La città di Lecce deve molto alla figura di Ferrante Loffredo, marchese di Trevico.
Di Giorgio Mantovano
Nell’aprile del 1542 venne nominato Governatore delle province di Terra d’Otranto e di Bari, per la provata lealtà verso l’imperatore Carlo V e la piena fiducia del viceré Pedro de Toledo.
Gli fu affidato il difficile compito di ammodernare ed abbellire le città e rafforzare le difese del territorio costiero dalle frequenti incursioni saracene.
A Lecce, che aveva trovata raccolta nei quattro pittagi di Rusce, S. Biagio, S. Giusto e S. Martino, diede l’aspetto di una munita piazzaforte militare.
Elevò in onore di Carlo V il maestoso arco trionfale (l’attuale Porta Napoli) e rinnovò, tra l’altro, la residenza dell’udienza che, fino al 1584, ebbe giurisdizione sulle Terre di Bari e di Otranto.
Il suo governo durò quasi tre lustri.
Promosse e favorì in ogni modo la vocazione signorile e culturale di Lecce, conferendole importanza strategica, circondandosi di aristocratici, letterati e giureconsulti di chiara fama.
Fu quella la stagione in cui la città, sviluppando il retaggio culturale di frate Roberto Caracciolo, di Scipione Ammirato che aveva fondato l’Accademia dei Trasformati, e di Antonio De Ferraris, detto il Galateo, trovò in Gabriele Riccardi il caposcuola di un eclettico gusto ornamentale che è alla radice del Barocco salentino.
Ormai integrata nel mondo asburgico di Carlo V, Lecce conobbe, in quel Cinquecento, una condizione di tale importanza sociale e culturale da rivendicare, nell’ “Apologia Paradossica della città di Lecce”, opera di Iacopo Antonio Ferrari, la precedenza nei Parlamenti generali del Regno rispetto alle altre città meridionali.