La iettatura
di Vincenzo Fiaschitello
-“Mi scusi, signore, sa dirmi dov’è Via Uberti?” –
“Sì, eccola, è la prima traversa a destra”.
Il dottor Nardone rispose quasi senza riflettere e stette
impietrito a guardare quell’uomo vestito tutto di nero, alto,
dinoccolato, magrissimo, con lunghi e lisci capelli neri che gli
scendevano sulle spalle, con baffetti sottili e pizzetto.
Veramente una brutta impressione che gli faceva presagire
ancora una giornata senza successo. Era già da una settimana
che si aggirava in quel quartiere di Milano per certe indagini
che il Questore gli aveva affidato. Tutto preso da pensieri
negativi, ora l’immagine di quel tizio dall’aspetto spiritato e
lugubre gli sembrava proprio la tipica figura dello iettatore.
Non poté fare a meno perciò di toccarsi e fare qualche
scongiuro.
Fatti pochi passi, però, non si accorse di un tombino rimasto
aperto; il piede gli si infilò dentro e cadde a terra
rovinosamente. Diverse persone premurose cercarono di
sollevarlo, ma non riuscirono. Il dolore era così forte che
qualcuno parlò di probabile frattura e che quindi era meglio
chiedere l’intervento dell’ambulanza.
Nel frattempo, quel signore vestito di nero, Rosario Caputo, era
arrivato alla meta. Fermatosi dinanzi al portone di un grande
palazzo di sei piani, tirò fuori dalla tasca le chiavi ed entrò
nell’androne, dirigendosi verso l’ascensore.
-“Ma scusi, lei chi è? Chi l’ha fatto entrare?” Sentì alle sue
spalle la voce stridula della portiera che gli correva dietro.
Quello si girò e la guardò.
-“Oh, Santa Vergine!” esclamò atterrita la donna. Si voltò e si
fece tre volte il segno della croce, illudendosi di non essere
vista.
Rosario Caputo con la bocca atteggiata a un pietoso
sogghigno e con un aspetto spettrale, le mostrò il contratto e
disse che era il nuovo inquilino dell’appartamento del quinto
piano. Poi salì in ascensore, lasciando l’anziana donna come
inebetita. Il rumore della porta dell’ascensore che si chiudeva
al quinto piano, la svegliò e si andò a rifugiare nel suo
appartamentino a piano terra.
Dopo pochi minuti venne a mancare la corrente. Si sentì un
fracasso proveniente dall’ascensore, fermo tra il quarto e il
quinto piano. Dalle urla e dall’abbaiare del cane, la portiera,
che si era precipitata dinanzi alla porta dell’ascensore, capì che
era rimasta intrappolata la signora Annarita del sesto piano con
il suo cagnolino. Il problema era serio, soprattutto perché la
donna soffriva di claustrofobia. Mezz’ora durò quel dramma,
mentre tutti i condomini presenti erano usciti sui pianerottoli a
incoraggiare la signora; l’unico a non farsi vedere fu Caputo e
probabilmente fu anche un bene.
Poi tornò la corrente e gli operai della ditta di manutenzione,
chiamati più volte, si limitarono a controllare che non ci
fossero danni all’impianto.
Nel suo ufficio, il commissario, la dottoressa Valentina
Spanò, alzò la cornetta del telefono che squillava:
-“Qui è il Questore che parla. E’ la dottoressa Spanò?”
-“Ah, buongiorno signor Questore, sì, sono io; mi dica, sono
a sua disposizione”.
-“Ho bisogno urgente di esporle un problema. Abbia la
compiacenza di venire in ufficio. L’aspetto fra una
mezz’ora”. La dottoressa Spanò ordinò al bar il suo solito
cappuccino e cornetto e, ben predisposta ad ascoltare
eventuali lagnanze, raggiunse il palazzo della Questura.
