La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Ottava puntata (8/9)
Federica e il popolo delle vigne
Zainetto in spalla borsa appesa a destra la lunga fodera del cavalletto a sinistra un binocolo e la fotocamera digitale al collo. Nella borsa la macchina digitale professionale, un obiettivo macro, un teleobiettivo e un obiettivo con focale media, cavetti, schede memoria, piccoli pannelli argentati. Così sovraccarica procede lungo un sentiero, un lieve pendio, e scopre dopo un muretto a secco un oliveto in discesa, la luce forte ne imbianca le cime. Una foto. La prima della mattina. Lei però vede il vigneto folto ad alberello alla sua sinistra e si libera dei pesi, cerca una porzione più solida del muretto vi sale ecco il binocolo svela dopo la vigna ad alberello, una distesa di vite a tendone. La sua meta. Perché nel vigneto a tendone i grappoli pendono da una cupola di verde dove a fatica si fa strada il sole.
Accoccolata sotto un vigneto a tendone si riposa esplorando la penombra. Fa caldo, è sudata, si libera del berretto a visiera profonda che usa sotto il sole e degli occhiali scuri. Ha intenzione di fare una sosta di pochi minuti, poi alleggerita dai pesi perlustrare la zona vicina alla ricerca di immagini che le accendano la fantasia. In alto grossi grappoli bianchi – incanto! – si infiammano in rosa e la trasparenza rivela i semi. Sarà la prima foto. Così pure le venature delle foglie più tenere: è da qui che filtra la luce, altrove il verde è così forte che si ha la sensazione di una cupola protettiva. Si disseta con un succo di frutta e subito apre la borsa che custodisce la più professionale delle fotocamere. È tempo di mettersi al lavoro. Prepara il cavalletto, poi dopo aver sistemato la borsa e lo zaino sotto il tronco di vite dove si era seduta cerca un punto di riferimento per individuare il posto quando sarà distante. Esplorerà un raggio di cinquanta metri.
Sono seduto a gambe incrociate, la spalla appoggiata a un robusto tronco in ombra, protetto da un tralcio pendulo. Federica a trenta metri non può vedermi. Anche perché riposa e ha chiuso gli occhi. Si è stancata, decine e decine di foto, di particolari, lei ha cercato i particolari che parlano, così li chiama, e sono passate le tre. La sua testa abbandonata poggia sul tronco, e io la imito. Per correre meglio dietro ai suoi sogni. Curioso: sta sognando di trovarsi qui. Sogna di trovarsi sotto una vite a tendone, lei seduta appoggiata a un tronco, come in effetti è. A qualche metro di distanza, appoggiato ad un tronco, un uomo. Sono proprio io e mi sta vedendo. I piedi scalzi, una camicia colorata, stracciata. Non può vedere il mio viso, ho la testa china, né le mani né i polsi, le braccia affossate nel terreno. Più in là uno molto giovane, anche lui seduto, le camicie sono diverse, questo ha pure i pantaloni strappati. Guarda in alto, e sta alzando un braccio, vuole prendere l’uva. Più vicino o più lontano? Sembrava più lontano, ora è più vicino. Il volto è quello di un ragazzo, fresco, sorridente, per la voglia dell’uva, forse.
Federica si volta lentamente, come richiamata da un’altra presenza, e infatti molto più lontano in piedi un altro uomo le sorride, le sta offrendo grappoli immensi, le mani aperte a coppavolto segnato di rughe che si distendono perché sorride, e insiste, è proprio a un passo, vuole che prenda quell’uva. Federica tende la mano. Sono tutti miei compagni, la stiamo spiando e lei ci vede nel sogno che si snebbia nella realtà.
