IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La calza sul caminetto, un’antica magia

In attesa della Befana

In attesa della Befana

di Anna Maria Nuzzo

Immagine dal web

Anche se oggi mio figlio è grande, continuo lo stesso a preparargli la calza della befana che ogni mattina del 6 gennaio, al suo risveglio, trova appesa vicino al caminetto, piena di dolcetti di vario tipo. È una vecchia usanza che mi piace mantenere viva, forse perché è una tradizione alla quale la mia famiglia era molto legata e che quindi mi ricorda quel periodo della mia infanzia, coi suoi racconti e i suoi affetti.

Sono la seconda di cinque figli e ricordo che in casa mia la sera del 5 gennaio c’era fretta nel mandare tutti noi bambini a letto con le solite raccomandazioni: la befana va a trovare solo i bambini che dormono. Così ci infilavamo i pigiami, appendevamo ognuno la sua calza al caminetto e ci infilavamo sotto le coperte in attesa che arrivasse il sonno.

La magia di quella notte la si percepiva in ogni più piccolo suono proveniente dalla casa, in ogni impercettibile movimento, in quei giochi di ombre che si animavano sui muri e in tutto ciò che rendeva quegli istanti magici e misteriosi.

Ma ci fu una volta in cui ebbi la certezza di una presenza strana nella stanza, e fu allora che dovetti dire addio alla mia infanzia. La paura e l’emozione che provai in quel momento erano troppo forti; mi chiedevo se quella figura fosse veramente la vecchietta con la scopa. Così pian piano aprii gli occhi e vidi un’ombra che posava dei doni accanto al letto. La riconobbi subito: era mio padre.

In quel momento capii che non avrei più sentito la magia che l’attesa di quella notte mi trasmetteva, che non mi sarei più posta tante domande e che non sarei più stata una bambina.

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I tempi cambiano ma la befana resta una figura molto antica. Oggi la festa più attesa è sicuramente quella del 25 dicembre, ma l’Epifania resta sempre avvolta in un velo di mistero e magia.

Nell’antica Roma la befana non era una misteriosa vecchietta vestita di stracci che se ne andava in giro volando su una scopa; allora si credeva che fossero le fate a volare sui campi, guidate dalla dea lunare Diana, per propiziare i raccolti – gesto di buon auspicio nel periodo invernale.

Poi arrivò il cristianesimo che stravolse tutte le credenze pagane di allora ma che non riuscì a cancellare questa festività e tutti i suoi riti. Così, non potendo far molto, si appropriò di questa tradizione rendendola ammissibile al proprio credo. Da allora il 6 gennaio è il giorno in cui si celebra l’Epifania, parola che deriva dal greco e significa “venuta, manifestazione”. In questa data si ricorda l’episodio evangelico della visita dei re Magi a Gesù Bambino.

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Secondo un’antica leggenda, nel loro viaggio verso Betlemme, i re Magi si persero e non riuscendo a trovare la giusta direzione chiesero indicazioni a una vecchietta che gli si fece incontro lungo il cammino. Questa indicò loro la strada. I re Magi la invitarono a unirsi a loro per andare ad adorare la nascita del messia, ma la donna rifiutò. Subito dopo si pentì di non aver seguito quei tre uomini provenienti da Oriente, così preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli ma senza successo. La vecchia non riuscì mai a trovare né i tre magi né il bambino, e da allora vaga per il mondo, distribuendo dolci nella speranza di essere perdonata.

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Questa tradizione di appendere delle calze è molto antica e di essa si ignorano origine e motivo. Si dice che persino Numa Pompilio, uno dei famosi sette re di Roma, aveva l’abitudine di appendere una calza nei pressi di una grotta – della cui posizione era a conoscenza solo lui – perché una ninfa che lo proteggeva gliela riempisse, non certo di doni e dolcetti, ma di buoni consigli.

La mia calza invece era piena di mandarini, fichi secchi, noci, arance e a volte, quando si era fortunati, di caramelle. Oggi invece siamo soliti riempire le nostre calze di dolci di ogni tipo e marca. E così, anche se i tempi cambiano, continuo a mantenere viva questa tradizione per riassaporare la magia di un tempo.

“La befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte.

Viene e bussa alla tua porta

Sai tu dirmi che ti porta?”

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