-“Grazie, dottoressa per la sua puntualità. Si accomodi e mi
ascolti con attenzione. Si vede che è continuare le indagini
iniziate dal dottor Nardone”.
-“Il dottor Nardone? Che gli è successo?”
-“Nel territorio di competenza del commissariato del dottor
Nardone si sono registrati parecchi casi di spaccio di banconote
false. Negli ultimi mesi il fenomeno si è allargato, per cui in
accordo con il magistrato, ho disposto di procedere con
indagini sistematiche. Ora, siccome il dottor Nardone ha avuto
un incidente ed è finito in ospedale, mi trovo nella necessità di
assegnarle l’incarico con la raccomandazione di tenere sotto
controllo il territorio di cui le dicevo prima, dal momento che
abbiamo un fondato motivo che lì possa esserci l’abitazione del
maggior responsabile dello spaccio. Dottoressa, le auguro buon
lavoro e spero che mi faccia avere presto notizie”. -“Bene,
signor questore, farò del mio meglio”.
La dottoressa Spanò uscì dalla Questura un po’ contrariata,
parlando fra sé :”Mah, non capisco perché queste indagini
le affidino a noi e non invece alla Guardia di Finanza. E poi
questo Nardone! Mi pari ca sempri s’ammuccia…”
Giunta in commissariato, informa l’ispettore Cannavò sulle
indagini che si appresta a fare e con l’agente Patanè inizia un
giro di perlustrazione nella zona indicata dal Questore.
Negozi, ristoranti, bar, vengono visitati per ottenere dai
titolari notizie dettagliate riguardo ai casi di ritrovamento di
banconote false. Le risposte sono quasi tutte affermative: chi
più, chi meno, è stato truffato. Alla domanda se avessero
sospetti su qualcuno, diversi commercianti sono pronti a
giurare che la messa in circolazione di biglietti falsi è
sicuramente opera di uno strano personaggio, tutto vestito di
nero con lunghi capelli neri, alto e magro, con uno sguardo
che ipnotizza. Evidentemente quella gente era stata colpita
dalla strana, diabolica figura, senza riflettere sui tempi,
perché risultava che quell’uomo si era cominciato a vedere
da pochi giorni, quando invece lo spaccio dei biglietti falsi
risaliva ad almeno un paio di mesi prima. Ma tant’è! Accade
sempre così, il male viene spesso collegato a quel che
appare esteticamente brutto.
Il giorno seguente, il commissario pensò che sarebbe stato
utile rintracciare e convocare quel tipo che tutti avevano
descritto in maniera così negativa. Diede l’incarico al suo
fedele Rocco Patanè, il quale non perse molto tempo a trovare
la sua abitazione. Quando si presentò alla portiera come agente
di polizia, quella con un sospiro di sollievo disse:
-“Ah, finalmente lo portate via! Se lo sapesse, signor
agente, quanti guai ci ha procurato quell’uomo. Ero sicura
che non è una persona raccomandabile!”
-“Niente di tutto questo per il momento, signora. E’ soltanto
un invito a presentarsi. Glielo consegni”.
-“Eh, no, povera me! Io non ci vado, ho paura che mi succeda
qualcosa. La prego di metterlo nella buca delle lettere. Lui torna
all’ora di pranzo e, puntualmente, controlla se c’è posta.”
L’agente Rocco Patanè riferì tutto alla dottoressa Spanò:
-“Secondo me, dottoressa, questo è un iettatore professionista!
Sembra che tutti abbiano un fottuto terrore… scusi il termine!”
-“Va bene, Patanè. Vediamo se domani si presenta”.
