La polemica sugli esercizi commerciali a San Giuliano Milanese per fare COMUNITA’ devono offrire servizi ma rivestire anche funzione sociale
di Paolo Rausa
San Giuliano Milanese, come tutti gli hinterland delle grandi città italiane, sconta una politica urbanistica a dir poco caotica nel corso degli anni, in particolare a partire dagli anni ’60 in avanti quando “il miracolo economico” ha coinvolto il nord e soprattutto le città del cosiddetto triangolo industriale: Milano, Torino e Genova. L’arrivo di un numero impressionante di immigrati interni dal Sud Italia si è riversato nelle città e all’esterno, i loro hinterland, sconvolti da questo fenomeno impetuoso e drammatico, senza che fossero preparati. E’ stato necessario realizzare case, palazzoni e strutture per le numerose aziende che sorgevano come i funghi. Come? Con un disegno preordinato? Equilibrando i vari settori, abitativi, industriali e terziari, e armonizzandoli?
Niente di tutto questo! Benché gli strumenti urbanistici fossero a disposizione degli amministratori locali, questi non ne hanno fatto buon uso, anzi. Lo stesso piano regolatore generale del Comune di San Giuliano Milanese adottato nel ’90 per bypassare le norme stringenti del Parco Agricolo Sud Milano ha ancora una volta espugnato le aree agricole e le ha sventrate, mettendole poi a disposizione delle varie cooperative edili e delle imprese del settore per dissodarle e concimarle con il cemento di altre case, altri capannoni per l’industria e per il commercio, mescolando le varie attività senza criterio. L’importante era costruire, invadere la campagna, piegarla ai nuovi bisogni, trasmutarla. Ora non ha molto senso individuare i responsabili di questa politica scellerata, ma sicuramente c’è stata una mancanza degli amministratori che sono seguiti al sacco di quelli di allora nel tentare una possibile armonizzazione fra le aree industriali, commerciali e residenziali, ricomporre l’anima di questa città, farne una comunità.
Benché il quadro sia mutato da allora e nuovi arrivi, questa volta di extracomunitari, da ogni parte del mondo, arabi, latino americani e cittadini dell’est europeo, si siano riversati, chiedendo ospitalità e lavoro. Ma allora è perduta del tutto la partita? Non del tutto, se responsabilmente tutti, senza scaricare le colpe, ci si mette a tentare di riordinare il nostro territorio abitato e abusato. Come? Riscrivendo i piani urbanistici di sviluppo, i piani commerciali, cercando di ricomporre il tessuto sociale fatto di abitazioni, servizi pubblici e servizi commerciali al minuto, il cosiddetto commercio di vicinanza. E’ un’operazione di portata enorme, ma è l’unico modo per riuscire a riscrivere la storia delle nostre comunità senza addossarsi colpe e responsabilità, che hanno gli amministratori delle passate stagioni ma anche di questa perché non si vedono i segni di una inversione di tendenza necessaria. E allora chiediamoci: sono proprio necessari questi mini o super market? Favoriscono quel senso di socialità e di identità oppure contribuiscono a dissociare gli abitanti? La prima azione da fare è coinvolgere i cittadini a riscrivere i loro quartieri e poi occorre dotarsi di una visione d’assieme.
Le polemiche lasciano tutto com’è, a noi serve il cambiamento e definire nuovi modi per vivere insieme, in pace e in sicurezza. Facciamo diventare questo sogno una realtà. Si può, se si vuole. Se ci facciamo condizionare dallo spirito della collaborazione e non della contrapposizione sterile che impedisce di migliorare la realtà sociale in cui viviamo.