente inadeguati.
Ma Pompei è Pompei, un sito di richiamo internazionale, la cui gestione è ora diretta da persone di indubbie qualificazioni e capacità. Ma che succede agli innumerevoli siti e paesaggi di potenziale importanza conoscitiva, didattica e turistica, così numerosi in questo Paese? Spesso la loro tutela e valorizzazione sono dovute a poche persone di grande passione, ma senza gli adeguati mezzi finanziari o conoscitivi.
Stiamo, perciò, entrando in un mondo che deve proporsi delle nuove sfide
di tutela e di valorizzazione, attraverso tutta l’area mediterranea segnata da incuria statale, attriti politici, perfino guerre e cambiamenti climatici, compreso il riscaldamento globale con una serie di effetti, ancora poco valutabili, ma che comprendono certamente l’erosione costiera, l’innalzamento dei livelli del mare e mutamenti negli ecosistemi subacquei.
Inoltre, in un’azione ritenuta benefica a livello energetico, l’impianto di nuove forme di captazione di energia, con le orrende distese di pale eoliche e pannelli fotovoltaici ha già provocato veri e propri disastri paesaggistici (anche l’occhio vuole la sua parte, giustamente!).
Aggiungiamo al cahier de doléances le popolazioni in crescita e sempre più diversificate per i loro valori culturali e principi etici; conflitti tra popoli e gruppi religiosi con mezzi sempre più distruttivi, spesso accompagnati dalla specifica volontà di obliterare simboli, come il ponte di Mostar, chiese e moschee e non ultimo l’incremento del turismo di massa, certamente non sempre alla ricerca della cultura e della storia delle società, richiedono una particolare riflessione riguardo alla gestione del patrimonio culturale e del paesaggio su scala globale.
Come archeologi, come operatori dei beni culturali e come Scuola di Specializzazione, dobbiamo intraprendere qualsiasi iniziativa per salvaguardare il delicato patrimonio culturale nazionale e mondiale, per incrementare l’interesse e per diffondere la consapevolezza dei valori di tale patrimonio.
Ma dobbiamo anche essere estremamente cauti a non banalizzare la nostra disciplina, né la cultura in genere, soltanto per tentare di renderla comprensibile o gradevole al grande pubblico. È vero che la cultura deve essere di tutti, ma, innanzitutto, non dobbiamo sottovalutare il pubblico e neanche pensare che tutti possano essere in grado di apprezzare, di capire o di condividere quello che facciamo.
La risposta alla divulgazione non è quella di volgarizzare o semplificare troppo le nostre narrazioni, ma di spingere sempre di più sulla qualità dell’educazione scolastica, che deve preparare le persone a poter apprezzare la cultura cercando di esprimerci in modo chiaro e con parole e mezzi comunicativi avvincenti che, ormai, non mancano.
Insieme, possiamo avere una forza molto incisiva: è nostro dovere tentare di usarla al meglio, perché il godimento e lo studio del patrimonio culturale
non sono un puro divertissement, come spesso si vuol far credere. Il patrimonio culturale, anzi, nelle sue molteplici manifestazioni, sta alle radici della società civile e consapevole, principio basilare di un’organizzazione mondiale come l’UNESCO, il cui sviluppo è sancito nell’articolo 9 della Costituzione Italiana.
Per le ragioni evidenti di cui sopra, i tagli finanziari ai beni culturali e agli operatori del settore sono tagli alla qualità della vita e alla coesione sociale.
È anche per ciò che sono fortemente convinto che la Scuola di Specializzazione debba interagire il più possibile con i territori di competenza, siano essi locali, nella Terra d’Otranto, o più lontani, come la Grecia, la Turchia, o altre aree mediterranee. In ambito locale credo personalmente che dobbiamo agire attivamente nella promozione di Lecce anche assistendo al processo di trasformazione della città in una “Smart city” compatibile con la società moderna. Questo progetto potrà avere un notevole impatto sulla vivibilità per i cittadini e sull’attrazione turistica, altro settore di forte interesse da parte del nostro ateneo, che potrà concorrere ad assicurare un turismo sostenibile e di qualità, che sappia apprezzare la specificità della cultura e dell’ambiente salentino.
