“LA LETTERATURA È UNA FORMA DI CONOSCENZA PIÙ RICCA E ARTICOLATA DI QUELLA LOGICO-CONCETTUALE.” – Relazione di Giovanni Teresi
XXI Seminario Internazionale Interdisciplinare CISAT di Psicologia, Psicoterapia e Letteratura – Napoli – 29 giugno 2024
Le tragedie greche, la “Divina Commedia”, “ I Malavoglia” rappresentano opere che ci permettono di conoscere idee, movimenti, successi ed insuccessi di società del passato.
La letteratura ci fa conoscere situazioni e realtà le più differenti utilizzando strumenti e registri linguistici diversi, ci fa riflettere sulla bontà e la cattiveria umana, sul senso e non senso della vita, sull’amore e sull’odio, sulla speranza.
La letteratura incarna contrasti tra idee e lotte tra uomini, ci informa anche facendoci ridere o commuovere.
Ed è un dato di fatto che ignorare i grandi poeti e i grandi scrittori, vivere a distanza delle opere d’arte, significa in qualche modo, condurre una vita spiritualmente più povera.
E questo per la ragione che, nel “tempo dell’indigenza”, per pensare come Martin Heidegger, sono proprio i poeti a svelare le verità, sono non di rado gli artisti a offrirci occhi per vedere meglio, per vedere più in profondità.
Il filosofo Giorgio Pasquali afferma che “ anche l’arte è forma di conoscenza, e può progredire e può approfondire; chi si rifiuta di intendere l’arte moderna, mutila l’anima propria”.
E Carlo Bo: “ Sappiamo che la letteratura è una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi”.
E ancora Pablo Picasso: “L’arte e la menzogna che ci permettono di comprendere la verità”.
Per Nelson Goodman, invece, “Il mondo ha tanti modi di essere quanti sono i modi in cui può essere fedelmente descritto, visto, dipinto, ecc, non esiste qualcosa che si possa dire come il modo di essere del mondo. I mondi che abbiamo li ereditiamo dagli scienziati, dai biografi o dagli storici quanto dai narratori, dai drammaturghi o dai pittori”.
E puntando l’attenzione proprio sull’esempio di don Chisciotte, Goodman afferma:
“don Chisciotte, preso letteralmente, non si applica a nessuno, ma preso in modo figurato, si applica a molti di noi …”
Un’etica della letteratura fondata sul suo carattere di conoscenza permette di chiarire quello che, a prima vista, potrebbe sembrare un problema abbastanza serio, che sorge quando un’opera letteraria presenta e descrive esplicitamente il male (la violenza, la crudeltà, la sopraffazione, il disprezzo), ossia il contrario di ciò che è etico. Uno degli esempi storicamente più significativi in questo senso è dato dai “Fiori del Male” di Baudelaire.
Secondo Nussbaum, la letteratura è una forma di conoscenza tipicamente affettiva, empatica e identificativa. Il lettore di un romanzo o di un racconto, infatti, entra di volta in volta nei panni dei diversi personaggi, condivide le loro esperienze e impara a conoscere dall’interno i loro sentimenti e le loro idee. Questa abitudine ad immedesimarsi negli altri, caratteristica del ruolo del lettore, non può che aumentare la sua tolleranza e la sua comprensione nella vita quotidiana.
Anche gli scrittori e i poeti, come è prevedibile, hanno riflettuto sul fatto che la letteratura, in quanto forma di conoscenza affettivamente connotata, permette una comprensione del mondo più ricca e articolata di quella puramente logico-concettuale. Fra i tanti si può ricordare Leopardi, che in un passo dello Zibaldone afferma:
«Non basta intendere una proposizion vera, bisogna sentirne la verità. C’è un senso della verità, come delle passioni, de’ sentimenti, bellezze, ecc.: del vero, come del bello. Chi la intende, ma non la sente, intende ciò che significa quella verità, ma non intende che sia verità, perché non ne prova il senso, cioè la persuasione».[1]
La Conoscenza
L’idea di un’etica della letteratura fondata sul suo carattere di conoscenza è stata esplorata da Martha Nussbaum nel volume Poetic Justice del 1995, che è subito divenuto un punto di riferimento nel dibattito sul tema.[2] Il romanzo aiuta ad eliminare quegli stereotipi che spesso condizionano l’opinione diffusa, in cui di frequente una singola persona, con la sua storia e la sua specificità, viene ricondotta a una categoria generale (ad es. gli immigrati, i politici, gli americani), la categoria viene ricondotta a uno stereotipo negativo (la trasgressione alle leggi, il parassitismo burocratico, l’imperialismo materialista), e il singolo è infine oggettivato nella dicotomia noi/altri, ovvero amico/nemico.
