La catena di Sigismondo Castromediano
di Giorgio Mantovano
All’esito della sentenza di condanna a trent’anni di ferri, Sigismondo Castromediano, una volta giunto in carcere, subì, come tutti i prigionieri, l’adattatamento al piede di una pesante catena.
Ecco la descrizione fatta dal Castromediano:
” ….vedemmo altri aguzzini riparati sotto a una tettoia, maneggianti attrezzi di ferro spaventosissimi, davanti ad un’incudine: ci imposero di sedere a terra e porgere e poggiare sull’incudine uno dei nostri piedi, già denudato di scarpa e di calza. Uno di essi allora, impadronitosi del mio piede, lo ricinse di un semicerchio di ferro ben prolungato, specie di staffa o maniglia, come lo chiamavano, negli occhielli della quale conficco’ un grosso pernio, a cui affidò la catena, saldando in uno quel martirio, da non sciogliersi più mai: era nel martello che eseguiva l’opera sua. E dava e ridava, e quei colpi a rintronare per l’aere e più fatali nel mio cuore, nelle fibre, nel sangue, nel cervello: or che vi penso li risento ancora”.
La catena, lunga oltre tre metri e mezzo, superava i quindici chili. Veniva adattata al piede anche di un altro prigioniero, sicché le vittime erano costrette a convivere, vincolate inesorabilmente dagli stessi ceppi.
Nelle sue celebri Memorie scrisse : “Dal primo metter piede nelle carceri di Lecce nacque in me l’idea di scrivere queste memorie, e fin d’allora promisi, colà, ai miei compagni d’essere lo storico dei loro dolori. Promisi lo stesso agli altri che incontrai nelle galere borboniche del Napoletano, e più determinatamente ai miei compagni di catena in Montefusco e in Montesarchio, con i quali stetti a soffrire assai più lungo tempo”.