IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Prima puntata (1/9)

Dipinto di Egidio Marullo - vora 2 uomini

Dipinto di Egidio Marullo - vora 2 uomini

Gli uomini delle vigne

Non è necessario, lettore, che ti dica chi sono.

È sufficiente che tu sappia per ora che sono il testimone di questa storia, che osservandone lo svolgersi ne preveda gli sviluppi e li indirizzi a ben precisi esiti.

Quelli come me hanno potenziato col tempo due capacità: prevedere gli avvenimenti immediatamente prima che si realizzino; intuire le reazioni intime delle persone a tutto ciò che gli accade. E ciò significa essere in grado di aggiustare il corso di una storia.

Gli eventi narrati possono avverarsi in qualunque altra parte del mondo, la natura di questi eventi è la stessa, le storie tuttavia restano insolite. In ogni parte del mondo esistono gli elementi e i fattori che possono produrli: un territorio con caratteristiche particolari; i protagonisti, le cui esigenze, per fortuna, sono presenti anche in altri uomini; le vicende che i protagonisti riescono a mettere insieme. Ma in ogni parte del mondo risulta un ordito che rende ogni storia singolare.

Ovunque sulla terra esistono due vite parallele: una vita sotterranea e una in superficie; ed è qui, in superficie, che accadono drammi che dilagano sugli stessi uomini che li creano; mentre altri uomini, come me, muovendosi per vie sotterranee, in varia misura e in differenti modi, si affannano per arginarli ed eliminare il malessere.

Questa è una storia che capovolge il senso delle cose per cercare nuovi significati e nuove speranze. 

Perciò occorre un testimone, meglio, una guida. 

Il territorio.

Qualcosa muove i pampini qui vicino. Può essere anche il vento. Il vento si alza all’improvviso nel Salento. Di questo il forestiero è avvisato. Lungo le strade alcuni cartelli annunciano: “Salento, due mari il sole ed il vento”. È una bella frase. Ma non dice tutto. Non dice della terra né della pietra.

Il vento all’improvviso si alza. Come un lenzuolo trasparente sollevato da mani gigantesche che hanno deciso. Un’ora qualsiasi del giorno o della notte. Così pure all’improvviso cala. Il lenzuolo torna a distendersi sotto la vite l’olivo il fico il ficodindia. 

La Tramontana quando viene dura tre giorni, ma i venti padroni sono lo Scirocco che viene dal mare e ti bagna e ti asciuga continuamente, e il Libeccio che viene pure dal mare ma dalle parti della Calabria e della Sicilia e ha ceduto gran parte dell’umido che si portava.

Ma questo lieve vibrare dei pampini, fruscii, rumori indistinti nel vigneto più folto ed antico non sono prodotti dal vento. Oggi il vento riposa. Sembrano piuttosto lamenti, un dolersi per qualcosa che è avvenuto o che sta per accadere. O l’uno e l’altro. Almeno questa è la sensazione.      

Nello slogan manca la terra, anzi la pietra. E invece il forestiero deve essere avvisato. Incauto, potrebbe scivolare in una vora

Salento, due mari la pietra, il sole ed il vento.

Non si tratta soltanto della pietra calda e tenera che si mette nelle mani di scultori e architetti; si tratta proprio del territorio e della sua storia, storia di invasioni marine, di acque meteoriche che sciolgono le rocce carbonatiche, di acque superficiali e profonde – dicono che lo Ionio e l’Adriatico si tocchino nelle profondità della terra -; storia di sedimenti, rocce e vuoti improvvisi! Grotte canaloni doline, vore in mezzo alla campagna. Vore celate dalle piante che vi sono cresciute dentro. Il lentisco oleoso, il fico e l’edera, e più in profondità il capelvenere, la felce delle zone ombrose umide e calcaree. Un albero di fico coi suoi frutti di zucchero attira in una insidia.

