“La giara” novella di Luigi Pirandello – Lettura e commento di Giovanni Teresi
Pirandello scrisse più di duecento novelle, pubblicate su riviste e quotidiani e poi raccolte in quindici volumi sotto il titolo complessivo di Novelle per un anno. Esse contengono moltissimi personaggi e situazioni inventati da Pirandello e da esse sono tratti quasi tutti i drammi teatrali.
Ambientate nella Sicilia contadina o nella Roma di ricchi borghesi e umili impiegati, le novelle mettono in scena una moltitudine di situazioni assurde e paradossali nelle quali Pirandello rappresenta insieme il lato comico e ridicolo e insieme penoso e drammatico dell’uomo e della vita.
Pirandello racconta utilizzando tecniche narrative all’avanguardia per i tempi; narratori interni, narratori esterni a focalizzazione esterna e interna, punti di vista che mutano e si alternano nel corso dell’intreccio, monologhi interiori, intrecci complessi con prolessi e analessi, a creare un’esperienza di lettura provocatoria che stimola il lettore, lo trascina nel meccanismo narrativo, lo costringe a seguire l’autore nell’opera di scomposizione a cui sottopone personaggi e realtà.
“La giara” è una novella, composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
La storia ripercorre molti dei temi cari allo scrittore agrigentino, tra cui la molteplicità dei punti di vista, l’umorismo e l’ambiente siciliano.
Tutte caratteristiche queste che ritroviamo nella rielaborazione in dialetto agrigentino, operata da Pirandello nell’ottobre del 1916, per un breve adattamento teatrale in un atto unico che fu rappresentato per la prima volta in Roma al Teatro Nazionale il 9 luglio del 1917 dalla Compagnia di Angelo Musco e successivamente, nella versione in lingua italiana, forse del 1925, sempre a Roma il 30 marzo del 1925.
La novella vede protagonista don Lolò Zirafa, un uomo ricco e ossessionato dalla brama del possesso, che vive nella perenne e logorante diffidenza nei confronti del prossimo. Spinto dalla convinzione che chiunque desideri derubarlo, sottraendogli la “roba” cui ha consacrato un’esistenza, trascorre il suo tempo denunciando malcapitati, e dissipando il suo denaro in processi persi in partenza. Anche il legale di don Lolò, che pur si arricchisce grazie alla nevrosi del suo cliente, arriva al punto di non sopportarlo più.
Un giorno don Lolò acquista una giara molto grande per contenere l’olio della nuova raccolta, ma il contenitore si rompe inspiegabilmente a metà. Il ricco Zirafa si vede costretto a rivolgersi quindi all’artigiano Zi’Dima, di cui ovviamente però non si fida. A causa della sua sospettosità perenne, don Lolò non si accontenta del metodo che l’artigiano gli propone per riparare la giara (e cioè, utilizzare un portentoso collante), e lo costringe ad aggiungere una saldatura di ferro. Così Zi’Dima, dopo essersi lamentato della pochissima fiducia riposta nelle sue capacità di artigiano, deve entrare nella giara per portare a compimento il lavoro aggiuntivo voluto da don Lolò. Non calcola però il ristretto collo del contenitore; a lavoro terminato, si rende conto di essere rimasto goffamente intrappolato all’interno della giara stesso, e che l’unico modo per uscire dalla sua prigione di terracotta, è quello di romperla, rovinando così definitivamente il contenitore di don Lolò. Quest’ultimo, dal canto suo, afferma di voler essere risarcito per il danno che verrà fatto alla sua proprietà (o alla sua “roba”). L’artigiano rifiuta categoricamente, dicendo che nella giara si trova benissimo e non ha nessuna fretta di uscire, e ribattendo che non si sarebbero trovati in questa situazione se don Lolò non avesse insistito per l’inutile saldatura aggiuntiva.
Il ricco Zirafa va su tutte le furie, e preso da un impeto di rabbia, infrange la giara con un calcio: Zi’Dima si trova così libero senza aver compiuto alcun atto lesivo nei confronti della proprietà di don Lolò, che esce così sconfitto dalla contesa, senza giara e senza risarcimento.
In questa novella, vero gioiello dell’arte narrativa e certamente fra le più note della letteratura di tutti i tempi, l’umorismo pirandelliano raggiunge una delle più alte vette artistiche. I protagonisti vi sono rappresentati con grande forza espressiva, e difficilmente il lettore potrà dimenticare la loro divertente immagine.
L’autore è concentrato sui personaggi e sulle loro azioni per dare origine a un racconto umoristico. Don Lollò come Mazzarò de La roba, sono entrambi fortemente legati alla roba e quando devono separarsene agiscono in maniera rabbiosa dandogli più importanza della vita umana.
L’assurdo in questa novella domina le vicende umane, difatti anche se non voleva rovinare la giara prima o poi Zi’ Dima sarebbe dovuto uscire lo stesso da lì in qualche modo.
L’opera ci propone anche il tema della presa di posizione che non ammette un cambio di opinione e di idee, con la conseguenza che alla fine a rimetterci è il ricco proprietario, che non dà retta al suo avvocato, né tantomeno all’artigiano: se si fosse fidato del suo mastice, lui non sarebbe rimasto chiuso dentro la giara.
Umoristiche sono le manie dei protagonisti (come Zirafa è attento alla propria roba, così Zi’ Dima è testardamente desideroso di mostrare la propria abilità di artigiano), umoristica e ai limiti del grottesco la situazione narrata, umoristico il finale risolutivo scelto.