IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Seconda puntata (2/9)

Dipinto di Egidio Marullo - violenza

Dipinto di Egidio Marullo - violenza

Federica conosce i D’Urso

Il tavolo da cucina è apparecchiato con cura.  Miele latte fette biscottate. Federica è seduta, sta facendo colazione. Prende il barattolo del miele e lo guarda in trasparenza dirigendolo verso la luce bianca del mattino. Immerge nel barattolo il grazioso cucchiaino del miele che sembra una trottolae si incanta a guardare i ghirigori che si formano sulla fetta biscottata.

Gli avvii di una storia d’amore. Ha letto un libro tempo fa sull’innamoramento: la tensione dei corpi, tenera e forte, intensa, coinvolgente, non pensi ad altro se non a stare con la persona che ti attrae. Non vedi altro che ciò che vuoi vedere. Questa è la vera fregatura. Pare che accada comunque così al nascere di una relazione. D’altra parte non nascerebbe, se uno vedesse subito pregi e difetti, con la stessa intensità. Il fatto è che vedi con forza solo ciò che trovi di bello, puoi pure accorgerti del resto che non va, ma te ne freghi. Dunque bisognerebbe stare sempre attenti, vigili, ma che cazzo di innamoramento sarebbe poi, conclude Federica. Qui gli occhi le si velano che appena si accorge di quel monte di miele che scivola da ogni parte della fetta biscottata, lo fa scolare nella tazza di latte e chiude il barattolo. Ormai i ricordi prorompono e si scioglie in lacrime. Tutte le storie e storielle di ragazza si svuotarono di significato al confronto con la dolcezza e la forza che provava per Enzo. Insomma è la seconda volta che Lecce le dà emozioni, vere, profonde, totali e poi gliele toglie. Cosa ha di fatato o di stregato questa città, che l’attrae già con la pietra stessa?

Federica piange e non si cura di asciugarsi gli occhi. Meglio sparecchiare. Vengono a prenderla tra poco.

Mette tutto in ordine, si muove da una parte all’altra della cucina: dal tavolo al lavello al frigorifero, la gatta tra i piedi per attrarre la sua attenzione. E ci riesce. Le riempie la ciotola di croccantini e si assicura che abbia pure l’acqua.

Sta finendo di prepararsi con una certa frenesia, è tardi, può squillare il citofono da un momento all’altro. Odia non essere puntuale. Infatti! Eccolo che gracchia e si precipita all’ingresso.

«Sì. Scendo.»

Attraversa il corridoio torna in cucina per un’ultima occhiata afferra l’inseparabile borsa di lavoro già pronta al volo la sacca con tutte le sue cose chiude la porta di casa scende le scale. Fa prima. L’ascensore non è al piano.

Federica appare sul portone, guarda rapidamente intorno cercando non ricorda più che automobile, poi la vede, è un Fuoristrada fermo proprio lì al marciapiede e si avvicina, si affaccia al finestrino aperto dove una donna dal profilo delicato sta guardando davanti a sé incuriosita da qualcosa.

«Signora D’Urso?»

Sì è lei. Si volta, bella e giovanile nell’aspetto.

«Lei è Federica? Salga.»

Federica gira davanti all’auto, entra e si siede.

«Mi chiamo Irene, ci diamo del tu?»

«Federica Corallo» dice automaticamente. «Sì certo.»

Poi guarda verso Irene e le sorride. Anche Irene, che avvia il motore. Partono.    

La nuca e il profilo di Irene, che guida in mezzo al traffico cittadino. Che strano, qualcosa di familiare. Non può restare a guardarla, se ne accorgerebbe. I volti sono i suoi soggetti preferiti. E quando un viso, un’espressione la attraggono, lo capisce subito dalla voglia che le viene di scattare foto, a centinaia.             

«Come mai non guidi?»

Federica non risponde subito. Tanto che Irene si volta un attimo verso di lei per capire. Federica sta cercando nella testa la risposta. Per formularla più completa e sincera.                                                                                                  

«Francamente non lo so più. Ormai è un vezzo forse… No, certamente non è un rifiuto, però ho cominciato così, tutti non vedevano l’ora di prendere la patente, ragazzi e ragazze voglio dire, e io volevo distinguermi,poi adesso… bè sì, la patente è comoda, ma ci sono tante seccature e problemi.»