Sono molte le vore e le grotte nella piana dei vigneti a dieci chilometri a nordovest di Lecce: vora di Campi, vora di Salice, vora di Veglie. La grotta di Monteroni. La vora di Nùvoli “nfoca monaci” perché affogò e ingoiò con tutto il carro alcuni monaci che si recavano al vicino convento.

Vore abitate dal popolo della terra, esseri dalle lunghe dita sottili e sensibili, capaci di avvertire la dolcezza del grappolo d’uva che hanno cercato. In un territorio come questo esiste un popolo sotterraneo di esseri antichi, la cui origine è spontanea, come nell’acqua di uno stagno. Questi esseri accolgono l’amore, fuggito via dagli uomini inorridito; danno riparo  alla capacità di ascoltare perché qui in superficie non ci sono più orecchie aperte e disponibili; conservano la forza delle braccia che  vogliono cullare e si rifiutano di  uccidere.

Mormorii incomprensibili emergono rochi, come di chi non parla da tempo perché possiede altri linguaggi. I suoni si sciolgono e scivolano limpidi, quasi rivoli tra le fessure della roccia. Uno strano idioma, sicuramente antico. C’è del greco, del latino. Miscuglio di dialetti. Una pronuncia stretta, ma la frase resta morbida.

Sono gli abitanti delle vore che risalgono in superficie attratti dalle ore calde di questa controra di giugno che parla di torride estati. Le ore in cui la campagna si ferma sotto il sole e nessuno, tra gli esseri umani, osa infastidirla.

Ma questa volta sono saliti dalla vora, allarmati. Rumori di ruspe provengono dalla zona di Taranto

A poco a poco si comprende il senso di ciò che sussurrano. È un lamento, eppure le frasi affiorano e ciò che dicono è chiaro: foriero di brutte notizie.

I D’Urso

Diego è allo specchio del bagno. Si pettina accuratamente i lunghi capelli bianchi. Per Irene sono troppo lunghi: deve andare a Roma da Lino. Sta proprio sotto il palazzo del loro appartamento, e se Diego va a Roma ci va perché l’editore reclama o uno di loro o entrambi. Ma quando ha bisogno di Lino, Diego per non tradirlo e non correre rischi  si inventa lui una sua esigenza editoriale e Irene naturalmente lo segue. Lei ne approfitta per fare acquisti: a Roma si compra bene quando occorre rinnovare il guardaroba o si ha il capriccio di aggiornarlo.

È passato a esaminare le narici e cerca di isolare i peli del naso da quelli dei baffi. Cerca le forbici, le trova e taglia i peli del naso.

Da questo momento deve assolutamente evitare ogni rumore perché lei deve essere svegliata dal profumo del caffè. Se lo ripete ogni mattina e si può dire che gli riesce quasi sempre.

In cucina attende il caffè e intanto prepara le tazze e un bicchiere d’acqua. Evita di pensare ad altro se non a quello che vede. Dalla finestra una leggera foschia: sarà una giornata calda. Che il mattino preannunci il sole o la pioggia, il caldo o il freddo, in campagna si rinnova il miracolo dell’emozione alla scoperta che c’è un sole che torna. Un’estate di qualche anno fa lei comprese a fondo il significato del risveglio mattutino in campagna. Lui glielo ripeteva da sempre: se ti svegli la mattina in campagna hai la misura di tutte le cose, specie se affondi lo sguardo nel vigneto che hai di fronte o se sali in terrazza, al di sopra di un mare di verde e ti confronti con l’altezza dei pioppi o dei pini e senti il profumo dei vicini eucalipti. Così una mattina si convinse e decisero.  In breve tempo vendettero la casa di Roma, ne comprarono una minuscola che li ospitasse nelle brevi permanenze nella capitale, e completarono per l’inverno questa residenza estiva, coi doppi vetri alle finestre, con l’aggiunta di qualche elemento ai termosifoni dei due studi. Cominciarono a dilatare a dismisura la loro permanenza nel Salento e dopo qualche anno, convinti, ultimati i lavori, Roma divenne uzzolo quando non era necessità di lavoro. Sempre comunque per pochi giorni.

