“La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Settima puntata (7/9)
Amore senza confini
Mentre Federica aspetta e resta immobile, in piedi, soffocata dai battiti violenti del suo cuore, Valentina si veste senza lasciare spazio alle emozioni per guidare con la maggiore lucidità possibile la fretta delle sue azioni. Finché non sale in macchina. Finché non arriva sotto il portone di Federica. In tutto meno di un quarto d’ora. Quando è sotto il portone il suo cuore si scatena, dopo aver citofonato e prima ancora di sentire lei all’apparecchio. Tanto che si sente mancare. Deve salire lentamente quei cinque gradini per giungere fino all’ascensore. Lento! Federica apre la porta dell’ascensore, la trascina fuori e l’abbraccia così stretta che lei dice in un soffio: «Devo respirare.» Allora l’amica la prende per mano, la tira dentro casa e chiude la porta. Valentina riprende fiato proprio come se avesse fatto le scale di corsa e mette le mani avanti: «Per favore, io ho tanta paura.»
Sono tutte e due in piedi all’ingresso, Federica indossa un baby-doll nocciola-chiaro che ammorbidisce il corpo, se ce ne fosse bisogno! E si confonde coi colori della pelle lievemente abbronzata. Ha chiuso gli occhi, controlla i suoi slanci ma vi riesce appena, perciò spuntano alcune lacrime e scivolano lentamente, ogni tanto fermandosi come se seguissero gli impulsi del suo corpo. Valentina si sta sedendo invece su quell’unica sedia dell’ingresso perché le gambe non la reggono e non solo per la fatica di quella salita, pure se in ascensore, ma perché ce l’ha tutta lì davanti quasi nuda, anche se il suo cuore adesso si sta calmando, la sta accettando, e l’ansia, il timore, la paura arretrano. Riprende forza. Federica immobile la segue stupita con lo sguardo. Perché si rende conto che sta andando in camera da letto e non nel salotto. La segue e si ferma sulla porta. Valentina si sta togliendo la camicetta. «Hai un’altra camicia da notte come quella che indossi?» Federica la guarda inebetita. I suoi riflessi sono lenti. Le succede di rado. «Sono venuta perché dobbiamo parlare, però dopo dobbiamo pure dormire o vuoi che me ne vada.» Federica si affretta ad aprire il cassetto del comò. Valentina guarda il cassetto ma non riesce a vedere nulla. Per questi ultimi pochi minuti il cervello ha ripreso la guida, però è troppo quello che chiede a se stessa. «Questa?» chiede Federica e prende coraggio mostrandole un baby-dollnero. «Questo colore ti sta bene.» Valentina si toglie il reggiseno e la indossa, si siede sul letto, via le scarpe e pure i jeans. Adesso hanno indosso le stesse cose. Il letto è disfatto dai precedenti tormenti di Federica. «Anche tu hai provato a dormire.» «No, mi sono messa a letto per rivivere tutto ciò che è accaduto. E il desiderio di sentirti e di vederti mi ha sopraffatto.» Valentina si infila nel letto e si copre col lenzuolo fino al collo. «Porta qualcosa di forte da bere, se vuoi sentirmi parlare.» Federica questa volta sorride. «Parlare parlare, ho detto parlare, cosa credi!» insiste Valentina.
Tu, lettore, sai che preferisco ascoltare il ritmo del cuore e il fluire dei pensieri. Me ne sto all’ingresso sulla stessa sedia che ha accolto Valentina esausta appena arrivata. L’udito rivela più cose, la vista accoglie troppo e distrae. Però bisogna saper ascoltare. Questa storia è la storia dell’ascolto. E io soltanto ascoltando so quello che accade.
Valentina guarda la stanza i mobili le suppellettili. Per prendere coscienza di dove si trova. Di colpo sente che quella stanza le è familiare. La luce del comodino dall’altra parte è accesa. Mi sposto e mi raggomitolo dietro la panca dell’ingresso perché Federica sta tornando con un vassoio, una bottiglia e due minuscoli bicchieri. «Primo Amore», annuncia Federica senza malizia, per pentirsi subito dopo, infatti l’amica laguarda con una strana, dura, espressione. Cosa le sta dicendo: la rimprovera? È una presa in giro, una battuta di pessimo gusto? Le toglie di mano la bottiglia e legge l’etichetta. «Non hai niente di più forte?» Federica scuote la testa: «Primo Amore è un vino liquoroso, un passito di queste parti, credo di Manduria. No, non ho altro.» Poggia il vassoio sul comodino dalla parte di Valentina. Versa il passito e si ferma a metà del bicchiere, ancora offesa. «Riempilo. Anzi riempili.» Impone Valentina. Federica conclude l’operazione, prende il suo bicchiere e gira attorno al letto. Naturalmente col bicchiere in mano e per poter bere alza il cuscino e sta per sedersi e invece Valentina: «Per favore entra nel letto tutta intera come sto io.» «E come faccio a bere?», «Così» Valentina si solleva, prende il bicchiere ingoia tutto d’un fiato.
Tutta la casa trattiene il respiro. Sembra che gli oggetti in ogni stanza, quelli sui mobili e quelli dentro i cassetti, senza distinzione di uso o di fattura, quelli che hanno senso e quelli che in apparenza non ne hanno, quelli strettamente personali di Federica come i suoi graziosi cappelli e quelli che potrebbero appartenere a chiunque ma che ormai sono di casa, sembra che tutti questi oggetti si siano svegliati dal loro letargo per un evento eccezionale, inatteso, e abbiano intenzione di seguire l’evolversi che si preannuncia denso di sensazioni e straordinari turbamenti. In questa capacità di svegliare persino gli oggetti, io riconosco l’uomo e me ne sto appagato all’ingresso con l’intelletto che accoglie i loro delicati messaggi.