Federica, il passo più stanco, coi pesi addosso come la mattina, procede lungo un sentiero. Sa e non sa, non ne è certa, vorrebbe conferme sul dove si trova esattamente. Ha preso la direzione verso Villa D’Urso. Quanto disterà? Qualche chilometro sicuramente. Un uomo è seduto su un muretto lungo il sentiero. Lo vede di profilo. Finalmente qualcuno a cui chiedere. L’uomo sente i passi strascicati di qualcuno che arriva e quando si volta e lei lo vede, Federica ha un flash nella testa, come se l’avesse visto di recente. Un volto familiare «Mi scusi, questo sentiero porta alla villa dei D’Urso?» L’uomo sorride, non risponde, ha in mano un fascio di foglie di vite, lo offre a Federica. Federica pensa che non è normale, però non può essere scortese, e il fascio di rami di vite è veramente bello, pieno di anellini in cima. Prende il fascio di foglie e ringrazia. Poi chissà perché, forse una bella faccia di contadino dal volto rugoso senza età: «Permette che le faccia qualche foto?» L’uomo dice sì con la testa e lei scatta tre foto cambiando posizione. «Questo sentiero porta alla villa D’Urso?» Ripete la domanda e l’uomo fa un cenno come per dire: prosegui, è la strada giusta.
La foto che voleva Diego
Un tardo pomeriggio di metà settembre Diego, Irene, Federica e Valentina sono nel giardino degli aranci. La temperatura è leggermente calata in questi ultimi giorni e a quest’ora si comincia a star bene. Il gatto sulle ginocchia di Irene, Liebe dietro la sedia di Diego, Fox al solito irrequieto si alza, passa da uno all’altra, annusa il gatto che si contrae e Irene lo scaccia. Si allontana per bere e torna subito, si butta sul dorso e vi rimane qualche secondo in sconcia posizione con le zampe piegate. Invito alle coccole. Valentina è tentata.
«Valentina non lo fare, non te ne liberi più e ti salta addosso, », interviene Federica.
Irene a un tratto svela quello che le passa per la testa, come se qualcuno glielo avesse chiesto: «Sto pensando alla mostra.»
Diego esplode, evidentemente meditava le stesse cose: «Il più bel palazzo della città per la piana dei vigneti vista da Federica.»
Federica si ribella: «Non le avete viste, ci sto lavorando. Devo illustrare l’autunno e l’inverno. Vi porterò quanto prima quello che ho fatto in questi mesi, e se non vi piacciono? Altro che mostra!»
Diego, incurante: «La piana dei vigneti, mostra fotografica di Federica Corallo. No, banale. Federica nella piana dei vigneti.»
Nessuno ha voglia di discutere e durante la pausa che segue, le ragazze preparano delle bibite. Tornano, servono e il silenzio riprende fino a che l’assiolo nella pineta, ossessivo, non inizia col suo sonar a sottolineare il tempo, che per fortuna scorre via lentamente.
«Oddio è così! Ne sono certa. Li ho sognati, erano uguali a quell’uomo della foto. Però li ho sognati prima di vedere quel contadino sul muretto», esordisce a un tratto Federica sottolineando con forza quel “prima”. Gli altri si guardano, non capiscono, solo un contrarsi delle sopracciglia di Diego. Valentina piega la testa per osservare l’amica che è rimasta assorta.
«Puoi dirci qualcosa di più?»
Federica chiude gli occhi e alza le mani quasi volesse dire datemi tempo, devo mettere ordine.
«Adesso all’improvviso mi sono ricordata che l’ultima volta nel vigneto ho fatto un sogno, un sogno strano, perché sognavo di stare proprio lì dove mi trovavo. Sono apparse delle persone. Erano in qualche modo tutte uguali, non so forse nell’atteggiamento, maschi e femmine, giovani e vecchi. I loro vestiti, trasandati, qualcosa di diverso, forse i colori, i colori di ciò che indossavano. Mi sono svegliata, e il sogno è svanito subito. Ovviamente.»
Dopo essersi fermata a meditare, riprende. «Il ricordo del sogno viene spontaneo man mano che aumenta il desiderio di raccontarvelo. Scoprivo attorno a me queste persone, non sembravano contadini, stavano fermi, alcuni in piedi, altri accovacciati sui talloni, altri seduti appoggiati al tronco di vite. Quanti saranno stati? Non lo so. Mi offrivano uva, a grappoli, a chicchi nel palmo delle mani. Avevo, come succede nei sogni, la netta sensazione di gustare quei chicchi, neri, bianchi. Ricordo un particolare: nel sogno non c’erano le mie borse che avevo messo accanto a me, ma non me ne preoccupavo. Quando mi sono svegliata mi sono accertata subito che fossero al loro posto. Avevo la sensazione di aver fatto un bel sogno, dolcissimo.»
