“La Matonna ti lu Cugnu” e la nobile famiglia Tafuri
di Francesco Danieli
Terza domenica di novembre: ricorre oggi una memoria tutta galatea, risalente alla fine del Seicento, dimenticata negli ultimi decenni.
Un nobile rampollo di una tra le più antiche casate gentilizie della città di Galatone, Gioacchino Tafuri, fu incolpato per delazione di fabbricazione e spaccio di monete false. La gendarmeria incaricata di perquisire il suo palazzo non trovò nulla di incriminante: ed infatti, la memoria popolare racconta che il conio – lu “cugnu”, appunto – fu gettato in una cisterna appena in tempo.
Ma fu la testimonianza in seno al processo, a Napoli, da parte di una sconosciuta Dama vestita di nero, a scagionare il Tafuri. La nobile famiglia ritenne questo intervento soprannaturale, identificando quella Signora – che non venne bloccata da nessuno e si rivelò avere molta influenza sulla Corte dei magistrati – addirittura con la Vergine Addolorata.
Così fu istituito un consistente legato pio nell’Insigne Collegiata, con obbligo di sette messe annuali (corrispondenti ai sette dolori) e di messa cantata con panegirico ogni terza domenica di novembre.
Don Giuseppe Colitta è stato tra gli ultimi ad aver predicato dal pulpito nella ricorrenza de “la Matonna ti lu Cugnu”, al tempo dell’arciprete Raffaele Bruno.