“La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Quarta puntata (4/9)
Federica e Irene
Sono nella pineta e si tengono d’occhio. Irene ha come scusa la curiosità per quello che fa Federica e Federica, che non ne ha di scuse, non lascia vedere di essere interessata a Irene, ma lo è: a come si muove, come è vestita, shorts e t-shirt fucsia, cappello di paglia, stivaletti di gomma leggeri. Quella maglietta in tono con il resto ma anche gli shorts e gli stivali mettono in risalto un corpo elegante e giovanile. Ha una cintura attrezzata con ganci e anelli e appesi tutti gli strumenti che possono servirle. Ora anche lei è curiosa, vuole capire che strumenti sono, ma deve trovare qualcosa da inquadrare.
Irene lavora tra le aiuole attorno alla casa e alla pista da ballo, quella è la sua zona. Federica l’ha capito. Lei invece si muove continuamente nella pineta, si avvicina e si allontana sposta il cavalletto sceglie l’inquadratura, scatta, ma non è convinta, sta solo esercitando sestessa fotografa nel nuovo ambiente; vorrebbe esplorare Irene a partire dagli oggetti fino a cogliere posture del corpo e della testa.
Irene sta innaffiando. Federica sposta il cavalletto e riflette. Decide di essere più libera: prende la fotocamera e abbandona il cavalletto. Inquadra un cespuglio, un buffo ramo di pino che sembra un punto interrogativo, il tappeto spesso di aghi. Si avvicina e scatta foto una dietro l’altra. Finge di accorgersi che Irene la sta osservando e finalmente la inquadra.
Forbici da pota, strana zappetta con una specie di forchetta a due denti dalla parte opposta. Due funzioni nello stesso oggetto. Una specie di cono di legno con un manico, questo sì lo ricorda, serve per fare il buco in terra dove mettere lo stelo con le radici della giovane pianta. Stivaletto colto al volo mentre si poggia delicatamente tra due piante. La figura intera, il mezzo busto. Il volto col cappello. Ormai è a dieci metri. Irene le va incontro.
«Perché hai scelto questo lavoro? Di fare la fotografa.»
Federica ci pensa un po’.
«Per fare della realtà quello che voglio.»
Osserva intorno rapidamente come se cercasse qualcosa. Irene è divertita, le sta piacendo sentirla parlare, le sta piacendo scoprirla. Con quel buffo berretto con la visiera sull’orecchio come i monelli della TV e i riccioli neri che scappano di sotto.
«Guarda la pineta laggiù, cosa vedi?»
«Alberi, la pineta, una parte…»
«Com’è, buia o c’è luce?»
«È un angolo piuttosto scuro.»
Federica le porge la fotocamera, Irene la prende e inquadra.
«Com’è? Come prima?»
«Sì certo, come prima. Mi sembra di vedere un po’ meglio.»
«Puoi renderlo luminoso quell’angolo. Puoi mettere la luce dove c’è l’ombra, oppure sul contorno degli alberi come se dall’ombra esplodesse la luce.»
«Quando la sviluppi vuoi dire?»
«Questa è una fotocamera e la foto è digitale, si lavora al computer. Tu fai una foto che è un brano di realtà, un pizzico, poi al computer è…è meraviglioso, perché quel pizzico di realtà diventa un suggerimento, ti fa esplodere un’idea e veramente ti inventi tutta un’altra cosa.»
C’è un’atmosfera di grande serenità. Tutte le volte per un motivo o per un altro è rimasta a pranzo. Quello che la colpisce è che non si sente più in imbarazzo nemmeno lei. Al contrario del primo giorno: lei molto a disagio, loro due invece disinvolti.
