IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

  La pratica  interdisciplinare della Storia di   Gennaro Tedesco

Storia

Storia

L’obbiettivo finale del lavoro qui proposto consiste nel costruire condizioni laboratoriali di apprendimento, interattive e operative, tali che la disciplina storica non sia vista come avulsa dalle altre, un insieme sterile di date, di  fatti confusi e disordinati, ma  come uno snodo essenziale di una rete interdisciplinare e transdisciplinare : tutto ciò che ci circonda e tutto ciò che vediamo intorno a noi è nella storia. Così una certa lingua, per esempio l’inglese, esiste anche perché una serie di fatti storici hanno portato alla sua formazione.

Così il  recupero e la valorizzazione della civiltà mediterranea sono avvenuti attraverso, non solo l’analisi di materiale e documenti di carattere storico, ma anche attraverso la ricostruzione operativa di elementi di quella civiltà, ad esempio la falange oplitica, e attraverso lo studio dell’evoluzione del paesaggio agrario rispetto agli uomini in un rapporto  di reciproca influenza, e della fusione di diverse civiltà e la conseguente  nascita di lingue nuove, ad esempio l’origine della lingua inglese ; ci si è serviti del fumetto, inteso non solo come attività ludica, ma anche come verifica  processuale e finale dell’apprendimento del processo storico e, contemporaneamente, della capacità di usare la lingua straniera ad un livello espressivo particolare.

Il recupero della civiltà mediterranea antica è stato portato avanti con l’ausilio del maggior numero possibile di discipline. Si è progettato un lavoro interdisciplinare, senza cancellare le distinzioni delle varie discipline. L’interdisciplinarità si è, dunque, realizzata, oltre che come rilievo delle analogie, come accettazione e valorizzazione delle singole specificità. La vera interdisciplinarità è un modus operandi , e il lavoro svolto nella classe I D a tempo prolungato della scuola media “Morcelli” di Chiari (Bs) si prefiggeva anche di attivare questo modus operandi nella mente degli alunni. Tuttavia anche se interdisciplinarità non significa coacervo di argomenti, ma unità nei modi di considerare i fatti, siamo consapevoli che la scelta di certi argomenti, piuttosto che di altri, è importante. Non abbiamo così sottovalutato l’interesse dei ragazzi per tutto ciò che l’introduce nel mondo della fabulazione, in una prospettiva di spazi e di tempi in cui la loro fantasia può trovare alimento.

L’argomento scelto, cioè il recupero e la valorizzazione delle antiche civiltà del Mediterraneo, ha assunto un’importanza particolare. Si doveva portare da parte degli alunni alla scoperta di un sostrato comune alla civiltà greca, non solo storico, ma anche spirituale, che deve essere riscoperto in noi come verità perduta dentro di noi.

Tutti gli insegnanti dovrebbero assumere programmaticamente il problema dell’educazione linguistica come “asse attraversante interdisciplinarmente le singole didattiche”, cioè dovrebbero partecipare alla stimolazione della riflessione sui vari linguaggi settoriali.

La storia è una delle discipline più dure da far digerire ad un alunno di prima media. Nella letteratura più diffusa sull’argomento  si legge che bisogna costruire e coltivare il senso storico. Ciò significa dare solidità al tempo, operazione mentale che richiede una maturazione intellettuale forse superiore a quella dei ragazzi di prima media. Perciò gli insegnanti riscontrano spesso che lo studio della materia risulta arduo e non risveglia nella maggior parte degli alunni interesse e partecipazione.

Ecco che allora si è tentato di demolire il mito dell’osticità della storia. Il tentativo è stato portato avanti dall’insegnante di lettere insieme al docente di inglese. Il periodo storico preso in considerazione è l’età antica e, precisamente, il mondo mediterraneo e la sua antica civiltà, mesopotamica, egiziana, persiana, ebraica, fenicia, greca, etrusca, cartaginese, romana. Una volta impostato il laboratorio su questi argomenti, si è creduto opportuno operare verifiche che nello stesso tempo fossero una manifestazione dell’operatività creativa ed un accrescimento delle conoscenze storiche e linguistiche, italiano e inglese, degli alunni. La conoscenza della storia e dell’inglese doveva servire all’acquisizione di altre tecniche e di altre abilità, competenze, e viceversa con un ritorno dall’operatività alla teoria.