Le bibite si stanno scaldando. Tutti seguono con grande attenzione, immobili, col bicchiere in mano.
«Ho ripreso a lavorare. Quando ho deciso di smettere ho cercato di orientarmi per venire qui. Mi ero stancata e voi mi aspettavate. Ho trovato un sentiero ma non ero tanto sicura, ho camminato molto. L’incertezza aumentava. Non sapevo più se la direzione era giusta ed è stato a questo punto che ho visto seduto su un muretto un… credo un contadino, anche se mi è sembrato strano, ho pensato che forse era muto. L’ho visto, sicuro, sulla via del ritorno, l’ho visto e gli ho chiesto la strada per villa D’Urso…l’uomo della foto. Meno male che l’ho fotografato. Non mi credereste.»
«Quale uomo della foto!», sollecitano Valentina e Irene.
«Non riesco a spiegarmi, avete ragione. Quell’uomo, quello reale sul muretto, di cui vedrete una fotografia, era come quelli del sogno. Come uno in particolare ne sono sicura. Mi ha offerto un fascio di rami di vite con gli anellini in cima. Ma il sogno è stato prima. E’ chiaro adesso?»
Diego: «Sì, adesso è chiaro.»
«Puoi ripetere per favore l’ultima parte», chiede Irene.
E Valntina: «Tu avresti visto una persona dopo averla sognata?»
«Sì. L’ho capito all’improvviso poco fa e nello stesso tempo ho ricordato il sogno. Rientravo, questo è certo, avevo smarrito l’orientamento. Rimandavo a chiamarvi anche perché non avrei saputo dirvi dove mi trovavo esattamente. Ho visto su un muretto un contadino seduto. Le spalle curve, i piedi non toccavano per terra. Forse il muretto era alto. Aveva una camicia verde larga con foglie di vite stampate. Gli ho chiesto il sentiero per villa D’Urso. Gli ho chiesto se potevo fotografarlo. Perché era strano, mi piaceva, un volto intenso.»
Diego beve un sorso di orzata alla menta, disgustosa, poggia il bicchiere per terra. Fox si alza ad annusarlo.
«Mi ha offerto un ramo di vite, foglie e in cima i riccioli, come si offre un mazzo di fiori. L’ho ringraziato e… a questo punto gli ho ripetuto se quello era il sentiero per villa D’Urso. E lui mi ha fatto segno di sì. Non ha parlato. Ho pensato fosse muto. Vedrete la foto.»
Il racconto del sogno e del contadino sul muretto Federica lo ha ripreso la domenica successiva. Hanno pranzato tutti e quattro insieme, hanno ascoltato di nuovo Quindi finito di sparecchiare, hanno sparso sul tavolo centinaia di foto alla ricerca del contadino. A lungo si soffermano più che interessati, colpiti dalla bellezza delle immagini. Federica studia le reazioni di Diego e di Irene.
Finalmente Irene: «Sono bellissime!»
«Studieremo i criteri per una prima classificazione.» Al solito Diego preso da impulsi organizzativi.
«Eccolo!», esclama Federica, «Questo, questo è il contadino sul muretto.»
La foto del vagabondo li attira tutti.
«Non è una faccia nuova. Credo di averlo…», fa Irene senza concludere.
Federica: «Anche tu l’hai visto?»
«Mi sembra. Un pomeriggio ero con Fox e Liebe. Una lunga passeggiata. Avevo preso un sentiero, non una carraia, ero proprio in mezzo a un vigneto.»
Torna il silenzio e la foto del contadino prende a circolare di mano in mano e viene trattenuta.
Gli occhi di Diego e quelli di Federica si cercano e quando si incontrano il tempo e lo spazio svaniscono. Come quando si fissa un punto e gli occhi vanno oltre a ciò che ci circonda, solo che questa volta – accade di rado – sono in due, e gli occhi di uno sono negli occhi dell’altra e il resto assume il senso di una cornice che li contiene. Un incantesimo! Che porta con sé riassunti tanti significati. C’è chi dona, ha donato semplicemente una foto. E chi ringrazia per questo dono. C’è molto di più: un invito, una preghiera, quasi un ordine. Continua, Federica, ad essere e a vivere così.
La nona ed ultima puntata sarà online il 24 novembre.