La scuola all’aperto: un modello da riproporre
di Gabriele Zompì
La scuola soffre oggi su più versanti, non solo dal punto di vista sociale ed educativo, ma anche soprattutto nella proposta di modelli e valori che sembrano essere perduti definitivamente e sostituiti dal nulla. Sarebbe quindi giunta l’ora di fare un passo indietro, o forse anche più di uno, e ripensare la scuola come luogo di apprendimento e di socializzazione a tutto tondo, magari, visti i tempi, rivalutando e apprezzando gli spazi esterni, riproponendo, non più come isolati progetti, ma come pratica elevata a sistema, la “scuola all’aperto”.
Potrebbe essere la più grande sperimentazione pedagogica in Italia dopo la già sperimentata didattica all’aperto d’inizio ‘900 che vide, in Italia, la città di Bologna come protagonista e pioniera. Ai tempi della giunta socialista del sindaco Zanardi, in tempo di guerra, grazie al lavoro dell’illuminato assessore all’istruzione Mario Longhena, furono avviate scuole all’aperto per garantire il diritto all’istruzione e alla salute. Sembra quasi un ricorso storico di vichiana memoria, ma anche oggi la salute e la sua tutela sono al primo posto nei valori costituzionalmente garantiti e nelle classifiche di priorità di ciascun individuo.
Ed ecco allora che potremmo ripensare a quell’esperienza pedagogica che portò le aule con banchi e sedie portatili al di fuori degli edifici scolastici, attraverso la costruzione di appositi padiglioni aperti, di tende, o semplicemente sotto l’ombra degli alberi.
D’altronde, anche in questo tempo segnato anche da pandemie ed infezioni virali, non mancano esempi di scuole che adottano l’aoutdoor education, come in Danimarca, dove la didattica all’aperto è usata come misura di prevenzione. Ancor più e meglio, visto anche il favore del clima, si potrebbe fare in Italia fornendo vestiario idoneo per stare fuori in tutte le stagioni, ma anche sgabelli portatili e tavoli per il lavoro più tradizionale e tutto il materiale didattico necessario e facilmente trasportabile. I bambini più piccoli vivono la scuola principalmente attraverso il gioco e la relazione tra pari e con gli insegnanti, e vedere il maestro, come accaduto di recente, solo in videoconferenza se in un primo momento può anche essere emozionante, successivamente può diventare noioso e improduttivo, a volte anche insopportabile. Ovviamente ripensare spazi e tempi per la scuola richiede impegno, investimento e collaborazione a tutti i livelli. Laddove non fosse possibile alle scuole disporre di propri spazi all’ aperto, questi dovrebbero essere messi a disposizione dagli Enti locali, a cominciare dai Comuni. Per questo il dialogo tra le istituzioni è imprescindibile, soprattutto in questo momento storico.
Se questo “nuovo” modello di scuola dovesse essere recepito da chi di dovere e messo effettivamente in pratica, allora non sarà difficile varcare un cancello di un cortile o di un giardino scolastico e trovarsi di fronte, sdraiato sull’erba, Andrea che osserva il movimento lento e laborioso delle formiche e con fare assolutamente serioso e quasi infastidito, alla domanda “cosa stai facendo?” risponde in modo del tutto naturale “una lezione di scienze!”. Sì proprio così, perchè l’apprendimento non si fa solo in classe, seduto su una sedia e con i gomiti sul banco. Andrea è lo scolaro modello della scuola all’aperto che nulla ha da invidiare alla tanto tecnologica, interattiva e mediatica scuola di oggi. Qualcuno diceva che ciò che conta non è il mezzo, ma il fine. Ed il fine ultimo della scuola è la trasmissione del sapere, l’aquisizione delle conoscenze, il possesso delle capacità, in una parola: della formazione delle nuove generazioni. A questo bisogna tendere, al di là di tutto. Ma facciamo un passo indietro e vediamo come e perchè nacque la scuola all’aperto.
Essa affonda le sue radici nei primi anni del XIX secolo, esattamente nel 1917. In quell’anno, in cui si udivano nell’aria le esplosioni delle granate della Grande Guerra, l’allora sindaco di Bologna, Francesco Zanardi assieme all’assessore alla scuola Mario Longhena, crearono i primi asili pubblici e proposero un modello d’istruzione integrata che dalla scuola estendeva l’ istruzione e l’apprendimento in luoghi diversi dalla tradizionale aula scolastica.