E’ importante che già in prima media sia chiarito che la narrazione storica poggia su una rigorosa documentazione: noi sappiamo ciò che alcuni uomini del passato hanno scritto dei loro contemporanei; vediamo ciò che gli altri hanno edificato. L’importante è che i ragazzi imparino a farsi domande, si pongano in maniera interlocutoria di fronte al reperto, all’edificio, alla lettura della fonte letteraria.

Consci del fatto che il racconto di una leggenda interessa molto di più dell’esposizione storica dei fatti, si è quasi sempre cercato di portare gli alunni all’argomento da trattare attraverso il racconto dei fatti, a volte personali, che potessero contenere elementi di aggancio al lavoro da svolgere. Inoltre, poiché nel mondo dei ragazzi c’è ancora posto per il fantastico, ci si è posti il problema se dare posto al racconto leggendario, alla fabulazione, pur sapendo che è nostro dovere introdurli ad un corretto discorso storico. La via per raggiungere questi obiettivi interdipendenti è passata, quindi, attraverso la “scoperta” e l’individuazione di un linguaggio che ha suscitato l’interesse e l’applicazione operativa dei ragazzi: il fumetto.

Dopo lunghe e laboriose esercitazioni, gli alunni si sono impadroniti, con risultati a volte incredibili, della tecnica del fumetto, che coinvolge ovviamente un discorso formativo e informativo molto ampio e complesso.

Perché il fumetto in lingua e non il racconto? Due sono i motivi principali. Innanzitutto il fumetto sembra stimolare molto di più l’interesse e la creatività dell’alunno che può, così, esprimere i fatti storici a lui noti in una “cornice” un po’ fantasiosa. Inoltre il racconto richiederebbe, da parte dell’alunno, una conoscenza sintattica approfondita e rischierebbe di affaticare eccessivamente il processo logico-mentale. L’immagine dinamica e il testo concentrato ed essenziale, icastico, del fumetto consentono di esprimere al meglio la creatività operativa in simboli familiari (la tecnica del fumetto ha casa in America e il mondo anglosassone ha sviluppato e sviluppa ancora oggi tale tecnica che è anche una lingua, un gergo ed una ideologia) attraverso un codice linguistico moderno e dinamico, sincronico. Il messaggio trasmesso è altamente informativo e formativo.

L’allievo crea una storia a fumetti in inglese sulla civiltà antica del Mediterraneo, una storia che lo diverte, e allo stesso tempo la tecnica del fumetto consente di comporre e scomporre le unità base che, a loro volta, si possono scomporre ancora fino a far toccare quasi con mano al ragazzo una specie di grado zero del linguaggio. Infatti il fumetto, in modo più chiaro della lingua italiana ed inglese che pure tra le lingue contemporanee è la più basica, offre una visualizzazione quasi tangibile degli elementi-base che costituiscono un linguaggio. Il raggiungimento di un grado zero visuale e quasi tangibile del linguaggio a fumetti consente di chiarire meglio ai ragazzi il concetto di analisi logica che da terreno specifico della lingua italiana e inglese, che non trova sempre l’”audience” degli allievi, viene esteso al mondo della comunicazione quotidiana entro cui l’alunno vive.

Tale impostazione metodologica e didattica non solo suscita e sviluppa le capacità analitiche e sintetiche dell’alunno, ma allo stesso tempo gli apre anche nuove prospettive sul mondo in cui vive ed opera. La produzione dei ragazzi lascia trasparire un’esperienza di lavoro complessa, che coinvolge non solo le loro competenze linguistiche e le loro conoscenze storiche, ma anche le loro capacità espressive ed operative in campo grafico. Certo è che le espressioni inserite nei fumetti per far parlare i personaggi traducono tutta l’affettività che i ragazzi hanno investito nella storia, dando al racconto un sapore genuino ed autentico.

