La figura di Antonio De Viti De Marco
Di Giorgio Mantovano
Antonio De Viti De Marco, nato a Lecce il 30 settembre 1858, morì a Roma il 1°dicembre 1943.
Già studente modello nel Liceo classico leccese “Giuseppe Palmieri”, nel 1883 fu chiamato come docente all’Università di Camerino e poi a Macerata e Pavia.
Dal 1887 insegnò Scienza delle finanze all’Università di Roma.
Dal 1890 al 1913 fu, con Pantaleoni, condirettore del “Giornale degli economisti”. Eletto deputato nel 1900 fu riconfermato nel mandato fino al 1921.
Nel 1931 lasciò l’insegnamento per non prestare il giuramento fascista, dando le dimissioni con la seguente lettera, indirizzata al Prof. De Francisci, Magnifico Rettore dell’Università di Roma:
“Ill. mo Professore e Caro Collega,
il giuramento, di cui Ella ha avuta la cortesia di farmi leggere la formula, mi porrebbe in contraddizione con i miei precedenti politici e con la dottrina che ho sempre professata.
Nè più potrei riprendere e continuare il mio insegnamento teorico della Finanza e dell’economia, senza ricorrere alle riserve mentali di uso comune, che a me ripugnano.
Sono, per ciò, venuto nella decisione – quanto mai per me penosa- di chiedere il collocamento a riposo. Mi permetto di accluderne la domanda, grato se vorrà trasmetterla a S. E. il Ministro”.
Per le stesse ragioni lasciò nel 1934 l’Accademia dei Lincei. Nella prefazione all’edizione tedesca del “Trattato di Scienza delle Finanze” (1932) testimoniò la sua solidarietà ad Ernesto Rossi, carcerato quale esponente di Giustizia e libertà.
Tra le numerose pubblicazioni scientifiche giova ricordare “Il carattere teorico dell’economia finanziaria”, Roma, 1888, ed i “Principi di economia finanziaria” , Torino, 1934, edito anche in inglese e in tedesco.
La sua figura occupa un posto di primo piano negli studi economico-finanziari in Italia, a cavallo fra Otto e Novecento. Definito “Maestro” da Luigi Einaudi, il suo nome si accompagna a quello di Maffeo Pantaleoni, Vilfredo Pareto ed Enrico Barone.
Il De Viti De Marco era convinto che il problema del Mezzogiorno fosse essenzialmente un problema di uomini, di una classe dirigente, veramente degna di questo nome, nell’Italia meridionale.
E scriveva: ” Se da noi, più che altrove, manca una opinione pubblica, ciò è dovuto anzitutto al fatto che troppi qui aspettano che il Governo provveda. Questa attitudine ricorda da vicino le tradizioni dell’assolutismo e accarezza la inveterata tendenza nostra al fatalismo politico. Se non vi aiutate voi, nè la Provvidenza, nè il Governo vi aiuteranno; poichè il governo parlamentare è più che mai il rappresentante di interessi organizzati; e se voi vi astenete dall’organizzarvi per la vostra difesa, non isperate salvezza dal di fuori, e dal governo italiano meno che da qualunque altra forza esterna”.
La citazione è tratta dal discorso commemorativo, dedicato al De Viti De Marco, tenuto da Ernesto Rossi, il 12 settembre 1948, alla Fiera del Levante.
In quell’occasione Ernesto Rossi ebbe a dire: “Quel che mi fece più impressione, discutendo la prima volta con De Viti De Marco le idee che egli doveva poi sviluppare nel suo grande trattato, fu la sua modestia, la sua capacità di prendere in considerazione anche le critiche di un ‘pivellino’, di un giovane sconosciuto quale io ero, per trarre incitamento ad approfondire il proprio pensiero, per continuare nell’appassionante ricerca della verita”.
Di Giorgio Mantovano