Federica spegne la luce, entra nel letto e attratte da una forza irresistibile, incontrollabile, vanno incontro l’una verso l’altra e si abbracciano, una breve esitazione, un freno all’impeto, infine si baciano titubanti. Perché il bacio è la chiave che apre il corpo alle carezze, ai sospiri. Le bocche si schiudono e ciascuna vuole rubare all’altra il respiro. Non sanno quello che stanno facendo. Una volta che i loro corpi sono così stretti il tempo si annulla e si muovono e si toccano con una dolcezza estrema che stordisce. Non c’è nulla al di fuori delle loro stesse emozioni, insolite, conosciute-sconosciute perché ciascuna sa cosa fa piacere all’altra e però profumi e sapori, umori e carezze sono di un altro mondo, il mondo della delicatezza, della docilità, della resa.
14 – la festa di fine estate
Le automobili, le più lontane, parcheggiarono a duecento metri sulla via illuminata da fiaccole. Cento invitati senza contare gli infiltrati, amici degli amici. Caratteristica delle feste dei D’Urso-Cervi era l’eterogeneità sociale che era servita anche come criterio di selezione naturale. Ad alcuni ospiti dover mangiare o sedere a fianco di chi non ha alcun tipo di potere, politico economico culturale, non piaceva e in seguito avevano declinato con varie scuse l’invito. I quattro amici furono contenti che la loro spontanea autentica apertura senza riserve verso il sociale era servita come cartina al tornasole a rivelare e a liberarsi di una ben precisa categoria di persone. Il servizio di catering puntuale, autonomo, completo, efficiente, si dimostrò al momento in grado di soddisfare i più differenti palati. Tartine al caviale che richiamano il vino bianco e per contrasto quelle con la crema di ricotta forte e acciughe, che esigono da subito il vino rosso. Tra i primi: farfalle al salmone cui si opponevano le orecchiette con le cime di rape. Due cucine parallele insomma, con l’alternanza di delicatezze tipo cucina francese e di piatti della migliore e autentica tradizione salentina. Formaggi e vini selezionati da Diego. Dalla mozzarella di bufala al leccino stagionato. Sbarrato, come sempre, l’ingresso ai vini che non fossero della piana dei vigneti e delle migliori ditte salentine.
Claudia, la madre di Valentina, che voleva a tutti i costi darsi da fare, si assunse il compito di preparare il tavolo della frutta raccolta la mattina. Uva fichi fichidindia. Ma a mezzanotte poco prima del tango, scivolarono facendosi appena notare tra gli spettatori, che prendevano posto sui muretti della pista e sul prato intorno, coppe di gelato al cioccolato dai mille sapori. Passò del tempo prima che Irene e Annalisa se ne accorgessero. Anche perché di proposito avevano escluso dolci e gelati: sarebbe stato un affronto all’estate e a Villa D’Urso non considerare come adeguata conclusione per la cena la soavità dei fichi e il gelo di una delicata anguria. I responsabili del catering che avevano già distribuito i caffè caldi e freddi alzavano le mani per rispondere ai muti interrogativi di Irene, non erano loro i responsabili; si seppe in seguito che avevano contribuito solo con i calici. Federica e Valentina non avevano risposte. Di lì a poco, assaggiato il cioccolato all’arancia, a Valentina venne il sospetto e cercò la madre con lo sguardo. La madre corrispose col volto impenetrabile e Valentina capì. Non l’avesse detto a Federica! Gesti segni ammiccamenti il nome Claudia espresso con la mimica silenziosa delle labbra di chi comunica a distanza, richieste di conferme, rimbalzarono da Irene a Diego, a Giorgio, il compagno di Claudia. E quando non ci furono dubbi Irene si alzò e indicò l’artefice di tante squisitezze. L’applauso fu tale che Claudia arrossì.
Che dire dell’avvio alla festa! Quando amici e conoscenti arrivavano e venivano accolti da due splendide ragazze, di quelle che troncano il respiro già a incontrarle per strada figurarsi truccate e vestite d’estate quando ogni cosa si vede e si intravede, si immagina e si sogna. Federica indossava il vestito lilla che le aveva regalato Irene e due orecchini lunghi di ametista che giocavano a nascondino coi riccioli. Valentina un vestito di chiffon di seta viola con drappeggi ovunque, collana e orecchini discreti di corallo rosa.
Per ultimo fu il tango a fare da protagonista per più di due ore, merito della regia e del brillante eloquio dell’amico Tonio Russo, che come presidente dell’associazione di tango, era abituato e si divertiva a vestire il ruolo del presentatore in ogni evento che veniva organizzato. Si parlò del tango senza partire da lontano, dicendo l’essenziale e dimostrandolo con l’ascolto e le performance di coppie di ballerini. Lo spettacolo risultò intelligente. Ridimensionò miti, mostrò le differenze di stili di musiche e di balli, rivelò quanto il tango avesse travalicato i suoi confini assorbendo le esigenze di altre culture. Complimenti a non finire e richiesta, abilmente indotta da Tonio, di una dimostrazione di milonga. Fingendo ritrosie e titubanze dodici coppie di tangueri si disposero sulla pista e Tonio annunciò, spiegando ogni cosa, che avrebbero ballato due tanghi, due tanghi vals, due “milongue” e ogni volta le coppie si sarebbero riformate.
Alle note appassionate, romantiche o eccitanti dei vari tanghi, aggiungi la notte incredibile e l’intelligente ritrarsi a poco a poco dei tangueri per lasciare spazio agli altri, così la pista si riempì di gente che azzardava o che comunque voleva semplicemente ballare.
L’alba assorbì le luci dei fari e le automobili cominciarono a sgusciare silenziose.
L’ottava puntata sarà online il 19 novembre