LA NOTTE DELLA TARANTA in forma di canto di Maurizio Nocera
In forma di canto
per il mio amico
e compagno Gigi Chiriatti
e per
Giorgio Di Lecce (danzatore)
Uccio Aloisi (tamburellista)
Sergio Torsello (studioso)
Piero Fumarola (sociologo
Georges Lapassade (etno-antropologo)
Daniele Durante (concertatore della Notte della Taranta)
«Appena si avvicina l’estate le ragazze si avvicinano al mare,
uomini e bambini entrano nelle onde con precauzione
ed escono saltando dal pericolo.
Così consumano la danza millenaria dell’uomo
di fronte al mare, forse il primo ballo degli esseri umani»
Pablo Neruda, in Confesso che ho vissuto.
Fila Maria fili d’Oriente
e filano pure
tutte l’altre Marie del Salento
nell’intreccio marino
di aquiloni bambini di carta velina
rossi al vento
e cullati da nuvole
dal blu pittore di vita.
Qui
il sole a giugno
spreme sangue
a nostra Magna Mater messapa
morsa
ri-morsa
dalla tessitrice implacabile
escavatrice inesorabile
dell’oscuro incavo tra le cosce
bianche di calce
di donne tabaccare
che di foglie di Xanti Yaca
e di semi di grano duro profumano
pure.
Arde di furore
morde di ferocia
la Taranta salentina
Aracne Messapica filatrice espertissima
che di Maria
e di tutte l’altre Marie del Salento
è mondo magico fatato
immane incendio d’estate
tra le assolate terre non più arate
dai tamburellatori contadini.
Non c’è più rimedio
allo sgomento
al fremito
alla trappola degli inganni
per l’Aracne salentina
agguattata negli anfratti rocciosi
con l’anima ‘ndrogata
e la mente affumolata.
Sono ormai spenti tutti i colori del cielo
e la carne
lì
nell’incavo di piume
non sente più calore
nessun ardore.
La gente del vicinato
setaccia il cuore di Maria
e pure quello delle tant’altre Marie
cuore passato e trapassato
sull’aia di Giurdignano
là dove
san Paolo dei serpenti
infilza il suo spadone
nel ventre molle di nostra Magna Mater.
La Taranta salentina non trova
più la corona della testa
e il petto peloso le è caduto a precipizio
la zampa smarrendo nella tana.
Morso/ri-morso
portano tormento
sempre
alla donna velata di nero che
furiosa
corre sugli spalti marini di Badisco
per confondersi tra le pieghe d’un’onda disperata
di sangue salato spruzzata.
L’ombra della Taranta s’allunga
tra le rocce di Torre Sant’Emiliano
là dove
sfiata aliti di mentastra ingannatrice.
Maria
e tutte l’altre Marie del Salento
non hanno più scampo
non hanno più orizzonti
prigioniere come sono
nella lingua tra i due mari.
Sorridono alle carezze di mani callose
intanto che gli occhi sprofondano
nell’incanto di tenerezze di muschio.
Aracne divora il tempo
all’angolo sinistro di Cerfignano
là dove
il danzatore di Lecce
il tamburellatore di Cutrofiano
lo studioso di Alessano
stordiscono sui ritmi della transe
intrappolati nella tela di mussola intrigata
d’un’alba hidruntina baciata.
Le tarantate non hanno più memoria
ormai
di tant’altre storie.
Ricordano solo il volto d’un sole illuminato
e una trappola infernale
del morso sincopato
con Aracne che se la ride.
È da quel tempo cretese
che danza musica e canto
s’intersecano sull’antica Japigia
fascinano Arsapi stracotti dal sole
e Mesar-lì stregate dalla luna;
ballano tutti
e cantano amano
intanto che gira loro intorno
a cerchio chiuso
la ruota della vita
un po’ per non soffrire
un po’
anche
per non morire.
Una volta
ci fu una delle tante Marie
che di Sparta
si sentì essere figlia
si mise allora a danzare
e ballò così tanto che
sul selciato di san Paolo di Galatina
la sentirono chiamare sorella la Taranta
e Madonna di Galatina l’Aracne anatolica.
Sul selciato della chiesa sconsacrata
là davanti
alla magnifica Collegiata
la tarantata sventagliò le bianche sottane
col suo sposo in lacrime
e le figlie
a filare aliti di mirto.
Fu così che
allora
le lame dei coltelli scintillarono nell’aria.
Nel Salento
la terra è sempre arsa
e gli uomini di malaffare
non hanno ancora deposto gli odi,
aspettano che una civetta
vecchia stupida cornuta e malridotta
dia loro il segnale
per uscire nella notte
e colpire ancora
colpire chi ama.
Qui
la notte della Taranta è lunga
e la disperazione non passa mai
con la Morte
Signora di neroindaco vestita
sempre più vogliosa di anime
soprattutto
di quelle millenarie di Badisco
dove
– si dice –
si siano perse le tracce
dell’uomo dalla pancia straripante
e pure quell’altre
dell’anima dell’uomo dall’occhio sbilenco
indicato come uomo dei curli.
Infine
ora
la Morte è divenuta
predatrice dello spirito dello ieratico salentino
anima scanzonata e pizzicata
che
in solitudine
balla sulla riva sinistra d’un mare
rombante nella terra di mezzo.