L’educazione storica è entrata a far parte dell’attività didattica generale. Questo significa:

  1. che per l’insegnante di storia è diventato uno specifico obiettivo didattico di insegnare a vedere, osservare, pensare storicamente e che ci si è sforzati di passare dal racconto di fatti storici alla riflessione sulla storicità di tutte le cose, non soltanto di quelle che formano oggetto di studio, ma anche di quelle che fanno parte dell’esperienza quotidiana;
  2. che questo obiettivo è stato assunto da tutti gli insegnanti come problema intrinseco alla didattica delle loro discipline.

Per l’apprendimento è sembrato più produttivo sul piano didattico uno studio della storia basato sulle manifestazioni tecnologiche, economiche, sociali, artistiche e religiose delle varie civiltà, che desse spazio alle capacità operative degli alunni traducibili in competenze. Con la parola “civiltà” abbiamo inteso indicare dei complessi comprendenti spesso più società politiche, per esempio le civiltà mesopotamiche, i cui elementi devono la propria reciproca somiglianza ad una certa uniformità dell’ambiente fisico, alle credenze, agli usi e costumi comuni, alla maniera di identificare e sfruttare le risorse naturali, di organizzare il tempo e lo spazio. Così lo studio del mondo greco, il recupero della civiltà mediterranea antica è avvenuto in relazione alla società contemporanea. Ciò per chiarire che il mondo antico, per quanto lontano, è anche il nostro mondo, in quanto c’è un fondo comune che non è solo storico, ma anche linguistico, logico, sociologico. La nuova impostazione ha assunto come punto di partenza quello che F.Braudel ha chiamato il “piano zero”, il “piano terreno” della storia, quello della cultura materiale. Per cultura materiale si intendono temi come l’alimentazione, l’alloggio, i livelli di vita e le tecniche, soprattutto se rivissute, anche operativamente, dai ragazzi. La storia della cultura materiale è in grado di rispondere a domande come: con quali metodi ci si proteggeva dal freddo? Quali potevano essere i cibi più diffusi?…

Il metodo usato per inserire queste linee di sviluppo nel programma di storia è stato inevitabilmente regressivo, dal presente al passato, perché solo dall’osservazione del mondo attuale l’allievo può apprendere che le “cose” non sono isolate tra loro, bensì legate da un sistema di relazioni. Si sono costruite le condizioni di apprendimento laboratoriale in cui l’alunno, oltre che operare protagonisticamente e interattivamente non solo col docente, riflette su come l’uomo entra in rapporto con le cose, come le cose sono nel tempo e come sono nel tempo sia le relazioni delle cose tra loro, sia i rapporti degli uomini con le cose. L’allievo è stato posto nella condizione laboratoriale di sviluppare una coscienza storica che investe tutto il resto della vita degli uomini, non solo quella materiale, ma anche quella economica, sociale, spirituale. A tali obiettivi sono state finalizzate anche le visite ai musei.

Ciò ha permesso agli alunni di scoprire “l’onda lunga” della storia, che per Braudel inizia nel Mediterraneo, giunge a noi, ma va oltre e sorpassa anche gli uomini. All’onda lunga si contrappone “l’onda corta” che comprende gli avvenimenti politici contingenti.

All’interno di tutto ciò gli allievi hanno potuto confrontare il paesaggio agrario di ieri con il paesaggio industriale di oggi, le tecniche di difesa di ieri, la falange oplitica, con la sua continuazione nelle tecniche attuali del carro armato. Nel campo delle scienze  vi è stato un riferimento storico a grandi scienziati come Pitagora, Euclide, Archimede. Certamente non ci si è limitati ad alcune informazioni biografiche, bensì si è cercato di approfondire la tematica del progresso scientifico. Si sono riprodotte le piante urbane di alcune città greco-antiche come Paestum e Atene, rilevando la “perfetta” geometria che era alla base del loro progetto e della loro costruzione e notando così che i Greci dell’antichità sono stati tra i primi a pensare e ad applicare il “concetto moderno” di piano regolatore urbano. Così i ragazzi, ricercando assiduamente e operativamente con i docenti in biblioteca a stretto contatto e lavorando sulla falange oplitica che è stata visualizzata sia con i fumetti che su un immenso cartellone disegnato con l’ausilio del computer, e con la tecnica della squadrettatura e della prospettiva, hanno scoperto che i Greci antichi, spinti da necessità militari, furono gli inventori della logica binaria, quella stessa logica binaria che è oggi alla base dell’informatica e dei computer.