Puntuale, all’ora fissata, la mattina il signor Rosario Caputo
fece il suo ingresso in commissariato. Rocco Patanè aveva già
avvertito i colleghi del suo arrivo. Manco a dirlo, la sua
presenza suscitò un mormorio di litanie e ciascuno si tirava
indietro al suo passaggio. E chi con una mano in tasca, chi
fingeva di frugare in un cassetto, chi si girava dall’altra parte,
ciascuno trovava il modo per fare scongiuri alla vista di quel
personaggio dall’occhio misterioso e dall’aria così funesta. La
dottoressa Spanò non si scompose, lo fece accomodare dinanzi
a sé, come faceva con tutte le persone con le quali trattava. La
sua calma, il suo cordiale sorriso di accoglienza, la stretta di
mano, lasciarono il signor Caputo un po’ meravigliato. Poi si
riprese e disse:
-“Signor commissario, ho ricevuto il suo invito a presentarmi.
Eccomi qui, a sua completa disposizione”.
-“Signor Caputo, senza giri di parole vorrei domandarle se lei
è al corrente di quel che sta accadendo nel palazzo dove mi
dicono da circa un mese lei è andato ad abitare.”
-“Veda, signor commissario, con altrettanta franchezza, io sono
pronto a riferirle che dal giorno in cui sono arrivato, a
cominciare dalla portiera, mi hanno trattato male, mi hanno
offeso con gesti, mormorazioni di ogni tipo, al solo vedermi
salire le scale o entrare e uscire dalla porta di casa”.
-“Ammetterà, signor Caputo, che vestito in questo modo, con
questo taglio di capelli, incute, diciamo, un po’ di soggezione
alle persone che la incontrano. Sa, probabilmente, qualcuno
suggestionato da certi film, rotocalchi e storie di cronaca nera, è
preso da paura.”
-“Signor commissario, non lo metto in dubbio, ma le assicuro
che io non ho fatto mai male a nessuno. Le pare giusto che da
qualche giorno, io trovo nell’androne del palazzo, sulla porta
dell’ascensore, sulle porte degli appartamenti, ogni tipo di
corni rossi di tutte le misure contro il malocchio di cui io sarei
portatore?”
-“Certamente no! Ma l’agente Patanè ieri ha saputo dalla
portiera che oggi i condomini mi porteranno una denuncia
contro di lei, firmata da tutti, per il panico che ha creato
da quando è arrivato”.
-“Ma, signor commissario, che cosa potranno dire di me? Che
rubo? Che faccio rumori molesti? Che metto i rifiuti fuori
posto? Diranno che l’ascensore si è bloccato dopo che io sono
passato, che è saltata la corrente, che è caduto un pezzo di
cornicione, che una vecchietta è scivolata nell’androne, che
alla signora è scappato il cane! Le pare che queste coincidenze
possano essere attribuite a me, solo perché mi piace avere i
baffetti e un pizzetto appena accennato, o perché porto gli
occhiali scuri?”.
-“No, certo! Le persone razionali leggono gli eventi che
accadono alla luce del principio di causa-effetto. E nel suo
caso è evidente che non c’è affatto questo nesso.”
-“Ecco, signor commissario, ora le dico come stanno le cose.
Naturalmente anche io la penso come lei. E allora lei potrebbe
dirmi:- Perché si comporta in maniera da far credere alla
gente che è uno iettatore, che fa il malocchio? Osservazione
giusta! Ci sono due ragioni.
La prima è per così dire “storica”. Veda, dottoressa, le mie origini
sono pugliesi. I miei antenati abitavano a Otranto ed erano di
religione musulmana, perché provenienti dalla Turchia. Dopo
alcuni anni, si convertirono alla religione cristiana perché non
venissero discriminati. Erano tempi difficili. Nell’estate del 1480,
Otranto fu assediata e conquistata dai turchi, i quali al comando di
Ahmed Pascià, fecero una terribile strage di cristiani. Orbene, il
loro odio fu particolarmente violento nei confronti di quei
musulmani che avevano abbracciato la religione cristiana. Fra
costoro ci fu un mio antenato che, sottoposto a indicibili supplizi,
mentre stava per essere decapitato, fu preso da una strana e
straordinaria energia, come poi lui stesso narrò, al punto che fissò
negli occhi il carnefice e quello restò per un attimo con la
scimitarra in aria al momento di colpirlo e subito dopo cadde a
terra come fulminato. Lo smarrimento e il panico si diffuse fra i
miei ex conterranei, i quali si diedero a una fuga generale sulle
galee che presero presto il largo. Verità o non verità, signor
commissario, questo fatto si è tramandato di generazione in
generazione ed è giunto fino a noi, per cui per tradizione il primo
maschio della famiglia ha questi poteri speciali che si dispiegano
in vari modi.
