La poesia di Antonio Sabetta
di Paolo Vincenti
Il paesaggio salentino o, per meglio dire, l’elegia del paesaggio muove l’ispirazione poetica di Antonio Sabetta in questo libro, Mondanità, pubblicato nel 2007 con Lupo Editore, che è forse il suo più compiuto. Antonio Sabetta, che considera la poesia “catarsi dell’anima” contro le umane brutture, ha pubblicato dell’altro, in carriera, e questa raccolta fa parte dell’ampio materiale inedito di cui l’autore dispone.
Egli infatti dispensa le sue poesie in tutte le occasioni, letterarie e amicali, in cui ne abbia modo, a volte cogliendo di sorpresa il suo interlocutore, benevolmente “costretto” ad ascoltare l’improvvisata lettura dei suoi versi. Filo conduttore della presente silloge poetica è l’amore per il Salento, che si svolge nella visione estatica delle sue albe e dei suoi tramonti, delle sue pietre, di quell’amniotico silenzio della sua campagna solitaria, del profumo della zagara e della castagna, del bianco volo dei gabbiani sul ceruleo mare, del colore dei melograni, il tutto accarezzato dal tocco invisibile di Dio.
Infatti, l’altra tematica che sostanzia le liriche di Sabetta è la sua fede cristiana e quel sentimento di gratitudine nei confronti del Divino Artefice al quale si è rivolto con accenti di più pura devozione in precedenti raccolte poetiche. Il Salento, nella sua figurazione mitica, viene trasposto in una edenica visione che sconfinerebbe nel naif se non fosse sostenuta da una discreta padronanza dei mezzi tecnico-espressivi.
E questo Salento, iconizzato nei comignoli fumanti di case biancheggianti dalle semplici geometrie, nel sasso levigato dall’acqua del torrente, nel fico d’india dalla faccia spinosa e nei nodosi ulivi, insomma in quei connotati archetipici che contrassegnano la nostra terra, questo Salento, dicevo, viene contrapposto,- emblematico il titolo della raccolta, Mondanità-, nei suoi valori più autentici e nella purezza primeva del suo paesaggio, alla mefitica civiltà degli anni duemila, il mondo contadino, pastorale, di un Salento perduto, alla società supertecnologica di questi anni sbandati.
Un empito di accorata nostalgia alimenta le sue accensioni liriche e l’amore per la natura, con la quale egli intesse un dialogo quasi amoroso, lo porta ad una forma di panismo, di comunione con il tutto intorno, che è anche difesa dal male imperante, rimedio, forse, alla solitudine e al mal di vivere. Inoltre, in filigrana, si può avvertire un senso della storia e del fluire millenario delle vicende umane di questo popolo salentino di cui l’autore si sente aedo. Sicuramente influenzato da Quasimodo in certe felici descrizioni del paesaggio meridionale del poeta siciliano, vicino per toni e accenti al crepuscolarismo, Sabetta può però essere inquadrato in quel filone della letteratura salentina che possiamo piacevolmente leggere ed apprezzare.