Non è il caso, in questa sede, di riprodurre tutte le fasi dell’itinerario didattico percorso dagli insegnanti delle varie discipline. Tuttavia vorrei sottolineare alcuni passaggi interessanti del lavoro:

  1. indicato come problema centrale l’ambito del mare Mediterraneo, si è cercato insieme di stabilire quali fossero alcuni tra gli elementi più caratterizzanti della civiltà greca, per dimostrare come quest’ultima fosse il culmine e la rielaborazione delle civiltà mediterranee precedenti, fenicia, ittita, egiziana, e come i Romani siano stati i propagatori della civiltà greca;
  2. si è cercato , inoltre, di rilevare gli elementi comuni e le differenze fra le varie civiltà, gli scambi culturali, le durate, la cronologia generale, il sovrapporsi di diverse civiltà dello stesso territorio. Tutto ciò allo scopo di capire su quale humus si sarebbe poi sviluppata l’unificazione politica e culturale romana.

Così l’Odissea, per esempio, è stata presentata agli alunni non solo come problema storico, ma anche come archetipo del romanzo. Infatti Ulisse è stato presentato non solo come colui che va alla ricerca dell’ignoto, ma anche alla ricerca di sé stesso. Attraverso la rivisitazione del viaggio odisseico da parte di uno dei maggiori poeti greci contemporanei, Costantino Kavafis, gli alunni hanno percepito una nuova chiave di lettura del poema omerico: non è tanto la meta che è importante, ma il percorso attraverso il quale si acquisisce la maturità. Ed è stato inoltre constatato come questo viaggio sia stato ripreso dalla letteratura successiva per ritrovarlo nella Divina Commedia e anche nell ‘ Ulysses di Joyce, con il suo “stream of consciousness”. I temi essenziali dell’Ulysses sono la ricerca del padre, la ricerca del figlio e l’esilio. L’Odissea è la storia di un viaggio: il viaggio di ritorno nella patria da cui l’eroe è rimasto a lungo esiliato.

Così nell’Ulysses si possono ravvisare le tre parti:

  1. Telemachia: le avventure di Telemaco/Stephen Dedalus;
  2. Odissea propriamente detta: le avventure di Ulisse/Bloom;
  3. Nostos: il ritorno di Ulisse ad Itaca con il ricongiungimento di Ulisse e Telemaco (Bloom e Stephen) cui presiede Penelope/Molly.

Anche questi punti di contatto hanno messo i ragazzi nelle condizioni di riflettere sul fatto che non esistono fratture fra le varie materie, neppure fra materie umanistiche e tecnico-scientifiche.

Per continuare il parallelismo oggi/ieri nel campo della difesa, i ragazzi sono giunti allo studio della falange oplitica, andando così indietro nel tempo e avvicinandosi allo strumento tecnico-tecnologico inventato dai Greci. Tale costruzione ha rappresentato non solo una visualizzazione della spiegazione storica, ma anche, con la guida esperta dei docenti, il momento tecnico-operativo, interattivo e creativo in prima persona, la concretizzazione della sfera sociologica, economica e politica del tempo. Infatti gli alunni si sono resi conto che i piccoli proprietari terrieri erano i protagonisti in quanto classe egemone della civiltà ateniese e, quindi, in condizioni economiche tali da poter acquistare l’armatura. Naturalmente questa tecnica di difesa non può essere completamente estranea alle tecniche difensive delle civiltà precedenti, fenicia, persiana, egiziana, ittita, anzi ne rappresenta una sintesi ad un livello superiore.