Non è vero
ch’hanno visto quell’anima
entrare di notte tra i flutti
e non è vera la sua morte
piuttosto
è salita sul ventre di nostra Magna Mater
e lì
si è nascosta tra cespugli di vento
che
nella notte sibilano alla luna.
Dicono
di aver visto una croce
e un fiore rosso di papavero
spuntare sugli scogli della Palascìa,
e dicono pure
di avere sentito l’odore d’una femmina sacara.
Non è vero anche questo.
Quei simboli e quei profumi
sono lì da millenni.
Noi li abbiamo solo dissotterrati.
Qui
nel Sud del Sud Salento
fa ancora caldo
ed ormai si è fatto pure tardi.
Occorre ritornare al campo
riprendere la strada dell’ardore
che
per Maria
e per tutte l’altre Marie
significa amore.
Taranta taranta
tarantula salentina
porti tormento
e l’oistros d’un ragno d’un dio pagano
e colori in una mano
e tele dipinte nell’altra
e terra hidruntina
rossa e cretosa
come le mani
di quella donna perdutasi nella forra,
là dove
una foglia d’ulivo
di rugiada risultò pizzicata.
Ci sono tarante a forma di corbezzolo
e altre che somigliano alle bacche di lentisco,
d’una si dice che non ha collo
e che morde duro,
dell’altra si sa che fa le capriole.
È buffo sentire dire
che ci sono tarante salentine
di nome Caterina
e d’altre
che s’appellano Cristina,
d’altre
poi
si sa che hanno il corpo a stella,
e d’altre
infine
che sputano veleno da tre bocche.
Si sa pure d’un’altra,
di cui gli antichi dicono
striscia sulle gambe delle donne
come seme di oleandro profumato,
e d’un’altra
poi
che luccica come una lanterna
strascinandosi un codazzo da cometa luminosa.
Di notte
comunque
le donne dicono di vederle d’ogni parte,
soprattutto spuntare
sulle loro gambe aperte a imbuto,
perciò disperano un po’
poi
ridono a crepapelle
d’amore infuocato.
Infine dicono
dell’esistenza d’un’altra strana taranta
dal corpo tutto maculato,
che
quando morde il cuore
della merla Maria salentina
lo brucia e lo spinge
su un sentiero irrequieto
dove i segni della vita
si leggono come frutti della Natura.
Sapete
qui
sono tante le Marie morse tutti gl’anni
per questo
ora
parlano poco
zittiscono a volte
occupate dalle faccende d’ogni giorno.
Non s’ode più il lamento nella notte
e veleni ce ne sono per tutti
per chi vuol farsi mordere
e per chi vuol farsi prendere
e perdere.
Qui
non è difficile
sentire di notte
la taranta ragnare
come pure
il lamento d’una donna
che sotto l’albero di fico
aspetta il fidanzato.
E poi
dovete sapere
che
non è vero che con un liquorino
pur’anche appassito
la sofferenza piglia e passa
gli umori della carne non sopportano il furore
quando la taranta già morde dentro.
Maria
e pure l’altre Marie tarantate
e le Cristine
e le Caterine
e tutte l’altre Signorine ‘pitipizzu’ del Salento
cantano ballano
sulle parole dello studioso d’Alessano
al ritmo del musico di Cutrofiano,
col danzatore di Lecce
tra libri, tamorre, organetti, chitarre,
e flauti, fisarmoniche e scimitarre,
scontrandosi con Dioniso dal tirso in su.
La musica
però
è sempre la stessa:
pizzica taranta per chi ha dolore,
pizzica de core per chi fa l’amore.
Questo è il rimedio del Salento
terra arsa amara rossa
dove
Maria
eppure
tutte l’altre Marie
un giorno
quasi per gioco
finirono col perdersi davvero
‘mannaggia’
solo per così poco.
Altri rimedi non se ne conoscono
per questo le donne salentine
cantano e ballano
spengono la luce e s’attaccano al palo
per non fuggire
per non morire.
Intanto
dall’ombra d’un ulivo rovinato
dalla xylella fastidiosa e pazza pure
lo studioso
il tamburellatore
il danzatore
spiccano un volo verso il blu celeste diversale:
sono aquiloni umani intenti
uno a girarsi un libro tra le mani,
l’altro a battere un tamburello insanguinato,
l’altro ancora a ballare piroettando sulla terra di mezzo,
incuriosiscono le Aracni ingannatrici
intente a ricamare la tela della vita.
La Taranta salentina
arde e morde
il ventre di Maria
e delle tant’altre Marie
infuocato
che s’espande per mari
e per terre
rosse di sangue raggrumato.
«Sia benedettu ci fice lu mundu
comu lu sippe bellu a situare
fice la notte poi fice lu jiurnu
e poi l’ha fattu crìscere e mancare.
Fice lu mare tantu cupu e fundu
ogni vascello cu ‘ppozza navigare.
Fice lu sole e poi fice la stella
e poi fice l’occhi toi, cara mia bella.
Fice lu sole e poi fice la luna
poi fice l’occhi de la mia signura»*.
Maurizio Nocera
(Badisco, forse era una notte d’agosto 2015, davanti al mare che parlava alla luna)
* Anonimo Salentino, da Canti di pianto e d’amore dell’antico Salento.