L’altra ragione è quella che nasce dalla
rabbia?”
-“Dalla rabbia?”
-“Sì, dottoressa, dalla rabbia! Vedendo che tutti mi scansavano
per il mio aspetto lugubre, come dicevano, allora sin da
adolescente mi sono assuefatto a portare questa maschera e mi
sono rafforzato nella convinzione che potevo procurare il
malocchio e danneggiare coloro che mi stavano attorno. Basta
un niente per far credere alla gente che un tizio possiede una
energia negativa che emana dal suo corpo, dai suoi occhi. Per
parte mia, signor commissario, io non vi ho creduto più di
tanto, anzi l’ho sempre ritenuto, ammesso che esista veramente,
un dono funesto. E, in fondo, sono certo che chi lo possiede o
ritiene di possederlo vuole liberarsene e non vi riesce in alcun
modo. Io ricordo che anche mia madre non ne voleva sentir
parlare. E quando le amiche le dicevano che il mio sguardo
molto spesso aveva arrecato qualche danno o, a sentir loro,
avevo previsto qualcosa che poi effettivamente era accaduta,
mia madre mi portava da una donna che aveva fama di
fattucchiera, la quale, ricorrendo a litanie misteriose e a certi
riti con acqua e olio, era convinta di liberarmi da quegli
scomodi poteri. C’è una cosa, però, alla quale sono rimasto
legato. Si tratta della previsione che un giorno una delle tante
fattucchiere, dalle quali mia madre mi faceva visitare, fece sul
mio conto, dicendo che mi sarei definitivamente liberato da
ogni nomea di iettatore quando avrei incontrato l’amore di un
misterioso uccello. L’amore di un misterioso uccello? Non ho
mai capito che cosa volesse dire e forse non lo scoprirò mai.” –
“Signor Caputo, la sua è una storia che mette tristezza, ma le
prometto che farò qualcosa perché possiate vivere in pace nel
vostro palazzo.”
E mentre il signor Caputo si accingeva a uscire:
-“Ah, signor Caputo, un’ultima cosa: ma lei quando paga
la merce in un negozio, guarda negli occhi chi sta alla
cassa?” -“Qualche volta…qualche volta, signor
commissario!” Rocco Patanè che era rimasto al computer a
registrare il contenuto di quel che raccontava, si alzò
prontamente e, seguendolo con lo sguardo, istintivamente
si toccò. -“Ma che fai, Patanè? Ti tocchi pure tu, ora?”
-“Mi scusi, dottoressa, ma non è facile liberarsi dalle
cattive abitudini!”
-“Piuttosto, Patanè, cerchiamo di non perdere tempo. Vorrei che
lei tornasse a parlare con la portiera dello stabile per sapere se
negli ultimi tempi, a suo parere, qualche inquilino
improvvisamente abbia migliorato il tenore di vita”.
Rocco Patanè svolse il suo incarico con discrezione, anche se
la portiera si rivelò un fiume in piena. Raccontò indiscrezioni
su tutti gli inquilini, ma per uno in particolare si dilungò,
dicendo che fino ad appena un mese fa, faceva una vita molto
ritirata, tornava con la borsa della spesa semivuota e aveva
sempre lo stesso vestito. Da qualche settimana, lo vedeva
rientrare con pacchi e pacchetti, ben vestito e con scarpe nuove.