Poco più di un secolo fa quindi si sono avviate le prime scuole all’aperto, le prime mense scolastiche, le prime colonie estive e la prime “scuole per tardivi”. Il sistema garantiva a tutti i bimbi, anche a quelli meno abbienti o con problemi d’apprendimento, di imparare, divertirsi all’aperto e mangiare sano.
Nacque così la prima scuola all’aperto in un parco cittadino appena fuori le mura del centro di Bologna e gli alunni che la frequentavano, per otto ore al giorno, erano “armati” di banchi trasportabili, di coperte di lana, di zoccoli e impermeabili, così da poter trascorrere più tempo possibile all’aperto, per giocare, fare lezione, sperimentare e riposare…
Quelle scuole sono le “Fortuzzi” e sono situate, oggi come allora, nei giardini Margherita, il più grande polmone verde della città.
In questa scuola, docenti e alunni, compresero per primi che la matematica e la geografia, così come l’italiano e le scienze naturali, si possono imparare anche facendo lezione all’aperto. A prescindere da qualunque condizione meteo ci sia. Un modo di far scuola che è stato più recentemente adottato anche dalle scuole Longhena di Bologna, confermatasi così prima città in Italia a pensare in grande sui progetti didattici outdoor, forte della tradizione già consolidata sul tema nelle scuole dell’infanzia (con il progetto La scuola nel Bosco di cui si parlerà più avanti), ma che coinvolge e attrae sempre di più nuove istituzioni scolastiche, che oggi sono circa 25.
Per unire come con un filo rosso queste scuole è stata creata nel 2016 la “Rete Nazionale delle scuole all’Aperto” che raggruppa e armonizza le diverse esperienze di un sistema scolastico strutturato all’aperto, dove fare lezioni fuori dalla classe, ad avere necessità di ritrovare un rapporto con la natura non sono solo le scuole primarie, ma anche quelle dell’infanzia, che sono per prime interessate dal “nuovo” modo di proporre l’acquisizione dei saperi. Anche alcuni nidi propongono attività all’aperto, pur consapevoli del fatto che per bambini così piccoli non si possa ancora parlare di vera e propria proposta di “scuola all’aperto”.
Il progetto di una scuola all’aperto è partito dal basso, cioè da un gruppo di genitori che, dopo aver visto i propri figli stare molto tempo all’aria aperta durante la scuola materna, hanno iniziato a «premere » perché quell’esperienza potesse proseguire anche nella scuola primaria. Ad ascoltarli è Filomena Massaro, dirigente dell’Istituto comprensivo 12, sede dell’unica materna statale (Padre Marella) aderente al progetto di outdoor education portato avanti da Palazzo d’Accursio [sede del Comune di Bologna] per le sue scuole dell’infanzia. La dirigente, convinta della validità della proposta, contattata alcuni colleghi di altri istituti comprensivi e i genitori-promotori, e cerca altre scuole in Italia intenzionate a muoversi nella stessa direzione. Nasce così la Rete nazionale delle scuole all’aperto, che comprende, al suo terzo anno di vita, 27 Istituti scolastici sparsi in più regioni (Emilia Romagna, Toscana, Sicilia, Lazio, Lombardia e Trentino).
Sono tante e diverse, nelle Regioni, le collaborazioni con Università, in particolare con i Dipartimenti di Scienze dell’Educazione, con gli Enti Locali, con Fondazioni a carattere ambientale, con Associazioni e anche con gruppi informali. Significativa la collaborazione, nel capoluogo emiliano, con la Fondazione Villa Ghigi che si occupa di educazione ambientale, divulgazione naturalistica, analisi e progettazione del territorio. La Fondazione, che ha sede nel Parco omonimo di via San Mamolo, propone attività in natura per le scuole di ogni ordine e grado, dal nido alle superiori. Ha inoltre un’ intensa attività di formazione. All’interno della rete di scuole all’aperto si occupa di formazione e facilitazione degli insegnanti istituendo appositi corsi annuali. La Fondazione è stata anche l’ispiratrice del progetto “La scuola nel bosco”, rivolto a bambini della scuola dell’Infanzia, attivato nel 2010 e portato avanti per un paio d’anni. E si può dire che proprio da questo progetto è nato e si è sviluppato quello delle “scuole all’aperto”.
