IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La mamma di Montalbano di Mario Pintacuda

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Montalbano-e-la-mamma

Andrea Camilleri fornisce poche ma significative notizie sulle prime fasi della vita di Salvo Montalbano.

La madre del futuro commissario era morta quando lui era piccolo: “di lei non s’arricordava nenti, tranne ‘na speci di luci biunna ‘n movimento, come le spiche di frumento quanno supra ci batte il soli, e delle spiche di frumento cataminate dal vento faciva lo stisso fruscio liggero liggero” (Riccardino, p. 72).

La stessa immagine si trovava già ne La voce del violino; qui il piccolo Salvo conserva di sua madre, nella memoria, “una specie di luminescenza dorata”; e quando chiede a suo padre se la mamma fosse stata bionda, “nel tentativo di spiegarsi perché il ricordo della madre consistesse solo in una sfumatura luminosa”, il padre replica asciuttamente: “Frumento sutta u suli” (p. 23).

Ne La rete di proiezione, proiettando un vecchio filmino 8 mm. che gli è stato prestato per risolvere un antico enigma, Montalbano ha un flashback fulminante che gli ricorda sua madre: “Da ‘u sapi Dio quali profunnità del so ciriveddro gli era tornata ‘n menti ‘na scena di quanno era picciliddro, con so patre che proiettava un filmino superotto indove compariva di spalli, e sulo per un momento, la figura di so matre. L’unica immagini che lui possidiva di lei e che ogni vota gli si apprisintava accussì, stampata nella so testa: di spalli, coi lunghi capelli biunni che si cataminavano a leggio come il frumento sutta il vento” (p. 27).

Il piccolo Salvo non si dava pace, sentiva tutta l’ingiustizia di questa perdita incolmabile: “Pirchì era toccato proprio a lui di pirdiri la madre? Non si nni capacitava. La zia gli aviva ditto che ‘u Signuruzzu aveva addiciduto accussì, senza motivo, pirchì chista era la so volontà. E lui aviva stabilito di non prigarlo cchiù a chisto Signoruzzu. Che lo prigava a fari se doppo quello faciva come gli passava per la testa?” (Riccardino, p. 73).

Nel romanzo Il ladro di merendine, in un passo struggente, il commissario si confida col piccolo François e gli fa capire quanto gli sia mancata sua madre: “Gli confidò cose che mai aveva detto a nessuno, manco a Livia. Il pianto sconsolato di certe notti, con la testa sotto il cuscino perché suo padre non lo sentisse; la disperazione mattutina quando sapeva che non c’era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola. Ed è una mancanza che non viene mai più colmata, te la porti appresso fino in punto di morte…” (p. 155).

In Riccardino, il ricordo della mamma perduta riemerge struggente allorché Montalbano ricorda l’usanza siciliana di far trovare ai bambini, la mattina del 2 novembre, i regali portati nottetempo dai defunti; in quella circostanza, riemerge in lui un antico ricordo.

Molti anni prima, il piccolo Salvo aveva da poco perso la mamma ed era stato affidato dal padre a una coppia di zii senza figli, che vivevano in un altro paese. Il primo di novembre il padre di Salvo viene a trovarlo e lo sveglia, con grande gioia del bambino (“La filicità d’essiri arrisbigliato da ‘u papà!”); quindi gli comunica che l’indomani andranno al cimitero a far visita alla mamma e gli spiega che, nella notte fra l’uno e il due, i morti scendono dal cielo e portano regali ai bambini buoni, riempiendo un canestro di giocattoli e di dolci (“cosi duci”). Chiede allora al piccolo quale regalo spera di ricevere dalla mamma (“a portare i regali non potiva essiri che lei”). E Salvo risponde senza esitazioni: “Un triciclo”.

Il bambino aspetta dunque la notte, sperando di poter rivedere la sua mamma che gli deve portare nottetempo il regalo; teme però che la mamma, vedendolo sveglio, se ne torni in cielo, sicché prova a fare finta di dormire; ma è troppo piccolo e non resiste: “arrisistì tanticchia con l’occhi a pampineddra e di colpo, senza addunarisinni, calumò nel sonno” (Riccardino, p. 73).

L’indomani mattina, al suo risveglio, Salvo trova un grande canestro che contiene “un triciclo russo fiammanti, tutto circunnato da cosi duci”. E al cimitero va con il triciclo, pedalando per i vialetti e incontrando tanti altri bambini che giocano come lui con i regali “dei morti”. Ma mentre gli altri bambini si chiamano fra loro, ridono felici e trasformano un giorno triste in un giorno di festa, Salvo pedala e ripete fra sé e sé un muto ringraziamento alla sua mamma, mentre “gli viniva di chiangiri e di ridiri”.

Montalbano con il triciclo

Colpisce, in questo bellissimo episodio, la delicatezza nella descrizione della psicologia del bambino, che ha subìto una terribile disgrazia e si rivela sensibile e bisognoso d’affetto; al tempo stesso, emerge da qui la remota spiegazione di tante caratteristiche del futuro commissario: la solitudine connaturata nella sua esistenza, l’abitudine alla riflessione, l’estrema sensibilità, la determinazione ma anche la fragilità.

P.S.: per ulteriori notizie sull’argomento, rimando al mio volume “Camilleriade”, scritto con Vito Lo Scrudato e Bernardo Puleio, ed. Diogene Multimedia, Bologna 2023, pp. 127-135.

Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.Visualizza tutti gli articoli di Mario Pintacuda.


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