La Psicoarteterapia:un lavoro sulle emozioni
di Roberto Pasanisi
La Psicologia clinica e la Psicoterapia come ‘lavoro sulle emozioni’: un approccio autonomo, eclettico e integrato, fra Oriente e Occidente
L’Arteterapia si è finora sviluppata sulla base di tre modelli incompiuti: come una tecnica essenzialmente riabilitativa o di sostegno rivolta principalmente agli psicotici od ai minorati, fisici o psichici che fossero, intesa a ridurre le minorazioni psicofisiche ed a migliorare le capacità relazionali e di socializzazione dell’individuo affetto da una patologia più che nevrotica; come una sorta di laboratorio di pittura e scultura, attento a cogliere (ed eventualmente ad esprimere) le emozioni connesse alla pratica artistica; o infine come una psicoterapia che si avvaleva delle arti figurative a livello essenzialmente strumentale e secondario nell’àmbito di una tecnica più vasta ed articolata, specialmente psichiatrica.
Essa è stata praticata non soltanto da psicoterapeuti, ma da esperti dei più svariati campi — musicisti, artisti, scrittori, drammaturghi, maestri di scuola, insomma sulla base delle competenze più svariate — restando al di qua o andando al di là della psicoterapia stricto sensu — l’unica che qui ci interessi — praticata da uno psicoterapeuta, o meglio ancóra da uno specialista in Arteterapia. Essa è stata sostanzialmente priva sia di un impianto teorico compiutamente definito che la legittimasse scientificamente in maniera univoca e soprattutto autonoma, sia di una qualsivoglia istituzionalizzazione che ne precisasse i cómpiti e gli obiettivi, ne chiarisse le caratteristiche precipue (anche contrastivamente rispetto alle altre scuole psicoterapeutiche) e ne stabilisse i limiti, fissando nel contempo una deontologia professionale.
Molti oggi sono infatti le scuole ed i corsi di scrittura creativa, i laboratorii di pittura e scultura a fini terapeutici o riabilitativi, ed altre iniziative simili; come pure gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli psichiatri che adoperano l’arte in forma per così dire ‘ancillare’, idest come una tecnica fra le altre nell’àmbito di una teoria e di una prassi diverse, che nulla hanno a che vedere con la Arteterapia.
Qui invece si intende l’Arteterapia come una ‘teoria ed una prassi psicoterapeutica’ a tutti gli effetti ed autonoma, sviluppando questa disciplina come una scuola di psicoterapia tout court, curata non da scrittori o pittori o scultori o da psicologi di altre scuole, ma da specialisti in questo particolare tipo di psicoterapia: e se ne pongono i ‘fondamenti’ teoretici e pratici.
Chiamiamo Psicoarteterapia questo modello teorico e terapeutico e fissiamo in ‘PAT’ la sigla abbreviativa della disciplina che qui vogliamo proporre sotto il nome di ‘Psicoarteterapia’, intesa come una nuova scuola psicoterapeutica contrassegnata da tre caratteristiche fondamentali e sue specifiche: l’uso dell’arte e delle sue tecniche come ‘strumento terapeutico’; l’approccio integrato e strutturato, ove opportuno, con la meditazione, a partire dalla sua formulazione classica, la Vipassana; la pratica cinica di tecniche sue proprie, come la Seduta Zen ed Il viaggio del respiro; il la costituzione eclettica, che le permette di attingere, sia sul piano teorico che su quello propriamente terapeutico, a diverse altre scuole, segnatamente alla Psicoanalisi, alla Psicologia analitica, alla Psicologia della Gestalt ed all’Analisi Transazionale (AT). Ne consegue come rilevante corollario che la Psicorteterapia così intesa si configura fra le cosiddette ‘psicologie del profondo’ e che integra ‘tecniche analitiche’ con ‘tecniche esperienziali’.
Un obiettivo fondamentale dello psicoarteterapeuta è, attraverso la ‘magia ri-creativa’ dell’arte, di ‘cambiare il passato’, ovvero modificarne l’interpretazione e la percezione soggettive ristrutturandolo in una nuova, dinamica e produttiva Gestalt.
Si tratta così, nei confronti del cosiddetto ‘nevrotico’, di operare una sorta di avventuroso descensus: dal ‘mondo degli dèi e delle idee’ al ‘mondo degli uomini’; dal mondo olimpico e platonico degli athánatoi al mondo terreno dei thánatoi.
