La felicità di Dante pellegrino celeste
di Giovanni Teresi
Anche il pellegrino Dante è ovviamente felice in Paradiso; egli gode dello spettacolo della crescente luminosità delle anime, della dolce melodia dei loro canti, dei colloqui che gli spiriti gli concedono illuminando la sua mente, e, poiché egli in questo viaggio non perde nulla della sua umanità, è soprattutto felice d’avere sempre vicina la sua donna. Beatrice qui non è più la figura evanescente e stilizzata della Vita Nuova: ora che ha avuto da Dio l’investitura di fare da guida al suo «fedele / che per vederla ha mossi passi tanti!», è un personaggio a tutto tondo, molto più vivo e umano.
Già quando era accorsa premurosa nel Limbo ad invocare, con «li occhi lucenti» di pianto, l’aiuto di Virgilio in favore di Dante, smarrito nella selva oscura, ella aveva esplicitamente dichiarato di essere mossa da un sentimento d’amore verso il suo “amico”: «amor mi mosse che mi fa parlare» (Inf. II 72) inteso, naturalmente, come un aspetto dell’amore carità. A tale irresistibile richiamo, Dante aveva accolto subito, senza riserve, l’invito di Virgilio che a lei lo avrebbe ricondotto: Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu signore e tu maestro (Inf. II 139-40). E Beatrice, dal momento in cui lo incontrerà sulla cima del Purgatorio, sarà sempre al suo fianco nella vertiginosa salita attraverso i nove cieli: affettuosa, sorridente, illuminante.
E Dante è inebriato dalla vicinanza di «quel sol che pria d’amor gli scaldò il petto», espressione inequivocabilmente d’amore, come le molte altre disseminate nel Paradiso: lei è la sua «dolce guida e cara», è «il sol de li occhi suoi», è il «segno di maggior disio», è «quella che ’mparadisa la sua mente», è la «donna che a Dio lo mena», è «quella pia che guidò le penne / de le sue ali a così alto volo».
Lo splendore di Beatrice aumenta la sua intensità di cielo in cielo e Dante, innamorato, lo rileva fin dall’inizio, quando salgono dal cielo della Luna al cielo di Mercurio:
Quivi la donna mia vid’io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fe’ ’l pianeta. E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec’io, che pur, da mia natura trasmutabile son per tutte guise! (V 94-9).
Egli non staccherebbe mai gli occhi dalla sua donna, perché la sua «mente innamorata» sempre arde di desiderio, ma a volte è Beatrice stessa che lo invita a distogliere lo sguardo, abbagliandolo col suo sorriso: Vincendo me col lume d’un sorriso ella mi disse: «Volgiti e ascolta; ché non pur ne’ miei occhi è paradiso» (XVIII 19-21).
La luce che Beatrice emana dal suo volto si fa più intensa quando ride, tanto che ad un certo punto, per non abbagliare Dante col suo fulgore, sarà costretta a non sorridere più, in attesa che le capacità sensoriali del suo fedele si rinforzino. Ma quando poi finalmente la vista di Dante, dopo aver assistito al trionfo di Cristo, si potenzia, sarà lei a sollecitarlo affettuosamente: «Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente se’ fatto a sostener lo riso mio» (XXIII 46-8). Tale è lo splendore ineffabile della bellezza di lei, che Dante si perde nella sua contemplazione, ed ella dovrà richiamarlo, per invitarlo a godersi lo spettacolo delle schiere dei beati folgorati dall’alto dalla luce di Cristo: «Perché la faccia mia sì t’innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo s’infiora?» (XXIII 70-2).
Il motivo della bellezza di Beatrice percorre tutto il Paradiso. L’oggetto più appassionato della “loda” di Dante, poeta d’amore, sono i suoi occhi: «lo splendor de li occhi suoi ridenti», i «belli occhi / onde a pigliarmi fece Amor la corda», «il piacer de li occhi belli, / ne’ quai mirando mio disio ha posa», il «raggio» dei suoi occhi «che rifulgea da più di mille milia»