Irene ha ascoltato guidando con grande perizia. È strano, pensa, per una ragazza non sentire il bisogno di essere del tutto autonoma.

«Ma tu non sei di Lecce. Hai un’inflessione che non riesco…»

«Sono leccese di adozione e libera scelta. L’inflessione che lei avverte, che tu avverti è umbra. Ho vissuto in Umbria fino a sette-otto anni, poi sono venuta qui e vi sono rimasta fino a tredici. Sono tornata in Umbria e mi sono trattenuta per studiare. Da quattro anni sono di nuovo qui a Lecce.»

«Ma quanti anni hai?»

«Ne ho ventotto.»

«Ne dimostri meno. Un’altra volta mi ripeterai tutti questi tuoi spostamenti. Quanto al fascino che esercita su di te il Salento l’abbiamo capito mio marito ed io dalle tue foto. Luci e ombre restano nella testa»

Prendono una provinciale.                                                        

«Sono appena dieci chilometri»dice senza voltarsi.

Invece Federica si gira verso di lei richiamata dalla frase. Subito si impone il suo profilo e immediatamente il passamontagna e la pistola alla tempia di una donna terrorizzata. Come! Doveva scomparire!                                                     

La voce di Irene le strappa via l’odiosa immagine.

«Quello è il ponte di un’autostrada in costruzione. Stanno costruendo un’autostrada che attraverserà la piana dei vigneti. Si chiama così dove stiamo andando.»

L’auto svolta in una strada di campagna. In breve alla destra di Federica appare un immenso vigneto e lei aziona il pulsante del finestrino per sentire il vento e il profumo dell’aria.                                                                                   

La vigna è altissima e frondosa, i pampini sono enormi.         

Federica con la testa fuori del finestrino come una bambina prende il vento in faccia perché l’auto ha ripreso a correre e la vigna scorre via vicinissima.

Irene spegne il condizionatore.

Diego allo specchio cura il suo vezzo di lasciare il collo della camicia aperto e il nodo della cravatta poco più su del petto. Camicia panna e cravatta che più bella colorata e originale non si può. Su pantaloni di lino color tabacco tenue. Dallo specchio e dal fruscio avverte Irene che si avvicina per valutare come lui si sta confezionando… Gli occhi di lei sono due fessure di chi si prepara a colpire. Lui lo sa, ciononostante:

«Come sto, come sto? È carina?»

«Una bella ragazza. Ti permetto di fantasticare.»

Le fessure degli occhi si restringono maggiormente, poi si aprono per un falso sorriso, lo accarezza con odio e afferrata la barba sotto il mento gliela tira.

«Ahi… lo sai che fa male proprio lì!»                      

«Lo so.»

Irene torna in salotto dove ha lasciato Federica, e Diego la segue con lo sguardo; quando la vede scomparire divora lo spazio con passi lunghi e fragorosi.                                                              

«Diego D’Urso.»

«Federica Corallo.»

Federica piacevolmente colpita confronta le due persone che ha di fronte: lui alto magro dal volto bianco e intenso, giovane vecchio che esprime energia, lei quanti anni ha? Non riesce… Sono degli snob?

E Diego? Proprio come l’aveva immaginata. Magra ben fatta alta come Irene sguardo intelligente, quei riccioli no, non li aveva ipotizzati.

Irene lo stesso. Adesso la osserva attentamente. Quando è salita in macchina, come succede, solo una sensazione genericamente piacevole, poi aveva guidato, l’aveva preceduta in casa. Mentre ora se la guarda, lasciando che loro due invece si studino. Tutti e tre in piedi con frasi senza senso, in realtà ritoccando le loro aspettative. Così anche Irene scopre l’allegria dei riccioli e in quel tempo smisuratamente breve rimane incantata dalla vivacità dello sguardo.

Si avviano lungo un corridoio che porta fuori in giardino.      

Il giardino interno di casa D’Urso, un agrumeto minuscolo, una decina di alberi; i più vicini alla zona lastricata sono tre limoni carichi di frutti. C’è un tavolo rotondo e comode sedie con cuscini colorati. Irene invita Federica a sedere.