Fondamentale è la scienza letteraria, nei suoi varî settori: storia della letteratura, teoria della letteratura, retorica; ma anche due discipline ad essa vicine: linguistica e semiologia.
Tipico della Psicoarteterapia è l’uso dei tropi come interpretazioni terapeutiche: la metafora, in particolare, appare straordinariamente capace di determinare una comprensione – emotiva prima ancóra che intellettuale – fulminea e profonda.
Ma, più in generale, è il modello dell’arte e dell’artista – nel suo risolvere la ‘tensione nevrotica’ in creazione e creatività – ad essere fondamentale: la ‘dinamizzazione artistica’ è la stessa che consente in Psicoarteterapia lo scioglimento e la canalizzazione delle energie bloccate riattivandole verso nuovi orizzonti: il fiume delle emozioni, finora pietrificato e cristallizzato nei ‘blocchi energetici’ della nevrosi, riprende a fluire scavandosi un nuovo letto alla ricerca del suo naturale sbocco, il ‘gran mare dell’Inconscio’.
In questo senso, la Psicoarteterapia, come l’artista, privilegia le soluzioni creative e ‘non convenzionali’, rifiutando la ‘negazione’ in direzione dell’ ‘integrazione’ e della trasformazione: insomma, psychologically not correct. Ad esempio, la ‘malattia di Narciso’ viene affrontata non attraverso la repressione del narcisismo, ma mediante la valorizzazione della creatività in esso insita: ovvero il narcisismo non viene combattuto dall’analista, ma reso dinamico e produttivo come fa l’artista che crea, rielaborando e sublimando l’autoreferenzialità del proprio autocentrismo nell’eterocentrismo universale ed oggettivo dell’opera d’arte. È in questa maniera che il paziente non sperimenta quel ‘senso di negatività’ che si accompagna prevalentemente al vissuto narcisistico, ma impara invece a percorrere una via diversa, capace di valorizzare il proprio Sé in tutte le sue istanze, e ricavandone nel contempo un significativo beneficio anche sul piano dell’autostima e dell’autoaccrescimento: e questo è un ‘narcisismo positivo’, ben diverso dal ‘narcisismo negativo’ che si esaurisce nello sterile autorispecchiamento della propria immagine nella fonte, fino ad annegare nell’abisso che si cela sotto i riflessi baluginanti e ingannevoli dell’acqua.
Così tutti gli strumenti dell’arte sono ‘ferri del mestiere’ per lo psicoarteterapeuta, che ricorrerà frequentemente ai ‘costrutti narrativi’ per permettere al paziente di organizzare in una forma compiuta ed articolata la sua ‘storia personale’, alla ricerca di un senso complessivo della propria vicenda psichica: un modello di storia è, ad esempio, Il piccolo principe diventa suddito, nella quale l’analizzando impara a strutturare ed ad accettare il suo passaggio dalla condizione ‘centrale’ dell’infanzia a quella ‘periferica’ dell’età adulta, in cui deve diventare capace di sentirsi ‘uno fra i tanti’ e non più l’ ‘eletto’.
È questa la via attraverso la quale sviluppare a fondo la personale ‘creatività biografica’, organizzando la propria vita e la propria Weltanschauung secondo un criterio di ‘creatività artistica’: lo psicoarteterapeuta è un ‘medico dell’anima’, nel senso insieme umanistico e scientifico del termine, che usa ‘la parola che cura’, là dove, come nell’arte, ogni significato ed ogni significante, ogni referente, ogni connotazione e denotazione, ma anche ogni spazio bianco ed ogni disposizione del testo – ovvero ogni silenzio ed ogni posizione ed espressione – non sono più quelli della lingua standard e dell’interazione sociale quotidiana, ma assumono una risonanza altra ed universale, nello spazio dell’assoluto, in cui ‘la parola che cura’ non dice il dicibile, ma dice l’indicibile.
Roberto Pasanisi
psicologo clinico psicoterapeuta psicoanalista
Direttore, CISAT, Centro Italiano Studi Arte-Terapia, Napoli
Direttore, Istituto Italiano di Cultura di Napoli
professore, Polo Universitario “Principe di Napoli”