Al contrario la letteratura, per la ricchezza e la specificità delle conoscenze umane che trasmette, si oppone di fatto a queste semplificazioni descrittive, che in genere preludono all’esclusione, all’emarginazione e alla violenza.
Più in generale, la consapevolezza che la letteratura sia una forma di conoscenza partecipativa e affettivamente connotata percorre, con evidenze primarie, anche la filosofia continentale degli ultimi due secoli. Già Kant, nella Critica del Giudizio, afferma che «il bello ci prepara ad amare qualche cosa, anche la natura, senza interesse»;[3] e nell’atto di differenziare, in termini propriamente etici, il bello dal sublime, rileva che l’esperienza del bello suscita in chi lo contempla (o lo legge) «un sentimento d’amore e intima inclinazione».[4] In termini analoghi si pronuncia anche Hegel nell’Estetica:
«Ma agli occhi della concezione e configurazione poetica ogni parte, ogni momento deve essere per sé interessante, per sé vivente, ed essa indugia quindi con gioia nel singolo, lo dipinge con amore e lo tratta come una totalità per sé».[5]
Il carattere affettivo e partecipativo della conoscenza letteraria è chiaramente presente anche nella celebre distinzione di Dilthey tra il Verstehen delle scienze umane e l’Erklären delle scienze naturali. Il primo è infatti una forma di conoscenza (o comprensione) immedesimativa, in cui il soggetto è personalmente coinvolto in ciò che conosce, mentre il secondo, tipico del metodo scientifico, implica piuttosto una presa di distanza dall’oggetto osservato.
Proseguendo lungo questa linea concettuale, in Verità e metodo Gadamer ha poi teorizzato la conoscenza artistica come fusione di orizzonti, come processo circolare in cui ciò che viene conosciuto non è “altro” da chi lo conosce, ma è semplicemente il secondo polo di un rapporto a carattere dialogico.
Fra i tanti si può ricordare Leopardi, come già detto, che in un passo dello Zibaldone sembra quasi anticipare la polarizzazione diltheyana tra Verstehen ed Erklären.
Uno degli esempi storicamente più significativi sull’etica della letteratura è dato dai Fiori del Male di Baudelaire, ovvero un’opera che sin dal titolo propone come tema centrale la bellezza del male: non solo in chiave di estetizzazione (presentare il male in una forma bella, elegante, poeticamente impeccabile), ma anche e soprattutto nel senso che il male è “bello”, cioè piacevole a compiersi. Questa è una verità imbarazzante ma difficilmente contestabile, visto il continuo riproporsi del male stesso; la sua conoscenza è tuttavia essenziale per ogni riflessione etica matura e consapevole. Appunto nel segno di questa consapevolezza, anche al di là dei Fiori del Male, la letteratura si propone come luogo principe per la conoscenza del male, in quanto contesto espressivo in cui si conosce il male in profondità, in modo diretto e immedesimativo, senza tuttavia praticarlo o senza subirlo fattualmente, come accade nel mondo reale.
Come è ovvio, la letteratura che parla del male (che lo descrive, lo articola e lo conosce) è problematica, e richiede al lettore una lettura di secondo grado, non ingenua o immediatamente adesiva: ma, in realtà, ciò che è davvero problematico è il male, non la letteratura che lo conosce e lo interpreta.
Riassuntivamente, quindi, anche le opere che descrivono il male, che lo propongono nel suo dispiegarsi e lo presentano come bello e piacevole a compiersi, sono utili e talvolta irrinunciabili dal punto di vista etico. Ma se ciò è vero, questa consapevolezza mette in crisi la concezione tradizionale dell’etica letteraria, quel contenutismo edificante per cui può avere un valore morale solo l’opera che propone messaggi positivi (o che, se contiene modelli negativi, li presenta esplicitamente come tali, ricorrendo a giudizi diretti o assegnando loro un destino rovinoso).