La bottiglia d’acqua passa da una mano all’altra, il forchettone a pinza per l’insalata da Federica a Diego, la padella con le cipolle all’agrodolce da Irene a Federica e da Federica a Diego. Tutto in silenzio, solo il rumore degli oggetti presi o poggiati sulla tavola, il metallo delle posate, il vetro dei bicchieri. Posso distendere le membra? S’interroga Federica. Perché è questo che le viene in mente: la sensazione di trovarsi nella condizione ideale per distendere gambe braccia pancia stomaco spalle tutto. Lasciare che le membra vadano dove vogliono. Come può accadere una cosa del genere? Sono tre volte che resta a pranzo, e il pomeriggio se ne va in giro mentre loro riposano. Conosce la casa e tutto ciò che la circonda; il punto però è questo stare insieme a loro, soprattutto se sta con tutti e due come adesso è come se… non è possibile, in così poco tempo, come se stesse a casa. A casa e basta. Un sortilegio. Sicuramente. Che sia lui il mago? Basta che pieghi la testa e quelle folte sopracciglia si impongono tipiche dei maghi, come se li immagina lei. Alto magro e il volto…pensa a Gandalf, il mago di Tolkien. Prima di sedersi a tavola, mentre lei e Irene portavano coppe e piatti, lui stappava una bottiglia di Alberello, un rosso del Salento e sembrava tenere a precisare che era il prodotto di un vigneto piantato quasi sulla roccia. Invece la spiava. Lei che se ne era accorta è stata costretta a voltarsi verso di lui. Tu sei una ragazza allegra, e subito un gesto della mano a buttar via un’eventuale interpretazione banale cui lei non aveva nemmeno pensato. Sapeva che stava per dire altro, ma cosa? È stato a lungo senza parlare, e lei a lungo, paziente, senza chiedere: ha trovato pane per i suoi denti! Ti dico io perché sei una ragazza allegra e non mi importa se il tuo cuore non lo è, dovrebbe imitare il tuo viso. Deve diventare come la tua testa che è allegra e fa venire voglia di giocare. Tanti anelli la incorniciano e viene voglia di metterci il dito, un anello un dito un anello un dito senza fine. Guardati allo specchio e divertiti, perché sei divertente. Butta via i cattivi pensieri. Via!
Federica alza gli occhi, sono tutti e due rapiti, almeno così sembra, dalle cipolle all’agrodolce. Federica conclude: no, non erano i soliti giochi di parole e di frasi, cui si sta abituando, ha voluto dire un’altra cosa: che lui ha capito tutto, che conosce cosa la tormenta.
Federica entra precipitosamente, disgustata e insieme divertita. Esamina i jeans, in parte sono bagnati, ma c’è dell’altro stampato e gocciolante sul fianco.
Irene la sorprende e sorride.
«Fox eh! Ha scosso la testa.»
Federica sempre più disgustata:
«La bava…e poi Liebe è uscita dallo stagno…io appena in tempo a scappare mi avrebbe fatto una doccia.»
Irene esamina i jeans, ha voglia di ridere.
«Non sei la prima. Ti avevamo avvisata. Vieni. Toglili, li laviamo subito. Ho qualcosa che dovrebbe andar bene.»
La prende per mano ed entrano in una stanza la cui porta, sempre chiusa, era stata già notata da Federica. Sembra la stanza di una ragazza: un tavolo con dei libri, letto comodino armadio. Irene apre le ante dell’armadio e si siede sul letto ed è come se per un attimo non possa fare a meno di contemplare tutto ciò che contiene.
Federica, anche lei, incuriosita, si sposta per guardare: è zeppo di vestiti, ordinati, invernali, estivi, vestiti per una giovane. Poi scruta il volto di Irene.
Irene si gira verso di lei, come se andasse oltre la presenza di Federica, infine sembra tornare nella stanza, lì dove sono, portandosi appresso un mesto sorriso che rivolge alla giovane ospite.
«Vediamo.»
Sceglie un vestito, chiude l’armadio e glielo porge.
Federica lo prende, lo guarda, poi lo appoggia sul letto. Riesce solo a mormorare:
«Bellissimo!»
In realtà la sua mente si affolla di interrogativi e di risposte, di cose che comprende e svegliano emozioni, di voglia di sapere e di pudore o timore di venire a conoscenza di eventi che è meglio non sapere.
«Spogliati, dai! Non vorrai rimanere con questo schifo. Indossalo.»
Esce e chiude la porta. Si riaffaccia subito dopo.
«Se ti piace lo puoi tenere. Lo specchio è nell’armadio.»
Federica si affretta a togliere i jeans e la camicetta che scruta attentamente e lascia cadere a terra. Esamina il vestito. Sembra proprio della sua taglia. Un vestito estivo, semplice, il colore è il suo preferito: lilla. Cosa ha di bello? Semplice. In seta lilla, stampata a piccoli fiori rosa, tagliata a sbieco con bretelline sottili. Da serata estiva in ambiente elegante.
Lo indossa, apre l’armadio, trova subito lo specchio, si osserva come quando si sta in una boutique. Tenerlo, il vestito della figlia di Irene!? Si siederà nello studio e si metterà a leggere, attenta a non sgualcirlo. Appena i jeans saranno asciutti se lo toglierà.