Diego precisa: «È il posto migliore, così siamo di fronte e non sei costretta a girarti verso l’uno o verso l’altra.»

Federica fa cenno di sì col capo, ma è distratta, troppi stimoli. Un interno di casa stupendo pieno di volte, archi, e ora questa esplosione di giallo e quello? Un cancello, e dietro le sbarre due pastori tedeschi come se fossero incuriositi.             

Parlano di limoni, di arance, di mandarini. Irene soddisfa la curiosità di Federica illustrando le sue aiuole.

«Queste qui sono calle, quella dalle foglie verdi lanceolate è un’aspidistra, molto resistente; l’aiuola contro il muro è ricino, bellissimo e velenoso, e quei fiori viola un cespuglio di veronica.»

Finché Diego non annuncia ad alta voce: «Qui caffè e succhi di frutta. »

Irene prende una tazzina                                                                                                                               

Federica non prende subito il bicchiere, continua a guardare, a scoprire. Un gatto nero beve da un’enorme ciotola. Decide di troncare quell’imbarazzo che sta crescendo in lei, quei due sembrano invece a loro agio. Troppo evidente che se la stanno studiando.

«So che mi chiedete un servizio fotografico, però ho bisogno di sapere dell’altro.»

Diego beve l’ultimo sorso di caffè.                                                               

«Questa Piana dei Vigneti tra breve, un anno forse, sarà sconvolta anzi stracciata da un’autostrada. C’è un progetto di un’autostrada a quattro corsie. Per cosa, per chi, sono altri discorsi. Se capiterà ne  parleremo. Ora noi non siamo i proprietari di tutta la piana, ma fatta eccezione per qualche anziano contadino siamoquelli che la vivono in quanto ci vivono», calca sul “ci” a sottolineare che questa è la loro dimora abituale.

«A noi interessa…vorremmo che tu cogliessi le caratteristiche, meglio l’essenza di questa piana prima della sua frantumazione.»

Smette di colpo, segue una breve pausa di silenzio.

«È stata lei che ti ha scelto.» indicando la moglie.

Mattina, pomeriggio, notte, se credi. Sei nostra ospite. Puoi rimanere a pranzo, abbiamo una camera», esita, lo sguardo verso il marito. «Puoi usarla tu…», poi quasi a giustificare gli inviti, «Puoi renderti conto di cosa sia questa piana se ci vivi, se la conosci in tutte le ore del giorno e della notte.»

«Parla, dì qualcosa, se ti sta bene, per esempio.»

La invita Diego quasi spazientito.

Federica scruta attentamente Irene, poi si volta verso Diego appena sente che annuncia il compenso.

«Del compenso parleremo quando avrai finito o quando lo ritieni opportuno. Non è un problema. Puoi scattare quante foto vuoi.  Un album, ecco un album della Piana dei Vigneti! Puoi lavorarci in  autunno, inverno, primavera. Ogni stagione vedrai è una scoperta.»

Federica  si volge  ora verso l’uno ora verso l’altra.                                    

Irene continua a fissarla con una dolcezza forse troppo intensa. Continua, involontariamente, a metterla  in imbarazzo.                                               

Federica: «Non so, penso…sì vorrei dare prima un’occhiata in giro, scoprire intanto qui intorno, così ci penso pure. Ciò che mi dite è…è molto bello, mi dispiace per l’autostrada. Ho bisogno di tempo, poi mi verranno anche le domande.»

«Prenditi tutto il tempo che vuoi.»

«Posso girare liberamente adesso da sola?»

«Certamente.»

«Non aver paura di quei cagnacci là fuori. Il loro è un travestimento, sono sempre pronti solo a giocare.»

Tango in pineta

C’è qualcosa di inusuale questa sera nella pineta di casa D’Urso ma non sono le note di “La noche que te fuiste”, il tango che canta l’abbandono.
“La noche que te fuiste mas triste que ninguna palideciò la luna y se tornò màs gris la soledad… La noche que te fuiste nevò sobre mi hastio y un hàlito de frìo las cosas envolviò… La noche que te fuiste se fue mi corazòn”.
Queste note struggenti sono di casa nella pineta. Inusuale è l’evento. Straordinaria è la coppia che balla. Si è tentati di attraversare la pineta e spiare. La pineta è sicura, detratte le strepitose cacche di Fox e Liebe perché hanno provveduto giocoforza gi amici tutti pregati-costretti dalle mogli, che all’ultimo momento sono state letteralmente agganciate dall’angoscia per l’eventualità che il vento della sera potesse trasportare fino alle narici dei loro ospiti di riguardo effluvi assai poco discreti.


