“La partecipazione del Sapere”
di Riccardo Rescio
Trasferire le proprie conoscenze per formare nuove coscienze, passare esperienze per fortificare i caratteri, partecipare emozioni, sogni, idee, aspirazioni per stimolare l’intuito, sollecitare l’osservazione, sviluppare le intrinseche potenzialità è difficile, molto difficile e come tutte le cose difficili richiedono la massima attenzione, grande impegno e molto spesso, con la tensione che tutto ciò comporta, anche tanta paura di sbagliare.
La partecipazione del sapere richiede un quotidiano e costante impegno, un onere e un onore a cui non si può e non si deve in alcun caso sottrarre.
Un genitore che non sente il desiderio, l’irrefrenabile necessità di trasferire continuamente le conoscenze acquisite ai propri figli non può dirsi un buon genitore.
Un precettore non può dirsi tale se non fa dell’insegnamento il postulato principale della propria vita, trovando il naturale appagamento nel formare coscienze ricche di desiderio di conoscere, piene di stimoli, capaci di sviluppare le grandi potenzialità del pensiero.
Il vero sapere non è la capacità di stivare notevoli quantità di nozioni o conoscere dati e date da poter sciorinare a menadito.
Fare cultura non è inculcare, ma sviluppare, attraverso lo studio, le conoscenze, l’osservazione, la voglia di sapere, la curiosità di conoscere, la possibilità di scoprire cose nuove, l’oltrepassare frontiere, l’esplorare territori sconosciuti e cosi facendo assaporare il supremo piacere di aggiungere qualcosa, anche infinitesimale, a tutto quello che già c’è.
Il sapere non deve mai essere fine a se stesso, ma deve precostituire il presupposto, la condizione inalienabile per elaborare, sviluppare sempre nuove conoscenze.
L’uomo libro, L’uomo enciclopedia, l’uomo dallo sconfinato sapere se usa le proprie conoscenze solo per se stesso rimane un fenomeno da baraccone, capace solo di appagare, con la meraviglia della gente, unicamente il proprio ego.
Non basta sapere, bisogna essere altrettanto capaci di trasferire il proprio sapere e fare in modo che tali conoscenze possano svilupparne sempre di nuove.
Tutti noi, in qualche misura siamo chiamati a svolgere questo affascinante compito, come genitori, insegnanti, professori, precettori, maestri d’arte, capi ufficio, capi reparto, prima o poi, per un breve periodo o per lunghi anni, avremo la responsabilità di passare le nostre conoscenze, potremo farlo per amore, per passione, per missione, per scelta di vita, oppure per obbligo o costrizione, in tutti i casi la responsabilità di formare non potrà essere alienata.
Quanti di noi sono effettivamente in grado di farlo nel migliore dei modi è difficile da stabilire, ma se tutto ciò è di una sconcertante ovvietà, altrettanto sconcertanti sono i danni che si creano quando la presunzione, l’arroganza, l’egocentrismo, la frustrazione, sovraintendono al compito di preparare le coscienze.
Capita a volte che le debolezze umane prendano il sopravvento e facciano si che un genitore, magari anche inconsapevolmente, convinto di fare il bene del proprio figlio, lo costringa a privarsi dei suoi desideri, delle sue aspirazioni, per costringerlo a raggiungere quegli obiettivi che lui stesso avrebbe voluto, ma che non è stato capace di raggiungere.
La trasposizione dei propri desideri mancati nei figli è una delle cose peggiori che un genitore possa fare, ma è purtroppo anche la più diffusa.
Privare della possibilità di far realizzare i propri sogni a qualcuno è una cattiveria che diventa veramente aberrante quando questa privazione avviene in nome e per conto di quell’amore così particolare che dovrebbe annientare il proprio sentire a favore dell’interesse supremo, il bene di un figlio.
Il dono più grande che un genitore, che è anche insegnante, precettore e tutore dei propri figli, possa fare per potersi dire veramente un buon genitore, è quello di essere capace di far comprendere ai propri figli quanto sia importante sviluppare la ragione e attraverso questa sviluppare una propria capacità critica che potrà anche portarli ad accettare dogmi e fedi, ma mai per prassi, mai per circostanze, mai e poi mai per passiva accettazione, ma esclusivamente per vera convinzione, per vera condivisione di idee, solo ed esclusivamente per convinta partecipazione.
Compito di un genitore o di chiunque intende condividere il proprio conosciuto è far comprendere che i riferimenti sono una cosa importante, i riferimenti sono il sistema di misurazione del nostro pensare, del nostro agire, a questi dobbiamo continuamente rifarci per confrontare il nostro e l’altrui operato.
I riferimenti costituiscono le pietre miliari del nostro percorso formativo, sono i valori, gli affetti, i ricordi e le esperienze, sono gli insegnamenti, sono i sorrisi e i rimproveri, gli incoraggiamenti e i dinieghi.
I riferimenti sono tutto quello che è necessario a farci crescere, a far sviluppare la nostra personale capacità di valutare con attenzione, di analizzare con obiettività, di considerare con oculatezza tutto ciò che ci capita in modo da poter compiere scelte, liberi da condizionamenti, nella piena consapevolezza di ciò che si fa e delle conseguenze che tali scelte comporteranno. Il nostro sarà un percorso formativo che non finirà comunque mai.
Le idee hanno bisogno di un volto, per sapere di chi sono, di labbra che emettano parole affinché le possano esprimere, di orecchie che abbiano capacità e voglia di ascoltare e di mani capaci che le possano mettere in pratica.