L’armadio è aperto, spalancato. Tutta una serie di vestiti. Sta per toccarli, poi rinuncia e chiude le ante. Una figlia! Ricorda che appena entrata ha notato tra i vari oggetti due foto. Infatti, le prende: due quadretti con la stessa ragazza, vent’anni. Un’altra foto è sul camino del salotto, anche di quella si era accorta, il primo giorno, ma non ha mai chiesto nulla.
Federica le osserva con estrema attenzione e ha la sensazione di rubare. Qualcosa la attrae. Non può fare a meno. Una bella ragazza, somiglia a Irene, ma ha lo sguardo di Diego. Dove sta? Non ne hanno mai parlato. Oddio!
Una domenica a cavallo
Due squilli del telefono mettono da parte il silenzio delle nove di mattina in casa di Valentina. La madre fa appena in tempo a interrompere il terzo precipitandosi dalla cucina al soggiorno. La figlia ha bisogno di dormire.
«Sì… Ciao Angelo, come mai a quest’ora?»
Angelo non ha la voce di chi si è appena svegliato, tutt’altro.
«Mio cugino partecipa a una gara di equitazione e volevo invitare Valentina.»
Il cervello di Claudia si mette in moto. Si prospetta una giornata diversa, può uscire, distrarsi. Decide di svegliarla.
«Sì, credo sia sveglia, te la chiamo.»
Valentina in verità è stata svegliata da quei trilli e se sono per lei non ha intenzione di parlare. Vorrebbe riaddormentarsi. Invece si sente toccare delicatamente la spalla e poi scorge il cordless davanti agli occhi e la mamma che dice: «Angelo.»
Prende il cordless con grande sacrificio.
«Gli squilli mi hanno svegliato sei contento?»
«Sì sono contento. Ti sta bene una domenica di sole, tanta gente e tanti cavalli?»
«Piano, piano… ripeti, con calma.»
«Abbiamo una domenica tra ippodromo maneggio e tanti cavalli.»
«Dovrei vedere un’amica… più tardi.»
«Porta pure questa amica. Semplice no! Tra un’ora dovete essere…»
«Sììì! tra un’ora, sei matto! Allora non se ne fa niente.»
«Telefona all’amica poi ne discutiamo.»
Valentina chiude il cordless. Non sarebbe male.
Claudia, spiona dietro la porta, si affaccia nella stanza.
«Non ci vai?»
«Non so… sto così bene qui, dovrei alzarmi.»
Con quei sandali da casa silenziosi si avvicina, siede sul letto e sorprende Valentina.
Alcuni attimi di silenzio durante i quali Claudia sembra attratta dalla debole luce dell’avvolgibile, mentre Valentina rientra sotto il lenzuolo, come se non facesse già caldo.
«Quando tuo padre seppe che ero incinta, scomparve. Avevo appena diciotto anni, maquesto lo sai. Forse adesso sai anche come posso essermi sentita.»
Dal lenzuolo escono le dita di Valentina che lo abbassano per scoprire gli occhi.
«Erano altri tempi e non era facile parlare con i genitori, nel mio stato poi… avevo tutte le ragioni per odiare il mondo e gli uomini. Ed è stato così per molto tempo.»
Valentina ha tirato fuori tutta la testa.
«Ho trovato lavoro, tu sei cresciuta, cominciavo a vivere bene perché c’eri tu. Ho ripreso a star bene con gli altri… Finché a quarant’anni mi sono innamorata.»
Claudia sottolinea l’età con un gesto del capo.
«Con Giorgio sto bene, anche se non viviamo insieme. A te Giorgio piace.»
Valentina finalmente la guarda. Claudia è rivolta ancora verso la finestra, avverte l’interesse della figlia e si gira verso di lei.
La mano di Valentina s’azzuffa con il lenzuolo scomposto vuole uscire finalmente esce si protende verso la madre, anche Claudia tende la mano ad incontrare quella della figlia. Che si tira su, riprende il cordless in mano, forma il numero di Federica e quando l’amica risponde lei l’assale: «Ti potrebbe interessare una domenica tra cavalli e cavalieri?»
Federica non ci pensa un attimo, lei è già sveglia.
«Sì, credo di sì.»
«Diciamo tra poco più di un’ora.»
«Sarò pronta.»
Valentina esce dall’automobile seguita da Angelo. Federica è più lenta: si è incantata a guardare due cavalli liberi in un prato.
Tante automobili al parcheggio! E le ragazze si avviano.