Uno degli obiettivi del concetto di “smart cities” sono la libera, facile ed immediata comunicazione e circolazione di informazione che è anche un presupposto dello sviluppo della nostra, come delle altre discipline. Perciò, dal momento in cui sono stato eletto Direttore, ho avviato una pagina Facebook della Scuola, che ora ha raggiunto più di 1.940 iscritti tra docenti, allievi ed amici, sia in Italia, sia all’estero. Inoltre, la Scuola possiede un proprio sito web, bilingue in italiano ed in inglese.
Interazione vuol dire trasmissione e scambio di competenze. Il ruolo della
Scuola è quello di aiutare ad affinare le competenze, non solo nell’archeologia, ma in tutta una serie di discipline affini e correlate, menzionate sopra, che tentino anche di rispecchiare la complessità umana che l’Archeologia moderna è chiamata ad analizzare.
Così, come avevo espresso durante la mia prima relazione al Consiglio della Scuola in occasione della mia elezione, ho tentato di potenziare l’apporto delle scienze e tecnologie applicate e gli aspetti multidisciplinari dei corsi, sviluppare le collaborazioni con le varie istituzioni di gestione del territorio, dalle soprintendenze alle amministrazioni locali, e sollecitare l’apporto di altre scuole di eccellenza e dei maestri internazionali di archeologia e di materie affini tramite la prosecuzione di conferenze, seminari e workshops.
La Scuola di Specializzazione è innanzitutto, sebbene non esclusivamen-
te, una scuola per l’archeologia del Mediterraneo. Nonostante ciò, vari allievi hanno potuto perseguire i loro studi e le loro carriere in Paesi quali la Gran Bretagna, il Belgio, la Francia e, perfino, in Sud Africa grazie ai numerosi progetti di collaborazione internazionale attivati, soprattutto in ambito Erasmus.
Ma in funzione dell’accento mediterraneo che ritengo debba avere la nostra
Scuola, nel febbraio 2014 ho ritenuto particolarmente opportuno inaugurare la nuova direzione a me affidata ed il nuovo anno accademico 2013-14 con una lectio magistralis di Cyprian Broodbank, autore del premiato libro The Making of The Middle Sea ed ora Disney Professor of Archaeology presso l’Università di Cambridge. Questo per due motivi principali: prima, perché il mare di mezzo di cui egli parla nel suo libro è proprio il mare nostrum, e poi perché ha scelto di esaminarlo, a partire dalla sua caratterizzazione come teatro dell’attività umana in Occidente, per poi esplorare il suo sviluppo sino all’età classica, ma con tanto da insegnare anche per tempi più recenti (vedi anche la sempre valida e
fondamentale analisi di Braudel 1975).
La conoscenza degli albori del mondo mediterraneo, condizionato da “The Corrupting Sea” (Horden, Purcell 2000), è fondamentale per tutti noi, preistorici, classicisti, medievisti, bioarcheologi o specialisti nelle tecnologie e nelle scienze applicate. Come argomenta Barry Cunliffe (2017), con le sue parole sempre avvincenti, l’impulso dell’uomo a dominare il mare, di qualunque si tratti, è stato uno degli impulsi più forti nella storia umana. Dai mari abbiamo ancora tutti da imparare.
Sempre con il convincimento che la Scuola debba proporre importanti temi
attuali, le successive inaugurazioni si sono susseguite con i seguenti temi (fig. 5):
Il Grande Progetto Pompei (4.2.2015), tenuta da Massimo Osanna e Giovanni
Nistri.
Non solo l’Oriente: Art crimes in the 21th Century (28/03/2016), tenuta da Lynda Albertson e Michel Almaqdissi a cui ha fatto seguito una mostra curata da Luigi La Rocca e Grazie Maria Signore presso il MUSA.