E non si capiva dove trovasse il denaro, poiché era noto che
fosse un pensionato provvisto di modesto reddito.
Ce ne era abbastanza per chiedere l’autorizzazione ad
una perquisizione domiciliare.
A seguito dell’ispezione, nella casa del pensionato Salvatore
La Licata fu trovata una scatola di cartone contenete diecimila
euro. In commissariato il signor La Licata, nervoso e
impaziente di chiarire la propria posizione, aspettava di essere
introdotto nell’ufficio della dottoressa Spanò.
-“Allora, signor La Licata, ci vuole dire qualcosa sul denaro
in contante che è stato trovato in casa sua? Abbiamo il
sospetto che siano banconote false.”
-“Ma, signor commissario, che sta dicendo? E’ tuttu sangu ri
mi patri, denaru pulitu.”
-“Si spieghi meglio, signor La Licata!”
-“Mi patri m’ha lasciato in eredità a Sciacca nu dammusu.
Lei sa che cos’è u dammusu?”
-“Si, lo so, sono anch’io siciliana!”
-“Ah, bedda matri! Allora ci capiamu. Insomma a Sciacca il
mese scorso ho venduto quella minuscola proprietà, quasi una
grotta. E ho ricavato quella sommetta. Siccome non mi fido
delle banche, nemmeno di queste di Milano, così ho deciso di
tenermela a casa. Ecco tutto. A casa ho pure copia dell’atto di
vendita del notaio”.
In quel momento bussarono alla porta. Entrò un agente con
la scatola contenente il denaro del signor La Licata.
-“Signor commissario, è tutto in regola. Le banconote
sono state controllate dagli esperti, sono tutte autentiche.”
-“Ha visto, dottoressa? posso andare ora?”
-“Si, certo, signor La Licata e ci scusi. La faccio
accompagnare a casa, non vorrei che le rubassero il denaro.”
In quella stessa settimana si aggiunsero ai condomini
una signora e la figlia che andarono a occupare l’ultimo
appartamento ancora libero.
La portiera che aveva avuto un bel da fare con i facchini
che trasportavano i mobili dei nuovi arrivati, diceva fra sé:
“Poverette, presto impareranno a conoscere lo iettatore!”
Intanto, però, nel giorno in cui si effettuarono i lavori di
trasloco, non accadde nulla di spiacevole. Tutto filò liscio.
Ma chi erano quelle due donne?
La signora, sulla sessantina, era una donna, alta e grassa; la
figlia, ventenne, con jeans “strappati” alle ginocchia e alla
coscia destra, maglietta aperta sul collo e scarpe da
ginnastica, occhi vivaci e scuri.
Nessuno degli inquilini poteva immaginare l’identità di quella
signora. Eppure fino a un paio di decenni prima, aveva goduto
di grande popolarità, aveva calcato come cantante le scene di
tanti palcoscenici, partecipato a trasmissioni televisive e a serate
popolari in varie città di provincia. Il suo sogno si era
realizzato. Ma è pur vero che un sogno realizzato è sempre
atroce, quasi sempre la storia finisce con l’identificarsi con la
delusione. Nel suo caso la delusione e la conseguente
sofferenza furono causate dalla nascita della figlia. Riuscì a
tenere segreta la figlia e a continuare con successo la sua
carriera, finché un giorno un reporter non scoprì il segreto che
custodiva. La figlia era nata con una malformazione del viso
che la faceva assomigliare a un uccello. Viveva con la nonna in
un paesino di montagna della Basilicata e nessuno sapeva nulla
della madre. La chiamavano la “fanciulla dal volto d’uccello”.
Ebbene, il reporter diffuse la sua immagine e la notizia e da
quel giorno cominciò a circolare la voce che la cantante
portava sfortuna. In breve tempo, impresari, registi, manager,
cominciarono a emarginarla e a non volerla più nei loro
spettacoli. Fu la fine della sua carriera.