Così mentre si attraversano i pini senza il terrore tra i piedi verso il canto e le luci, lasciando che il ritmo guidi i passi silenziosi per via del soffice tappeto di aghi, la malìa di questa sera si accentua. Perché si scopre che Villa D’Urso qui nel Salento aperto alla natura ha portato un granello di Buenos Aires. Autentico. Un granello: perché nella pista si muove una sola coppia, una coppia di ballerini d’eccezione, argentini e tangueri doc. Lui maestro, che ha formato generazioni di maestri, e che si avvia a diventare una leggenda e lo sa. Per questo ancora lavora a settanta anni, perché gli restano pochi mesi da vivere e coi soldi può prolungare i suoi giorni. Un pomeriggio di lavoro intenso con un filo di voce e la forza che gli ritorna nelle membra alla musica prediletta, un pomeriggio di lavoro per svegliarsi una mattina di più. Questa sera c’è qualcosa di intenso, dolce-tragico a Villa D’Urso.


Diego e Irene e gli amici di sempre, tra le cui passioni c’è il tango, si sono iscritti a uno stage speciale, perché il maestro è Gavito, maestro di maestri, inventore di uno stile, forse lo stile più adatto ai tanghi che esprimono i sentimenti più intensi. Nella coppia lei, Malena, è l’allieva prediletta, partner nell’insegnamento, giovane e brava, che pur non essendo particolarmente bella, lo diventa perché lui la fa sentire bella e chi la guarda mentre balla così la vede. Se questo accade, il tango non morirà mai, perché anche se ripropone l’antico rapporto uomo-donna, lui guida e lei seguidora, la donna accetta, perché in cambio, per questo suo totale abbandono, l’uomo si impegna a renderla simile alla musica.
Rivolto alle donne il primo giorno Gavito ha detto: osservate i ballerini in sala e rifiutate di ballare con gli esibizionisti, quelli che ballano per mostrarsi invece di mostrarvi e ballare per voi. Rifiutate quelli che vi spezzano la schiena in pose azzardate invece di trasportarvi con passione muy delicada.
A Villa D’Urso questa sera c’è un incantesimo in più, evocativo di un qualcosa che si spera rimanga intatto, anche se nascosto per riemergere solo nell’intimità.
Spenta la musica, sciolti dall’abbraccio rimangono al centro della pista, ma via via che Gavito parla, Malena si ritrae e invitata da Irene si siede anche lei sul muretto bianco che delimita la pista, dove tutti sono sedotti dal fascino del momento. Sulla testa del famoso ballerino e maestro pendono gli steli allungati del glicine che si intrecciano per coprire la rete di protezione dall’umido della notte. Formano uno sfondo, una cornice in alto allungata che rende ancora più magro il corpo di quest’uomo, che dopo tanta energia contenuta e rivelata si esprime con un filo di voce.
Irene e le amiche più strette hanno preparato la cena al meglio delle loro possibilità. Antipasto di mare, mitili, gamberetti sgusciati, anellini e minuscoli tentacoli di calamari lessati e conditi con olio limone rotelline di coste di sedano, carotine julienne e prezzemolo tritato.Per primo spaghetti alle vongole in bianco con un pizzico di peperoncino e prezzemolo tritato crudo.I secondi: polpo alla pignata con carote patate e cipolla e prezzemolo tritato crudo; pesce spada arrosto alla brace, di questa portata sono responsabili Diego il fuochista e Massimo che ha il culto degli arrosti al barbecue. I contorni: pomodorini pugliesi e rucola agreste, presi al mercato ortofrutticolo di Lecce personalmente da Massimo il giorno prima, di mattina, e riposti nel frigo dell’ambulatorio.
