La fama ritrovata di Farinelli di Maurizio De Giglio
Finalmente Andria, la sua città natale, si ricorda di lui. “Carlo Broschi detto il Farinelli” (Andria, 24 gennaio 1705 – Bologna, 15 luglio 1782): Chi era costui? In verità, la sua fama è ritornata in auge, ammesso che si fosse spenta del tutto, grazie al Centro Studi Farinelli di Bologna, istituito venti anni fa, città che lo accolse, all’apice del suo successo, e dove trascorse gli ultimi anni della sua vita in una sfarzosa villa settecentesca, purtroppo demolita dopo la fine della II Guerra mondiale. Il Centro Studi ha presentato, ad Andria, un corposo Volume sulla Musica del Maestro, intitolato “Mito, Storia e Sogno di Farinelli”.
Un importante Convegno quello svoltosi nella cornice dell’Aula consiliare del Comune, organizzato dal Rotary Club Andria – Castelli Svevi, con la presenza della Sindaca Giovanna Bruno e del Presidente del Consiglio comunale di Andria Giovanni Vurchio.
Una città irriconoscente, per la verità, se non è riuscita a quasi due secoli dalla sua morte a dedicargli un Ente musicale o una lapide che ne ricordasse la sua grandezza. Dimenticavo: gli hanno dedicato un Bar. Maestro, si accontenti! NEMO PROFETA IN PATRIA!
Chissà, tale amnesia era dovuta al fatto di appartenere a quel genere di cantanti che si chiamano generalmente castrati. I cantanti maschi che avevano subìto la castrazione prima della pubertà, allo scopo di mantenere la voce acuta in età adulta. Il termine è sinonimo di evirato ed eunuco, sebbene la castrazione in passato potesse essere praticata senza fini canori, ma solo per provocare l’impotenza sessuale.
La parola “castrato”, per il significato spregevole che poteva assumere, fu spesso sostituita da altre locuzioni, come “cantori evirati”, “musici” o “soprani naturali”. I cantori evirati divennero in alcuni casi veri e propri fenomeni e furono impiegati da molti operisti e compositori soprattutto nel XVII e XVIII secolo, sino al XIX secolo.
La castrazione in seguito cadde in disuso e la Chiesa bandì definitivamente questi artisti, che sino al Novecento avevano prestato servizio come cantori nelle cappelle musicali.
Tra i più celebri cantori eunuchi del periodo aureo si ricorda proprio Carlo Broschi, in arte Farinelli, a cui è stata dedicata anche in tempi moderni una copiosa letteratura e alcuni film.
Di famiglia agiata, il padre lo mandò a studiare a Napoli per le sue doti canore notevoli dal Maestro Porpora.
Il suo debutto avvenne a Napoli, nel 1720, nella serenata “Angelica e Medoro” del Porpora, in una serata in onore dell’Imperatrice d’Austria. Il libretto era la prima prova teatrale di Pietro Metastasio, che strinse col Broschi un’amicizia che durò tutta la vita ed è testimoniata da un interessante carteggio. Riscosse un ottimo successo e le successive esibizioni gli valsero una crescente rapida notorietà.
Nella stagione del Carnevale del 1722 fece il suo esordio in teatro a Roma, cantando, nel Teatro Alibert, nel dramma per musica “Sofonisba” del bolognese Luca Antonio Predieri e nel “Flavio Anicio Olibrio” di Porpora, di nuovo a fianco di Domenico Gizzi e di Francesco Vitale. Nel 1723 e nel 1724 fu nuovamente a Roma per le trionfali Stagioni di Carnevale, sempre al Teatro Alibert, in produzioni drammatiche di assoluto prestigio: “Adelaide” di Nicola Porpora nel 1723 e “Farnace” di Leonardo Vinci nel 1724, sempre al fianco del Gizzi. Cantò, negli anni successivi, a Roma, Vienna, Venezia, Milano, Bologna.
Già a Napoli nel 1725, in occasione della prima rappresentazione del Marc’Antonio e Cleopatra di Hasse, era stato notato da Johann Joachim Quantz, che ne aveva magnificato con entusiasmo la purezza di timbro ed estensione di scala, la nitidezza di trillo e inventiva
Nel 1730 Farinelli fu ammesso all’Accademia Filarmonica di Bologna.