«Ci sarà un casino di gente.»
Valentina, Federica e Angelo sono in mezzo a cavalli cavalieri e gente che guarda appoggiata agli steccati; al di là degli steccati ci sono cavalli che girano in tondo con dei bambini sopra.
«Si stanno riscaldando per la gara dei più giovani.»
«Cesare!»
Queste due voci distolgono Valentina e Federica dall’emozione di quei cavalli che passano a pochi metri. Vengono fatte le presentazioni: Cesare è il cugino di Angelo, è il veterinario di turno alla gara. Porta un cavallo per le redini e c’è una bambina sopra. Dunque un cavallo ancora più vicino e Federica non può fare a meno di toccargli il muso; il cavallo risponde abbassando la testa e avanzando di mezzo metro.
«Gli stai simpatica», rassicura Cesare. «Si chiama Rom, mentre lei è Luisina, la mia Luisina.»
«Ciao Luisina», dicono le due ragazze insieme proprio mentre Angelo tende le braccia per afferrarla. La bambina si lascia andare tra le braccia del cugino.
«Venite, ho qualche minuto libero, vi mostro ogni cosa a partire dalle stalle. Poi ve ne andate in giro dove volete. Se avete intenzione di mangiare sbrigatevi a prenotare.»
I tre giovani seguono attentamente i preparativi della gara di salto. Federica inquadra tutto e tutti, preferisce i particolari ai campi totali, certamente come documento e memoria della giornata fa anche delle foto panoramiche. Sono i dettagli però a svegliare fantasia curiosità emozione e hanno un senso. Dal costume dei fantini alle staffe. Dalle redini alle braccia di chi le regge, dalla coda alle zampe possenti, al collo, alla testa dei cavalli. Ha scoperto un cavallo baio che ha una espressione attenta e consapevole, sicuro di sé, scalpita ma la testa è ferma.
Inizia la gara. Gli spettatori rispettano il silenzio che attrae nuovi spettatori i quali man mano che si avvicinano parlano sempre più piano. Dopo alcune foto anche Federica si appoggia allo steccato.
La giornata è lunga.
Le gare in ogni dove dell’immensa tenuta continuano fino a sera ma alle cinque c’è meno gente e Federica prega Angelo.
«Cerchiamo tuo cugino, chiedigli se mi fa provare.»
Cesare è gentile.
«Non sei mai salita in sella? Ti faccio montare una cavalla paziente. Pochi minuti però, non posso di più.»
Così la ragazza sorride radiosa mentre Cesare tiene le briglie e le fa fare un giro; in breve si abitua e
si piega a dire parole dolci nell’orecchio della cavalla.
Il cameriere li fa sedere vicino a un tavolo di giovani che scherzano e ridono rumorosamente. La posizione di Federica è tale che non può fare a meno di vedere una delle due ragazze del tavolo vicino.
Il cameriere in piedi è pronto a prendere l’ordinazione.
Angelo rivolto alle amiche per avere conferme: «Allora cecamariti?»
E loro insieme: «Sì.»
Poi Valentina:«No, tu non puoi. Le verdure e i legumi ti fanno male». Ad Angelo: «Ha la colite.»
«Non resta che un’insalata. Ricca, per favore.»
Angelo al cameriere: «Due cecamariti e una insalata, ricca, ricca come?»
Mentre Federica precisa con entusiasmo al cameriere come vorrebbe che fosse l’insalata, Valentina dà un’occhiata in giro. Non c’è molta gente in questa trattoria tipica leccese, è proprio una bettola, di quelle frequentate la sera tardi da studenti e professori universitari e da gente che ha voglia di mangiare leccese.
Il cameriere sta per allontanarsi ma dal tavolo vicino una delle ragazze lo chiama: «Senta scusi…Faccio in tempo a cambiare? Anche a me i pezzetti di cavallo.»
Federica è terrorizzata più che disgustata, Valentina se ne accorge; ora le sta pure chiedendo aiuto. Il dialogo muto tra le ragazze non sfugge ad Angelo che però non lo comprende. Restano per un attimo immobili tutti e tre, ma le espressioni sono diverse: Federica sconvolta, Valentina preoccupata, Angelo perplesso.
Il silenzio è nella loro testa perché dalla sala emergono i soliti rumori di posate e bicchieri, di frasi alte e voci sommesse, di sedie spostate, di passi di gente che ride, di ragazzi che si chiamano ad alta voce. Angelo comprende ora il disagio di Valentina e l’angoscia di Federica per un cavallo a pezzetti, vuole soccorrerle, dovreste saperlo è un piatto tipico leccese. Ma sono tutti discorsi banali, inutile farli.