Nel portare avanti quest’ ultimo progetto e curarne gli sviluppi non poteva non esserci l’Alma Mater di Bologna. Michela Schenetti, ricercatrice e docente di Didattica Generale presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione, asserisce che una proposta di scuola all’aperto oggi si debba configurare come un approccio continuativo e trasversale a tutte le scuole, anche se ancora non si può definire e proporre come un modello da seguire sic et simpliciter. “Faccio fatica a pensare ad un modello – dice – perchè la storia ci insegna che questo può portare all’irrigidimento di pratiche. Le scuole all’aperto mettono al centro la relazione: con i bambini, tra i bambini e con il mondo e quindi anche con il fuori ma sopratutto NEL fuori… Le scuole all’aperto dovrebbero essere per tutti!”
Schenetti sottolinea e propone di ripensare “alle motivazioni che hanno suggerito l’istituzione delle scuole all’aperto di un secolo fa mettendole in relazione con le testimonianze di Don Milani, Mario Lodi, Alberto Manzi, Maria Montessori, Giuseppina Pizzigoni, per citarne solo alcuni. In quest’ottica la promozione delle scuole all’aperto porta a interrogarsi sul senso più completo di fare scuola, valorizzandone le radici, aggiornandole e connettendole con i bisogni evolutivi dei bambini. Porta soprattutto a comprendere quanto tali testimonianze acquisiscano ancora più senso e valore in relazione con i bambini della nostra contemporaneità.
Per fare tutto questo occorrono insegnanti che sappiano leggere nelle esperienze scolastiche all’aria aperta una profonda relazione con il proprio ruolo e mandato didattico. Le scuole all’aperto hanno molto a che fare con il curricolo per competenze, con i compiti autentici, con le metodologie didattiche attive e con la valutazione formativa.”
Le fa eco la maestra Ferrnanda Italiano dell’ I.C.11 di Bologna affermando che la “scuola all’ aperto parte da un ambiente di apprendimento multisensoriale , con forme, superfici, colori, odori e gusti del mondo reale, dove il bambino opera concretamente. All’ aperto la realtà viene interpretata con strumenti quali l’osservare, il conoscere, il descrivere , il mettere in relazione e sperimentare tutto ciò che si apprende. “Scuola all’aperto” educa in modo concreto alla cura e al rispetto dell’ ambiente favorendo uno sviluppo sostenibile, uno sviluppo della socializzazione degli e tra gli alunni attraverso l’ educazione ambientale e promuovendo esperienze fortemente inclusive.
E dunque il punto di forza di tutto il progetto è proprio questo: facilitare e promuovere esperienze fortemente inclusive e offrire opportunità di crescita e di arricchimento culturale a tutti gli alunni della classe che presentano differenti livelli di abilità, di capacità di comunicazione, di capacità relazionali, di autocontrollo, di gestione dello spazio , prestando particolare attenzione ai bambini con Bisogni Educativi Speciali.”
Una scuola all’aperto è dunque in grado di agevolare l’ opportunità di allacciare e consolidare il rapporto tra l’ istituzione scolastica e l’ extra-scuola, la comunità locale, il territorio e le sue risorse. Consente il trasferimento di saperi fra le diverse generazioni. Ha le potenzialità per educare alla cura e al rispetto dell’ambiente, anche per favorire uno sviluppo sostenibile. Invita ad assumere atteggiamenti responsabili in relazione all’ambiente e a conoscere e rispettare le regole di comportamento nei giardini, nei parchi e negli spazi pubblici in generale.
La scuola all’aperto offre, per concludere, un diverso modo di apprendere, di relazionarsi, di crescere nella natura e con la natura, in un mondo che sembra invece essere sempre più lontano dall’amarla e rispettarla. Con la scuola all’aperto anche i più piccoli comprendono il grande compito che noi tutti abbiamo da svolgere: rispettare ed amare la natura e considerarla come vera, grande e unica eredità per le generazioni future.
Gabriele Zompì