La pastorale di Vicè
di Alessandra De Matteis
“La viscilia vene cu lu gelu”, scriveva Walfredo De Matteis nella sua commovente poesia “La pasturale”.
Ma se ormai noi gallipolini abbiamo fatto l’abitudine a un clima sempre più mite, il fatto che i tempi stiano cambiando è qualcosa che qui si limita a un ambito prettamente ed esclusivamente meteorologico.
Nella Città Bella è usanza ormai consolidata quella secondo la quale non si santifica solo – o prevalentemente – la ricorrenza nel suo giorno deputato: è la vigilia che è dedicata alle processioni, che prepara l’atmosfera, che allunga il dì di festa, ciò che di solito è troppo breve e sfuma rapidamente, spesso proprio nell’affanno di viverlo e consumarlo.
Mi è capitato di raccontare tale particolarità a persone geograficamente molto lontane da questa piccola perla pugliese, a qualcuno che, fuori da un contesto in cui ciò appare non solo normale, ma anche logico, ha pensato che possa trattarsi di una forma di ansia anticipatoria.
E invece è esattamente il contrario.
“Vigilia, dal latino vigilia col significato veglia (in greco antico: παννυχίς , pannychis o ἀγρυπνία, traslitterato in agrypnia), è un periodo di insonnia volontario, una occasione devozionale, o una osservanza liturgica o tradizionale. La parola italiana “vigilia” è divenuta generalista con questi significati e consiste nell’attesa dell’evento che segue il giorno dopo” (fonte: Wikipedia).
E allora no, il gallipolino è tutt’altro che ansioso, in questo senso.
Il suo modo di vivere la vigilia è segno di pazienza, è segno di saggezza: perché per disporsi a un evento è necessario sapersi dedicare a esso, partire dallo spirito, pre-vederlo, pre-pararlo affinché possa diventare un ricordo che ci cullerà quando avremo un’altra attesa da affrontare.
Qualcosa che ci dica che ciò che si aspetta, prima o poi arriverà.
E, fondata su queste premesse, la vigilia di Natale assume il significato di compimento di un ciclo iniziato il 15 di ottobre, data a partire dalla quale, a scadenze fisse e certe, i ritmi rallentano, conformandosi a quello della nenia che le caratterizza: la pastorale gallipolina.
Non è un caso che questo componimento così caro ad anziani, giovani e bambini, senza alcuna distinzione, sia frequentemente portata in giro per le strade della città prima che faccia giorno: veglia, insonnia volontaria.
“Se dduma na luce, s’apre nu purtiddru:
ste notti te dicembre, ciujeddri sente friddu!”
E non potrebbe essere altrimenti: è il calore della devozione e dell’attaccamento alla tradizione, del senso della condivisione di cui il gallipolino è impastato in una combinazione unica costituita, in pari dosi, anche da salsedine e aria di mare.
Il compimento di un ciclo, dunque: l’arrivo della luce per l’umanità, del Salvatore, è diventata la vigilia per eccellenza, a sua volta da accogliere e preparare.
Ed ecco, allora, che si guadagna il suo posto di diritto nei giorni da segnare in rosso sul personalissimo calendario della città di Gallipoli anche l’antivigilia, la “vigilia della vigilia”.
“Caccia na manu te vinu una biìuttija:
nu sonatore listu se la pija.
Se ferma na chitarra, poi nu mandulinu:
‘ssuppene a turnu! Tocca allu viulinu!”
Ancora, di nuovo, le parole di Walfredo De Matteis sembrano fotografare dal passato un’immagine che, chi si trova a passare per Via Crocefisso dei Molini la sera del 23 dicembre, vive nel presente.
Una piccola strada, al termine della quale si spalanca il litorale di scirocco.
Stretta, spesso silenziosa: spesso, ma non in questa notte.
La gente si accalca fuori dalla porta dell’abitazione della famiglia Vincenti, e si dispone per tutta la lunghezza della via e anche oltre, dietro l’angolo dal quale si intuisce solo quello che sta succedendo e si sentono i suonatori accordare gli strumenti.
👇👇👇
https://www.facebook.com/share/v/1Av3HFdGfp
C’è una convergenza, come se ci si fosse dati un appuntamento silenzioso, perché anche senza bisogno di appelli social lo sanno tutti: questa è la sera de “La pasturale tu Vicè”.
All’anagrafe Vincenzo Vincenti, gallipolino doc e uomo simbolo delle tradizioni locali, di cui è innamorato e strenuo difensore, può apparire burbero con la sua lunga e folta barba bianca e l’aria austera.
Ma è, appunto, apparenza: Vicè è un uomo che apre le porte della sua casa a conoscenti ed estranei, che “gratuitamente dà”, come il Vangelo insegna, in questa serata così particolare dove sembra di essere in una dimensione parallela. Dà la gioia di stare insieme, di attendere insieme l’arrivo di Nostro Signore, al quale è profondamente devoto; dà la possibilità di recuperare il senso della festa nel marasma delle distrazioni che ci fanno spesso dimenticare che il Natale è condivisione perché Cristo ci ha sempre insegnato la comunione, lo stare insieme, l’accoglienza.