La cantante si rassegnò, si riprese la figlia ed ebbe per lei grandi
attenzioni. Man mano che la figlia cresceva, quella espressione
del suo volto che ricordava un uccello, andò via via
scomparendo. Inoltre la ragazza era intelligente e sensibile e
spesso dimostrava di possedere il dono della preveggenza.
La mattina successiva al loro arrivo la ragazza disse alla
madre che in quel palazzo avrebbero trovato la fortuna e che
presto si sarebbe sposata.
La dottoressa Spanò non aveva dimenticato la promessa di
impegnarsi a portare la pace tra gli inquilini del palazzo e di
porre fine a certi gravi pregiudizi. Per questo fece avvertire
l’amministratore del palazzo di indire una assemblea
condominiale, alla quale lei sarebbe intervenuta per alcuni
chiarimenti in merito a presunti problemi di malocchio causati
da un inquilino. L’assemblea, come al solito, venne convocata
nei locali della vicina parrocchia. Appreso che all’inizio della
riunione, il commissario intendeva sollevare la questione del
malocchio, il parroco si disse pronto anch’egli a dare il proprio
contributo.
-“Mi fa piacere, iniziò a parlare la dottoressa Spanò, che sia
presente anche il reverendo parroco, il quale potrà meglio di
me illustrare il magistero della chiesa in merito alla magia, alla
superstizione, alla iettatura, tutte cose che ingenerano
confusione, pregiudizi, litigi, sottomissioni. Il mio breve
intervento ha soltanto lo scopo di prevenire questi fenomeni
negativi che di solito arrecano così gravi ripercussioni nella vita
di una comunità, soprattutto quando è piccola, come nel caso del
condominio di un palazzo. Ora voi potreste dire:- Ma può un
commissario di polizia occuparsi di un problema simile?
E io rispondo:- Perché no? Io credo non solo in un compito di
repressione in presenza di un reato, ma sento anche il dovere di
dissuasione, di prevenzione. Come la polizia penitenziaria sin
dalle origini ha adottato per motto Vigilando Redimere, io
ritengo che anche un commissario di polizia debba avere una
sensibilità educativa che, in questo caso, consiste nel prevenire
un reato o una serie di reati. Pertanto il mio avvertimento in
questa circostanza vuole essere quello di porre fine o almeno
isolare un fenomeno produttore di guai e di infelicità. Lo
faccio non ricorrendo semplicisticamente a mettere in ridicolo
chi crede nel malocchio, ma facendo ricorso al buon senso e
alla ragione. E, per far subito un esempio concreto, il buon
senso e la ragione dicono che il signor Caputo non può essere
isolato come un appestato. Quindi signor Caputo, la prego di
non restare seduto là in fondo alla sala, ma si avvicini, anzi
venga qui accanto a me”.
Tutti si volsero verso il signor Caputo che avanzò
decisamente e andò a sedersi al tavolo, accompagnato da un
lieve brusio. La dottoressa riprese a parlare:
-“Sappiamo bene che l’esistenza del malocchio è documentata sin
dalla antichità. Presente nella cultura egiziana, in quella ebraica,
in quella cristiana, legata a lungo al mondo pagano, e in quella
islamica, è stata sempre oggetto di condanna. La fascinazione con
l’occhio, il potere dello sguardo che alcuni individui dimostrano
di possedere, veniva considerato come un peccato infame e
demoniaco. Persino la filosofia nel Rinascimento si occupò del
malocchio e delle pratiche magiche, ma oggi che viviamo
nell’epoca del trionfo della tecnologia e
della scienza, non possiamo che considerare tale tendenza come
un residuo della superstizione popolare. Resta, tuttavia, il fatto
che ancora talismani, portafortuna, oroscopi, malocchio, sono
molto diffusi tra la gente. Se andiamo ad esaminare il motivo
profondo, ci accorgiamo che tutto questo è radicato nel bisogno
di sicurezza che ciascuno ha nel cuore: sofferenza, incertezza del
futuro, paura della morte. Ed è sicuramente su questo punto che il
reverendo parroco potrà dirvi meglio di me quel che ne pensa la
religione, la quale a sua volta pericolosamente è spesso coinvolta
in pratiche magiche, come per esempio quando si pretendono
segni e prodigi dai santi o direttamente da Dio”.