Si è colta l’occasione per fare riferimento anche alla democrazia ateniese, la cui base sociale nel suo ultimo periodo di esistenza fu espressa dai teti, i marinai salariati delle biremi e triremi greche. Si è scoperto così il nesso strettissimo tra democrazia ateniese, talassocrazia, dominio del mare e dei suoi traffici, e salariati urbani, i teti. E quindi, come in qualche modo, anche contraddittorio, i diversi e opposti interessi, agrari e marittimi, coesistessero e convivessero nel grande contenitore delle istituzioni democratiche ateniesi.

Questa fase di operatività degli allievi ha rappresentato un “feed-back” per l’insegnante, ma, contemporaneamente, ha modificato sia le conoscenze che le competenze e le prospettive di partenza del docente stesso.

Solo quando i ragazzi hanno acquisito una certa familiarità con la lingua straniera è possibile per l’insegnante di lettere instaurare un parallelismo fra le due lingue che ne rilevi sia le analogie che le differenze. Proprio analizzando analogie e differenze e, soprattutto, riallacciandoci allo sviluppo e all’espandersi della civiltà romana, è stato possibile aprire la prospettiva storica e recuperare i fenomeni caratterizzanti l’evoluzione della lingua inglese. Su questo argomento si è insistito molto perché gli elementi storico-culturali collaborano allo sviluppo del pensiero storico, dando allo studio della lingua straniera una latitudine culturale ben più ampia di quella dell’acquisizione, a fini pratici, di un codice linguistico. In tal modo i ragazzi hanno fatto il primo incontro con i Celti, la cui presenza in Gran Bretagna fu cancellata da un processo di assimilazione con il mondo romano.

Dal punto di vista linguistico la lingua celtica ha lasciato le sue tracce nell’attuale lingua inglese. Ne ritroviamo un esempio nel termine “rice” che è continuato nell’inglese “rich”, potente, tramutatosi in “ricco” per influsso del francese. Un altro termine celtico è “dun”, colle, riscontrabile nell’attuale sostantivo inglese “down” , è passato, attraverso il latino, nell’italiano “duna”.

Dopo l’arrivo dei Romani, il latino diventò una specie di seconda lingua e i ragazzi hanno avuto modo di ritrovare questa influenza linguistica in alcuni dei seicento nomi, soprattutto toponomastici, che i Celti hanno preso in prestito dal latino. Il più famoso è l’antico “caester”, dal latino “castra”; infatti sono circa settanta i toponimi terminanti in “chester”. Un altro termine è “wic” dal latino “vicus”, villaggio, che spesso assume il significato di fattoria ed è determinato dagli animali che vi si allevano o dalla produzione di latticini, come in Butterwick e Chiswich. Elementi importanti per la comunicazione erano la “via strata”, strada romana dal fondo lastricato, e il “ford”, cioè il guado che permetteva di attraversare il fiume. Il primo termine appariva nell’antico inglese “stret” o “strat” e i ragazzi lo hanno ritrovato nell’attuale “street”; i due termini riuniti sono ravvisabili in Stratford.

Quello che va sottolineato è che questa prospettiva diacronica è funzionale alla stimolazione di un modo di pensare storicamente. E’ molto importante che i ragazzi, oltre a sapere come funziona, soprattutto operativamente, la lingua che stanno studiando per agire con essa nella vita sociale, abbiano un’idea della sua storia. Ma è anche importante che, abituandosi a vedere i fenomeni dell’evoluzione linguistica in termini di causa ed effetto, imparino a mettere in relazione questi fenomeni con quelli di altre manifestazioni della storia dell’individuo e della società. Concludiamo, evidenziando come recentemente alcuni ricercatori nord-americani abbiano sperimentato con ottimi risultati l’introduzione del latino nelle scuole medie al fine di consolidare le nozioni di lingua inglese agli alunni ispano-americani parlanti spagnolo. Ciò è stato sperimentato anche da chi scrive proficuamente nella circolarità: italiano, latino, inglese, informatica.      


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