Non è un caso, allora, che questo ‘evento’, nato per poche persone alla fine degli anni Ottanta del Novecento, in una dimensione familiare e privata, abbia assunto le dimensioni che conosciamo oggi: perché la gioia è contagiosa, attira come una calamita, è quello che tutti cerchiamo.
Intervista di Tony De Donno a Vincenzo Vincenti 👇👇👇
https://www.facebook.com/share/v/1GywjuAKHW
La pastorale viene prima eseguita all’interno dell’abitazione, a fare da contorno il presepe artigianale, le decorazioni, e il senso di ospitalità che è palpabile, così tanto da spingere molte delle persone che sono fuori in attesa a cercare di entrare. E chi ha la fortuna di riuscirci, prima che si raggiunga la capienza massima, può testimoniarlo: sembra accadere qualcosa di magico, lì dentro. Le note, gli sguardi e la complicità tra i musicisti, le poesie declamate, le canzoni tradizionali cantate in coro, il calore palpabile che solo note che suonano all’unisono può generare.
La pastorale gallipolina suonata all’interno dell’abitazione 👇👇👇
https://www.facebook.com/share/v/15spyKZygP
Intanto, da quell’uscio vengono portati fuori, sempre più frequentemente, vassoi pieni di ogni ben di Dio: pittule, pesce fritto, pasta fagioli e cozze in piatti fumanti che corrono veloci di mano in mano perché tutti possano averne uno, sentire quei sapori che non sono solo cibo, ma una carezza che va accolta e custodita con cura, attenzione e rispetto per un intero anno.
E il vino… anche il vino quella sera ha un sapore diverso: sembra essere in grado di favorire sorrisi e risate, di rendere la vita più leggera, perché questa sera nei bicchieri scorre quello buono, come quello riservato agli ospiti delle nozze di Cana.
Non è solo una serata di festa, è uno spaccato di umanità in un momento di aggregazione raro, a cui non siamo più abituati, tanto da essere diventato un rito irrinunciabile, una di quelle occasioni da non perdere perché quasi un’eccezione. È un momento intriso anche di messaggi evangelici e cristiani, per quanto possa apparire prettamente mondano: è la fede più semplice e più autentica che si manifesta nell’annuncio festoso e gioioso dell’imminente nascita di Cristo, che parte dal singolo, dall’intimità di una casa, e viene portato per le strade, alla comunità.
È questo che il gallipolino attende, forse: di poter fare un passo indietro davanti alla fretta che travolge e confonde, facendo a volte smarrire anche un pezzo di identità nel senso più collettivo del termine. È una pausa, come quella che si prendono i suonatori quando giungono in via Briganti e si aprono le porte di un’altra casa, quella di Franco De Vito.
Quest’anno, la pastorale di Vicè farà sosta anche al frantoio di Palazzo Briganti (Via Angeli n.3) dove, a cura dell’Associazione Gallipoli Nostra (presidente Elio Pindinelli), sarà inaugurato il presepe artistico allestito dal maestro Antonio Bentivoglio (in arte ‘Ntò Carta).
Ma torniamo al signor Franco De Vito.
Franco è una persona di quelle che vengono definite una “istituzione”. E lo è certamente per me, che gli sono profondamente affezionata, forse anche perché siamo legati da un raporto di fratellanza confraternaternale, appartenendo entrambi alla Congrega di S. Maria degli Angeli.
Uno dei momenti che attendo di più è proprio quello in cui finalmente vedo il suo sorriso mentre, sulla soglia del portone di casa, accoglie a uno a uno i musicisti e tutti gli ospiti, conosciuti e non. Persone che, varcando quella soglia, entrano in un mondo alternativo, fatto di luci, addobbi e dolci tradizionali … un piccolo gioiello nascosto dal mondo, ma che Franco e la sua famiglia sono sempre pronti ad aprire a chiunque abbia lo spirito natalizio e, sospetto, anche a chi lo ha perso e qui potrebbe facilmente ritrovarlo.
“Bustraddruzzi, scajozzi e pitteddre,
‘st’ore te pace facene chiu beddre.
Susu la quantiera tanti bicchiarini
T’anisi e de streca finu ‘ncanna chini”.
E di nuovo, è un tripudio di musica e canti, mentre le ore corrono e restano solo pochi minuti al termine di quest’antivigilia che ci porterà all’attesa della nascita di Colui che, con la sua luce, ha rischiarato la notte dell’umanità, davanti alla quale l’intero creato mantiene il fiato in sospeso.
Video di Tony De Donno sulla tappa della pastorale a casa del sig. Franco De Vito 👇👇👇
https://www.facebook.com/share/v/14GVnzDQV2/
Gli addobbi di quest’anno a casa De Vito in un video di Gino Saturno 👇👇👇
https://www.facebook.com/share/v/19Zktk3Zbt
È il momento del silenzio e del raccoglimento, anche le note tacciono, anche la musica aspetta:
“L’urtima nota more luntanu:
li sonatori se stringene la manu!
La mariggiata rumpe la scojera:
la Pasturale spetta begna sera!”
______________________________________________