La caffettiera richiama la sua attenzione, e qualche secondo dopo percorre il corridoio, entra nella stanza da letto, si siede sul letto e sposta la zanzariera. Perlomeno ci prova. Irene si sveglia al profumo della tazzina. E si mette anche lei borbottando a tentare varchi nella zanzariera. Il problema ha origine nel fatto che l’enorme zanzariera a tenda sopra il letto ha un solo ingresso, una sola apertura, che Diego vuole dalla parte di lei, dice che lei è più abile, lui nel cuore della notte avrebbe difficoltà a cavarsela. Come la mattina per porgerle la tazzina col caffè.

Diego le guida la mano perché possa prendere il bicchiere d’acqua.

«Cosa vuoi prima, il caffè o il bacio?»

«Il caffè.» 

«Amami un poco, che ti costa!»

«E dammi il bacio!» conclude lei accondiscendente.

Irene a parole concede ma spalanca le braccia e lui la bacia. Poi di nuovo lo attacca con un rimprovero, un dispetto. «Con questa mania del bacio! Sai che mi piace bollente. Non lo è più. Non basta che perdi tempo con la zanzariera!»

Più o meno ogni mattina. A volte si spingono oltre, dipende da quanto si raffredda il caffè, cioè da quanto tempo impiega Diego a sollevare la zanzariera.

«In altri tempi preferivi il bacio.»

«E tu mi svegliavi in altro modo. E se stavi fuori dal letto la zanzariera non era un problema.»

«Andiamo sul pesante.»

Scaramucce che erano finte. Non esisteva nulla al mondo che potesse turbare il loro stare insieme. Si permettevano improvvisi litigi con gesti e parole più o meno da trivio. E se la cosa era più seria, per modo di dire, al massimo con il muso che durava pochi minuti. Finché uno dei due: È successo qualcosa? Come se dovessimo fare pace non ti pare? No, non mi pare. Ma facciamo ugualmente pace. Per abbracciarsi un poco.

Le sette di una mattina gialloazzurra.

Il caldo esplode ormai a giugno e in agosto cominciano le piogge. Le stagioni vanno anticipando. Peggio, dicono i contadini, non esistono più. Lo sa Irene che cura da anni il giardino, anzi che cura tutto ciò che profuma e colora villa D’Urso.

Lui esce per primo seguendo la via dell’aranceto vestito da cane perché sa quello che gli accadrà e che vuole che accada. Due pastori tedeschi fuori misura, forse per adattarsi alla sua statura, fanno a gara a sbatacchiarlo di qua e di là perché la sua corporatura non è adeguata all’altezza. Uno dei due che ha un difetto al labbro, simil molosso, usa i pantaloni come tovagliolo o scuote la testa e Diego cerca ma non sempre gli riesce, di schivare il getto. Esce prima perché Irene li sgriderebbe, tutti e tre, lui perché non riesce ad imporsi, e quei due… Dovete smetterla, fuori, andate fuori! Così riporta l’ordine! E Diego che non vuole l’ordine, insegue i cani a modo suo nella pineta. Quelli corrono gli attraversano la strada rischia di cadere.

Fox cambia gioco, lo sfida con la palla in bocca. Diego si avvicina deciso a prenderla e Fox ringhia.  Liebe, la femmina, si allea con Diego, il quale è così convinto che è un gioco che ogni volta è tentato di accostare la mano ai denti di Fox per togliergliela. Ma senza guanti non è prudente, potrebbe comunque fargli male, e gli mette sul muso il piede con lo stivale. Fox lascia la palla e addenta la scarpa e subito mugola di piacere, poi torna a ringhiare con l’espressione cattiva del killer.

«Per favore mi togli quei tronchi di mezzo? Me l’hai promesso.»   