Il Museo di Domani (26.1.2017), tenuta da Meriel Jeater ed Eva Degl’Inno-
centi, con la partecipazione di Luigi La Rocca
Eredità storica e democrazia (2/2018), tenuta da Carlo Pavolini, con la parte-
cipazione di Francesco D’Andria, Antonio De Siena, Mario Lombardo, Luigi La Rocca, Grazia Semeraro, Giuliano Volpe. Ho sempre pensato che il valore della Scuola sarà tanto più alto quanto più sarà elevata la somma delle sue componenti, cioè l’insieme dei suoi docenti, dei suoi allievi e di coloro che a vario titolo la seguono. Dobbiamo lavorare continuamente ed unitamente per mantenere ed anzi, se possibile, migliorare gli elevati standard finora raggiunti.
Ma personalmente vorrei comunque e soprattutto che l’esperienza di fre-
quentare e di essere stato allievo della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici a Lecce possa essere qualcosa di particolarmente speciale (ed anche divertente), qualcosa che possa aver contribuito alla conoscenza e alla conservazione delle caratteristiche uniche dell’Italia e del mondo mediterraneo.
Qualcosa, insomma, di cui si possa rimanere orgogliosi per tutta la vita, cosi
come io sono orgoglioso di essere stato allievo della Institute of Archaeology
dell’Università di Londra ed oggi di dirigere la Scuola di Specializzazione.
Appendice. I laboratori attivati presso la Scuola di Specializzazione:
Laboratorio di Antropologia fisica
Laboratorio di Archeologia classica
Laboratorio di Archeologia medievale Laboratorio di Archeozoologia
Laboratorio Collezioni Ceramiche
Laboratorio di Informatica per l’Archeologia – LIA Laboratorio di Paleobotanica
Laboratorio di Paletnologia
Laboratorio di Scienze applicate all’archeologia
Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria Centro di datazione al radiocarbonio – CEDAD
Ringraziamenti Ringrazio i docenti e gli allievi della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici per le loro idee, che mi hanno dato la possibilità di scrivere questo articolo. Ringrazio Rino D’Andria per aver letto e corretto il mio testo prima della sua pubblicazione.
Bibliografia
Arthur 2014 = P. Arthur, Scuola di Specializzazione, archeologi e operatori dei beni culturali: insieme una forza molto incisiva, «Il Bollettino, periodico di cultura dell’Università del Salento» IV 1/2 (2014), pp. 7-9.
Braudel 1975 = F. Braudel, The Mediterranean and the Mediterranean World in the age of Philip II, English ed., Fontana, London 1975.
Paul Arthur
Broodbank 2013 = C. Broodbank, The Making of the Middle Sea. Una storia del Mediterraneo dalle origini alla nascita del mondo classico, Einaudi 2013.
Cunliffe 2017 = B. Cunliffe, On the Ocean. The Mediterranean and the Atlantic from Prehistory to AD 1500, OUP, Oxford 2017.
Gallo-Rossi Vairo 1998 = F. Gallo-G. Rossi Vairo (a cura di), Le Scuole di Specializzazione nel settore dei Beni Culturali tra storia e progetto, Roma 1998.
Horden-Purcell 2000 = P. Horden-N. Purcell, The Corrupting Sea: A study of Mediterranean History, OUP, Oxford 2000.
Montanari 2013 = T. Montanari, Le Pietre e il Popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane, Roma 2013.
Pavolini 2017 = C. Pavolini, Eredità storica e democrazia. In cerca di un apolitica per i beni culturali, Roma 2017.
Ricci 2002 = A. Ricci, Archeologia e urbanistica. International School in Archaeology (Certosa di Pontignano 2001), All’Insegna del Giglio, Firenze 2002.
Vaccaro 2001 = W. Vaccaro, La formazione per la tutela dei Beni Culturali, Graffiti ed., Roma 2001.
Volpe 2015 = G. Volpe, Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali e il paesaggio, Electa, Milano 2015.