Il discorso del commissario e poi quello del parroco furono
molto apprezzati dai condomini. E qualcuno dando il buon
esempio nel congedarsi ebbe il buon senso di stringere la
mano al signor Caputo.
Le indagini sullo spaccio delle banconote false sembravano a
un punto morto, allorché una mattina Rocco Patanè bussò alla
porta dell’ufficio della dottoressa Spanò e entrò con una
faccia stralunata:
-“Dottoressa, di là c’è il signor Caputo che chiede di
parlare con lei!”
-“Bene, fallo entrare. Ma perché quella faccia?
-“Signor commissario non può neanche immaginare. E’
un’altra persona, ho fatto fatica a riconoscerlo!”
Il signor Caputo finalmente fu introdotto nell’ufficio e
effettivamente anche la dottoressa ebbe un attimo di
smarrimento. Indossava un vestito blu elegante, si era
tagliati baffetti, pizzetto e capelli. Sembrava davvero un
altro uomo, con quegli occhi azzurri.
-“Mi compiaccio con lei, signor Caputo, per
questo cambiamento. I miei complimenti!”
-“Grazie, signor commissario. A lei va anche il merito di
questo mio cambiamento. Ora c’è tra i condomini una migliore
comprensione e poi le voglio riferire che mi sono fidanzato con
la ragazza del quarto piano. E’ una storia davvero straordinaria.
Lei ricorderà che una fattucchiera, quando ero ragazzo, aveva
predetto che un uccello misterioso avrebbe posto fine alla
storia della iettatura? Ebbene ho trovato questo uccello
misterioso. La ragazza, come ha raccontato sua madre, era
chiamata la fanciulla dal volto di uccello per la vaga
somiglianza a un uccello. Sono certo, signor commissario, che
sposandola si potrà avverare la predizione. Naturalmente non
ho detto nulla alla madre e alla ragazza, il segreto l’ho tenuto
per me, ma intanto ho cominciato a liberarmi di quella
condanna”.
-“Davvero interessante, signor Caputo, ancora i miei
complimenti e auguri per la sua nuova vita”.
-“Dottoressa, ora però c’è una cosa di cui sono a conoscenza e
che forse le potrà essere utile”.
-“Mi dica!”
-“Quando ancora tutti temevano il mio aspetto, ricordo che una
sera tardi rientrando a casa, siccome l’ascensore era guasto,
cominciai a salire a piedi le scale. A un tratto vidi
l’amministratore che scendeva con una grossa borsa sotto il
braccio. Nel riconoscermi, si spaventò, inciampò e cadde. La
borsa si aprì e per le scale si sparpagliarono decine di biglietti
da venti e da cinquanta euro. Farfugliando e tenendomi
lontano, li raccolse in fretta e sparì.”
-“Ma l’amministratore ha un appartamento o un locale a
sua disposizione nel palazzo?”
-“Credo che abbia vicino alla porta del terrazzo un
piccolo locale dove conserva le sue carte”.
Dopo pochi minuti, la dottoressa Spanò e l’ispettore Cannavò,
con l’aiuto della portiera, ispezionarono il locale di cui aveva
parlato il signor Caputo. La segnalazione era giusta. Nascoste
tra vari fascicoli furono trovate molte mazzette di biglietti da
cinquanta e da venti euro, pronti per essere smerciati.
Verificata la contraffazione delle banconote, la dottoressa
procedette all’arresto dell’amministratore, il quale sin dall’inizio
dell’interrogatorio si dimostrò disposto a collaborare per
l’individuazione dei responsabili della stampa illegale.