Diego sposta alcuni tronchi e li porta verso una catasta da bruciare. I cani non possono fare a meno di lui, e Diego non può fare a meno di loro: li spia sempre per vedere se lo seguono. Lo seguono lo seguono. Ha sempre sostenuto che se dovesse rinascere e gli fosse permesso di scegliere, sceglierebbe di essere cane, darebbe spazio alla sua canità. Dice che il meglio degli uomini sta in ciò che essi hanno in comune con i cani. Tra tutti gli esseri viventi, terrestri perlomeno, il cane è l’animale che sa tutto sull’amore e lo mette in pratica.

Irene sta innaffiando i fiori e con essi si confonde perché piante e cespugli sono come lei, delicati e intensi. La mattina dalle sette alle dieci li cura. Innaffiare è rilassante, ma c’è il lavoro duro delle erbacce da estirpare e poi potare, concimare. Si è incantata a seguire quei tre che si fanno i dispetti e rimane ogni volta, come se fosse la prima, stupita per la scoperta, intenerita perché c’è da commuoversi, interessata perché ci sarebbe da studiare: come fanno quei tre a capirsi così perfettamente, modificare i loro giochi, cambiare ruoli. A confronto con Diego e i cani – anzi Fox e Liebe, se no lui si arrabbia se usa il generico “cani” al posto dei nomi propri -, il suo pollice verde è poca cosa. Entra, come un ragazzo, nell’enorme cuccia  insieme a loro. L’ha fatta costruire grande e comoda a misura delle sue gambe più che a misura dei cani.                                                                              

Non è la prima volta che vengo in questa casa. Ci è stato facile individuare quest’uomo e questa donna e quando abbiamo deciso, io e gli altri come me, è stata risoluzione unanime.

Vengo a trovarli da molto tempo, a loro insaputa naturalmente. So quando e dove si addensano le ombre per potermi celare ai loro sguardi; conosco le loro abitudini, i loro movimenti, leggo intenzioni pensieri sentimenti. L’ambiente dove si rifugia l’uomo a macchiare di nero pagine bianche ha un disimpegno, come un anfratto, cui si accede con tre gradini e subito a destra dietro la parete una scala quasi a chiocciola con parapetto in muratura. Al termine una porta e fuori la terrazza. Io sono seduto sui gradini della scala e ascolto i suoi pensieri.

In questa casa la giornata riprende il pomeriggio, dopo un breve riposo sui divani. Lui ha messo in ordine la cucina, lei invece subito nella sua stanza a lavorare. Dopo poco lui è venuto qui. Fanno cose simili e per certi aspetti ciò che fanno è conforme a ciò che facciamo noi. Ogni tanto si scambiano frasi: le stanze sono contigue.

La pagina dell’uomo oggi resta bianca. Non ha voglia di lavorare né sa dire perché. Non sono le idee le grandi assenti. È che sono sopraffatte da una strana inquietudine. L’improvvisa pressione di brutti ricordi?

Grappoli di datteri col loro giallo intenso accendono i vetri della finestra, chiusa perché non entri il caldo. E questo giallo se l’uomo chiude gli occhi invade la retina, la travalica e si espande nella testa. Un mare di giallo che gli procura benessere e i tragici eventi della sua vita si dissolvono e al loro posto è come se si creasse lo spazio per accogliere eventi straordinari imminenti. Affiora una speranza inspiegabile, di dare un nuovo senso alla vita. Si chiede perché. Che cosa mai può accadere! La sua realtà ora è adorabilmente densa d’ogni cosa. Forse è semplicemente una difesa per contrastare ciò che di inconsolabile è accaduto in passato a lui e alla sua donna. Ha ragione ad essere inquieto. Li osservo e intervengo per quel tanto che mi è consentito. Devo guidare i loro passi. Quest’uomo e questa donna sono pronti ad accogliere la ragazza che la notte scorsa ha provato le stesse inquietudini dell’uomo, le stesse speranze. Anche la speranza inquieta, quando ciò in cui si spera è indistinto, confuso, denso di nebbie.

LA SECONDA PUNTATA SARA’ ON LINE IL 20 DI OTTOBRE

Libro di Maurizio Mazzotta
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