Infine, Si può plausibilmente pensare che i nuclei concettuali centrali di un’etica della letteratura, capaci, nella loro interazione, di promuovere una riduzione della violenza individuale e sociale, siano tre: la conoscenza, la pietas e l’orientamento. La letteratura è infatti, innanzitutto, una forma di conoscenza e interpretazione del reale affettivamente connotata, in cui la partecipazione, l’identificazione, la simpatia o l’empatia con i diversi personaggi e vicende determinano, nel lettore, una pluralizzazione interiore e una rinnovata apertura all’altro da sé. In secondo luogo, la pietas letteraria si configura come la capacità della scrittura poetica, narrativa o drammaturgica di conservare nella memoria del lettore le persone, le cose e gli eventi descritti, sottraendoli con attenzione pietosa e compassionevole alla confusione, alla dispersione e alla dimenticanza cui sono di regola esposti nella quotidianità.
Così, il terzo elemento centrale dell’etica della letteratura è costituito dall’orientamento, che opera in due maniere diverse: a) la letteratura orienta il lettore tramite le singole conoscenze che trasmette, indicando che cosa è rilevante e significativo nella complessità e nel continuum del mondo; b) la letteratura orienta il lettore proponendogli come modello se stessa, cioè il suo essere una forma di conoscenza improntata a pietas: una conoscenza affettivamente connotata che salva nella memoria ciò di cui parla e nella quale, nelle ipotesi di maggior coerenza, la pietas è anche l’affetto che prevalentemente connota tale conoscenza.
Questi tre nuclei concettuali, che sono al contempo le modalità specifiche dell’operare della letteratura come tale e i punti-cardine del suo valore etico, hanno chiaramente a che fare con la molteplicità. Per quanto riguarda la conoscenza letteraria, essa è innanzitutto puntiforme, in quanto si rivolge intensivamente a singole parti del reale (persone, cose, eventi) e non estensivamente al tutto – salvo cogliere in tali singoli elementi, nei casi più riusciti, un nucleo interpretativo capace di individuare monadologicamente le ragioni profonde di vicende umane, fenomeni sociali o situazioni storiche più ampie. Tale carattere puntiforme, più evidente nella poesia ma presente anche nella narrativa,in cui si alternano nuclei più significativi e parti concettualmente ed espressivamente meno intense, di distensione o collegamento, implica però, giocoforza, la varietà e molteplicità dei nuclei di conoscenza così individuati, che valgono come tali e sono singolarmente irriducibili a uno schema generale (teorico, filosofico, concettuale) che li superi.
La vita di ciascuno è segnata anche dal contatto con opere letterarie o artistiche eminenti che, per la loro ricchezza e profondità, si configurano come Erfahrungen (accumulare esperienze) in senso gadameriano, ovvero come esperienze «forti» che modificano realmente la vita dei loro destinatari.
Tuttavia, se Gadamer «pensa la verità dell’arte proprio in base alla nozione hegeliana di Erfahrung», fa ciò «lasciando risuonare in essa l’idea del fahren (guidare), del viaggio come esperienza che trasforma e che proprio in quanto tale è portatrice di vero» (Vattimo, Oltre l’interpretazione 77): e questo vale tanto per lo scrittore, che attraversa il mondo per cercare e per cogliere ciò che in esso vi è di rilevante, quanto per il lettore, che, se si volge indietro, non può che vedersi accompagnato, in tutto il suo percorso-viaggio, da opere letterarie che, favorendo arricchimenti, approfondimenti, intuizioni o prese di coscienza, aprendo orizzonti inediti o suggerendo nuove visioni del mondo, hanno orientato in termini conoscitivi le sue prospettive di vita, e dunque si sono poste come sfondo generale e ideale (non certo minutamente prescrittivo) delle svolte concrete della sua esistenza (Per questa valenza teorica del viaggio sia consentito rinviare a Menzio, (Il viaggio dei filosofi).
[1] Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di Anna Maria Moroni, Mondadori, Milano 1983, I, p. 229 [349].
[2] Martha C. Nussbaum, Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, tr. it. di Giovanna Bettini, Feltrinelli, Milano 1996.
[3] Immanuel Kant, Critica del Giudizio, tr. it. di Alfredo Gargiulo, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 209 (Nota generale sull’esposizione dei giudizi estetici riflettenti).
[4] Ibid., p. 217 (Nota generale sull’esposizione dei giudizi estetici riflettenti).
[5] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica, tr. it. di Nicolao Merker e Nicola Vaccaro, Einaudi, Torino 1997, II, p. 1097.
Giovanni Teresi