Londra
Nel 1734, Carlo Broschi si trasferì a Londra e cantò presso l’Opera della Nobiltà al Lincoln’s Inn Fields, che era diretta da Porpora e vedeva Francesco Bernardi, detto il Senesino, come cantante principale. La sua fama era immensa, e i proventi che ottenne nei tre anni in cui soggiornò in Inghilterra superarono le 5.000 sterline. Questi anni, l’apice della sua gloria come artista di scena, furono anche gli anni della cocente rivalità tra i due gruppi teatrali residenti a Londra, quello di Georg Friedrich Händel, sostenuto dal re Giorgio II, e quello di Porpora, sostenuto da Federico principe di Galles e dalla nobiltà.
La prima apparizione al teatro Lincoln’s Inn Fields fu in “Artaserse”, di cui la maggior parte delle musiche erano state scritte dal fratello, Riccardo Broschi. Il successo fu istantaneo. Il principe di Galles e la corte lo accolsero con lodi e onori.
Il ventennio a Madrid
Nel 1737 Farinelli accettò l’invito di Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V di Spagna. Durante il viaggio passò per la Francia, e cantò per Luigi XV. Il re spagnolo, che soffriva di nevrastenia e malinconia, aveva abbandonato la vita pubblica, gli affari di Stato e manifestava segni di follia. La regina Isabella invitò quindi Farinelli ad esibirsi davanti a suo marito, nella speranza che potesse risvegliarlo dall’apatia. L’episodio è rimasto celebre, e contribuì ad accrescere la leggenda che circondava il cantante. La voce di Farinelli fece un tale effetto su Filippo V, che non volle più separarsi dal cantante. La “terapia” quotidiana consisteva nel far cantare il castrato sempre le stesse otto o nove arie[7], di cui la prima era “Pallido il sole”, dall’Artaserse di Johann Adolf Hasse. Da una stanza diversa da quella del sovrano, le prime volte dalla stanza più lontana e via via sempre più vicina fino ad arrivare dietro la porta, il cantante riuscì a far uscire il sofferente Filippo, lo fece lavare e radere. Il re gli fece promettere di restare alla corte di Spagna, corrispondendogli uno stipendio di 2000 ducati, con l’unica richiesta di non cantare più in pubblico.
Divenuto criado familiar dei re di Spagna, il cantante vide la sua importanza crescere con l’ascesa al trono di Ferdinando VI di Spagna, che lo nominò cavaliere di Calatrava, un’alta carica, riservata ai gentiluomini che potevano provare la nobiltà e l’antichità delle loro famiglie. Broschi-Farinelli, favorito dal monarca, esercitò sulla corte, e sulla politica, una grande influenza. Gli si devono i primi lavori di bonifica delle rive del Tago, e diresse l’opera di Madrid e spettacoli reali. Utilizzò il suo potere persuadendo Ferdinando a instaurare un teatro d’opera italiano. Collaborò anche con Domenico Scarlatti, compatriota napoletano, anch’egli residente in Spagna. Il musicologo Ralph Kirkpatrick afferma che la corrispondenza di Farinelli è la fonte della “maggior parte delle informazioni di prima mano su Scarlatti giunte a noi”.
Rispettato da chiunque, sommerso di doni, adulato sia dai diplomatici avversi alla Francia, sia da quelli francesi che avrebbero voluto vedere la Spagna firmare il Patto di famiglia, conservò questa posizione di rilievo fino all’avvento di Carlo III, il quale, probabilmente a causa dell’eccessiva influenza del cantante, lo allontanò nel 1759.
Il ritiro e la morte
Farinelli si ritirò allora a Bologna, e morì nella sontuosa villa che aveva fatto costruire in vista del suo ritiro (fuori Porta Lame, oggi distrutta). Malgrado le numerose visite che vi ricevette (tra cui quelle di Wolfgang Amadeus Mozart, allora adolescente, e di Giuseppe II d’Austria), Farinelli soffrì fino alla morte di solitudine e di malinconia.
Si spense il 15 luglio 1782, qualche mese dopo il suo amico Metastasio, lasciando una collezione d’arte e di strumenti musicali sfortunatamente dispersa dai suoi eredi, tra cui un violino di Antonio Stradivari. Di lui resta qualche bel ritratto dipinto da Jacopo Amigoni e del molfettese Corrado Giaquinto, e le lettere ai suoi amici.
Malgrado la leggenda, resta un personaggio relativamente misterioso. Agli amici che lo pregavano di redigere le sue memorie, aveva risposto: «Mi basta che si sappia che non ho avuto pregiudizi su nessuno. Che si aggiunga anche il mio dispiacere di non aver potuto fare tutto il bene che mi sarei augurato.» Farinelli fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini sul Monte Calvario (dove è oggi Villa Revedin), presso San Michele in Bosco, come da suo testamento a Bologna.