Arriva il cameriere, li serve e cominciano a mangiare, ma Federica ha perso voglia e appetito. Pochi minuti, e il cameriere ritorna questa volta per fermarsi con le braccia piene di piatti al tavolo dei quattro ragazzi. La ragazza di fronte a Federica è eccitata ed è proprio quella che ha cambiato l’ordinazione. Il cameriere le porge un piatto ricolmo di carne al sugo. Federica inorridita:quella ragazza con la forchetta rimescola tutto lo spezzatino a impregnarlo ben bene e soddisfatta porta in bocca un pezzo di carne. Angelo vuole distrarre Federica e fa dei gesti per richiamare la sua attenzione ma non ci riesce, la ragazza ha conati di vomito, si alza precipitosamente e corre dove ha individuato il bagno.
La porta dell’appartamento di Federica si apre, lei rientra a casa disfatta. La giornata era stata così bella, nuova, serena. Doveva finire così. E ancora non sa cosa l’aspetta.
Gli eventi hanno preso una brutta piega. Io non posso soccorrerla, mi metto in un angolo buio della casa da dove mi è facile scorgerla come se potesse servire a qualcosa il tenerla d’occhio. Accende la TV. Il telegiornale della notte: notizie dai fronti di guerra. Cambia canale: altro telegiornale, la voce della giornalista e sul video un’immagine che non capisce. Cosa sta accadendo? Poi comprende le frasi: è il resoconto in diretta di una esecuzione, la moglie della vittima sta per segare, proprio segare, la testa a chi ha ucciso suo marito. Il condannato è immobile incatenato per terra. Allibita riesce a distogliere con forza lo sguardo e finalmente spegne il televisore.
So che l’orrore sta per sopraffarla. Mi dispiace, non posso fare nulla. L’orrore dentro di lei si prepara per un attacco a fondo, si organizza per sconvolgerla.
Va in cucina, apre il frigo e prende una mela. La mangia a morsi, mentre il suo sguardo si perde nel vuoto della sera fuori dalla finestra. Si staglia nel cielo blu la sagoma del campanile del vescovado. Le luci della città non le fanno scorgere le stelle, le cerca ma non le trova, eppure il cielo deve essere terso, la giornata era pulita. Almeno così sembrava, ora non lo è più. Si è sporcata.
A letto vuole dormire e mette la testa sotto il cuscino.
Non farlo, vorrei suggerirle, è peggio. Meglio gli occhi sbarrati a guardare nel lucore che entra dall’avvolgibile non del tutto abbassato i particolari della tua stanza: il legno dell’armadio i comodini, la sagoma dell’abatjour spenta, la poltrona, i jeans sulla spalliera. No, non accendere la radio, che non entri il mondo di fuori. Prendi il meglio del tuo mondo, che si è ampliato di presenze pulite: Diego, Irene, Valentina. Cerca gli antidoti. Non chiudere gli occhi: la testa è piena di orrori. Lei invece cambia continuamente posture, si raggomitola, si allunga, si pone supina.
L’orrore ha la meglio. Nella sua testa convergono immagini di città bombardate, di guerriglie urbane, il corpo a corpo di uomini colmi d’odio, la recente immagine dell’uomo incatenato e quella ricorrente del passamontagna e della donna disperata. Cerca nella memoria qualcosa di buono e sbaglia. L’orrore la guida, determinato. Sono gli occhi dolci della cavalla di Cesare. No, via via pezzetti di cavallo! Non ha scampo: il mondo entra dentro di lei dall’aria della sera, dalla luce della città, carico di scene di strazi di dolori di tragedie di bambini che cercano madri sepolte nelle macerie di persone trucidate torturate seviziate.
Federica piange come una bambina dimenticata, nel terrore. Il suo pianto è sommesso, il lamento di chi non sa difendersi, di chi non sa più se si può chiedere aiuto, forse per questo lei diventa forte, sia pure lentamente, con pause che le stanno dando l’impeto di piangere e singhiozzare, perché ciò che le resta sono i singhiozzi, che vanno colmando la stanza ed escono fuori nel resto della casa e se ne vanno per la città. Sono sempre più grandi, più grandi di lei. Ma nessuno, tranne me, li sente.
Sono accosciato ai piedi del suo letto.
La quinta puntata sarà online il prossimo 4 novembre.