Dei vini e dei formaggi è responsabile esclusivamente Diego. Gli è mancato poco per ottenere la patente di sommelier ed è sostenitore dei produttori salentini. Ha scelto uno Chardonnay Blanc di Manduria. Quanto ai formaggi per modestia dice di conoscere il novanta per cento dei formaggi italiani, ed è in grado, annusandoli con tutta la pellicola protettrice, di sentire se e quando sono veramente ottimi. Insomma il suo naso di fronte al formaggio dilata i recettori periferici che diventerebbero capaci di assorbire odori cellofanati. È un fatto: sulla qualità del formaggio dedotta per annusamento della plastica che lo riveste sbaglia al massimo tre volte su dieci. Sicché a cena, dopo il pesce, una squisita caciotta leccese per passare poi al più forte Pecorino Salentino.
Il sorbetto al limone, ultimo passaggio. Questo è il guaio del pesce: pretende più trait d’union con il seguito. Il sorbetto per introdurre a una semplice insalata di mele pere kiwi, e frutta di stagione di Villa D’Urso: pesche e albicocche. Al termine il capolavoro di una crostata di marmellata di amarene. Gavito ha assaggiato tutto in quantità modeste; dopo la crostata ha chiesto una seconda porzione.
Nel giardino degli aranci si parla dapprima della serata splendida e del Salento, che però Gavito vede soltanto di sera, di giorno riposa, deve recuperare le forze prima delle lezioni del pomeriggio. Malena riferisce invece che ogni mattina la portano in giro e lei riprende con la telecamera tutto ciò che può e che questa mattina sono partiti presto, sono arrivati fino a S.Maria di Leuca e poi ha visitato le grotte di…(qualcuno l’aiuta)
… «Della Zinzulusa».
Naturalmente dopo breve tempo si è finito per parlare di tango ed è stata Irene a raccontare la loro storia di ballerini. Il liscio, i sudamericani, la scoperta del tango argentino. Credono di conoscere tutti i loro difetti a forza di stage e di maestri, hanno imparato e dimenticato un gran numero di passi e hanno deciso di dire stop alle lezioni. Il maestro è una persona squisita, ascolta, interviene poco, infine dice con naturalezza che preferisce parlare di tango quando fa lezione.
«Mi permetta. Vorrei soltanto commentare una frase che lei deve aver detto o scritto», chiede Diego.
«Voi dovete parlare di tango» si scusa Gavito sottolineando il “dovete”, «così posso conoscervi. Sono io che preferisco parlare del tango quando faccio lezione» e invita Diego con ampi gesti.
«Permettete» si fa strada Diego rivolto a tutti e la sua voce cerca di evitare di essere assertiva. «Mi preme riferire una frase molto bella. Mi corregga se sbaglio, maestro. Lei ha detto che il tango è tutto ciò che accade tra un passo e l’altro, vero?»
Gavito annuisce ma non lo guarda. È il momento della crostata.
«Lei mette in secondo piano il valore dei passi del ballo, e in primo piano l’importanza dell’emozione e quindi l’ascolto della musica, la realizzazione di un contatto veramente sentito sia pure limitato nel tempo e nell’evento stesso del ballo.»
A questo punto il maestro alza lo sguardo verso Diego, che ha notato il suo interesse per la crostata, e ora si convince di essere riuscito ad attirarne l’attenzione. Tutti e due hanno smesso di mangiare. Anche gli altri, e si chiedono dove vuole andare a parare Diego.
«Questa sua frase mi ha fatto pensare e l’ho generalizzata, l’ho parafrasata applicandola alla vita. Come accade nel tango anche la vita è tutto ciò che accade tra un evento e l’altro: emozioni, pensieri, attese di contatti, di avvenimenti, superamenti di questi contatti, la stessa percezione del tempo che trascorre di cui siamo consapevoli proprio quando non siamo dentro l’evento, ma fuori, prima o dopo. Come per il tango anche per la vita è la pausa quella che conta. Nel momento della pausa noi sentiamo pienamente la vita.»
Segue una strana pausa, non si comprende se di attesa o d’altro. Qualcuno pensa: è Diego, è fatto così; ma Gavito prende la seconda porzione di crostata contribuendo così a frantumare il silenzio, si ritorna a discutere sulla cena con lieve disappunto del padrone di casa. Quindi la serata riprende senza intoppi.

La terza puntata sarà online il prossimo 25 ottobre.


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