Jin, Jiyan, Azadî, donna, vita, libertà, breve storia delle donne iraniane
Elena Tempestini
Lo slogan delle donne iraniane sta assumendo voce globale, direttamente collegata alla lotta di tutti, uomini compresi.
Una generazione che ignora la storia non ha un passato, ma nemmeno un futuro. Cicerone diceva che “non sapere che cosa sia accaduto nei tempi passati, sarebbe come restare per sempre un bambino. Se non si fa uso delle opere delle età passata, il mondo rimarrà sempre nell’infanzia della conoscenza”.
Per comprendere cosa stia succedendo in Iran, come siano iniziate le proteste, e per comprendere l’importanza delle differenze tra le precedenti rivoluzioni e quella che si sta formando oggi, dovremmo comprendere che il fallimento che fece fuggire lo Scia’ dall’Iran nel 1979 fu veramente un caso più unico che raro.
Un regime che crolla per eccesso di denaro investito male, per eccesso di velocità nel voler occidentalizzare il paese. L’immensa liquidità monetaria, generata dalla gestione petrolifera, anzichè modernizzare il paese, provocò una inflazione galoppante, alimentò la corruzione e dette il via alla rivolta popolare.
Il bianco e il nero, un passato che sa di leggenda, e che invece è reale, è ben radicato nella storia contemporanea. La monarchia di Mohammad Reza Pahlavi, è sinonimo di potere moderno e di opulenza all’estero, di dispotismo e assolutismo in patria. Luci e ombre di un regno pieno di contrasti sono stati la causa scatenante della rivoluzione islamica.
Sono i decenni della seconda metà del XX^ secolo e la condizione della donna durante questo periodo storico ha avviato i grandi mutamenti anche nel costume che si sono succeduti nel corso del tempo. Mutamenti che non hanno sempre avuto a cuore la popolazione e il loro benessere. Ancora oggi Afghanistan e Iran sono gli unici due paesi al mondo dove l’utilizzo dello hijab, il velo, è obbligatorio e imposto per legge. Le donne possono svolgere diverse mansioni e lavori, a patto che coprano le braccia e le gambe con abiti adeguati. Hanno dei “diritti” ma sicurante non quelli che erano auspicati e in parte raggiunti nel periodo monarchico. Quei diritti furono aboliti o ridotti secondo la legge islamica del 1979.
La dinastia Pahlavī regnò sulla Persia, divenuta Iran, dal 1925, anno della deposizione dell’ultimo sovrano della dinastia Qajar. Nel 1979 dopo la Rivoluzione bianca interna al paese, l’ultimo scià Pahlavi, Mohammad Reza, fu deposto, mettendo fine alla millenaria tradizione monarchica del Paese e proclamando la Repubblica Islamica con a capo Khomeini.
Purtroppo ciò successe perché lo Scia’ voleva assolutamente trasformare l’Iran nella potenza principale del Medio Oriente. Le sue riforme, sulla carta, erano estremamente moderne, ma la velocità di trasformazione e la non attuazione di alcune, accentuò il carattere nazionalista e autocratico del paese. Furono impegnate la maggior parte delle risorse economiche nella costruzione di un potente e modernissimo esercito e nell’autocelebrazione della monarchia. La sua politica di modernizzazione della società, alimentò una crescente ostilità del clero sciita, che fino a quel momento lo aveva sostenuto, come nel 1953 nella crisi che lo aveva contrapposto al Primo Ministro nazionalista Mohammad Mossadeq.
Nel 1951 Mohammad Mossadeq, quando divenne Primo Ministro, fu eletto dalla rivista “Time” uomo dell’anno: era riuscito a difendere il suo paese dall’Inghilterra davanti all’Onu. Infatti, appena nominato non perse tempo e mantenne le sue promesse, smantellando l’Anglo Iranian Oil Company, la prima compagnia petrolifera del Medio Oriente, costituita tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. La Gran Bretagna congelò i capitali iraniani che si trovavano in gran parte nelle banche inglesi, rafforzò la presenza militare nel Golfo Persico e attuò un blocco navale che impediva l’esportazione di petrolio, disponendo un embargo commerciale.
Nell’impossibilità di esportare il suo petrolio, l’economia iraniana arrivò al collasso, mentre a Mossadeq, che avrebbe voluto trasformare il paese in una monarchia costituzionale, furono concessi dal Parlamento poteri straordinari per limitare l’influenza dello Scià. Per prima cosa diminuì’ il Budget della Corte e delle forze armate, la quale azione servì per finanziare la sanità, vietò allo Scia’ di mantenere contatti con i capi di governi esteri, attribuendo l’incarico al ministero degli Esteri, fece approvare una riforma agraria che tendeva a un minimo di ridistribuzione dei raccolti (nelle campagne vigeva ancora un sistema feudale) e impose una riforma fiscale: l’Iran era un paese in cui i ricchi e i potenti fino ad allora non pagavano tasse.
Ma il Regno Unito puntava a rafforzare il potere personale di Mohammad Reza Pahlavi, che nel periodo tra il 1951 e il 1953 si trovava a Roma in esilio. L’idea era di recuperare il controllo sugli antichi e redditizi giacimenti petroliferi dell’Iran. Gli Stati Uniti invece temevano che la crisi economica e politica dell’Iran potesse aprire la porta alla penetrazione sovietica in Medio Oriente in piena guerra con la Corea. D’altronde fin dal 1892 il diplomatico britannico George Curzon, aveva paragonato la Persia e i paesi confinanti a «caselle di una scacchiera su cui si gioca il destino del mondo», in quanto nel mezzo a due Imperi in espansione: quello britannico e quello Russo, che praticavano quello che fu chiamato il Grande Giuoco.
Tornando agli anni cinquanta, con l’Operazione Ajax, fu esiliato Mossadeq e ripristinata la Monarchia Pahlavi.
Dal 1942, il figlio dello Scia’ Reza Pahlavi, Mohammad Reza Pahlavi, aveva proseguito la politica di modernizzazione del padre, ampliando i benefici riguardanti le donne e adottando una serie di provvedimenti che favorirono la condizione femminile dell’epoca. Fu con la “rivoluzione bianca”, che le donne iraniane, oppresse per tanti secoli dalla sharīʿa islamica, acquisirono, nel 1963, il diritto di voto sia attivo che passivo. Nel 1968 Farrokhroo Parsa divenne la prima donna ministro nella storia dell’Iran, fino al 1971; fu giustiziata, a 58 anni, l’8 maggio 1980, dopo l’avvento del khomeinismo.
Mahnaz Afkhami è stata la seconda donna ministro in Iran, come ministro senza portafoglio per le donne e gli affari femminili dal 1975 al 1978. Mahnaz Afkhami è fondatrice, presidente e amministratore delegato di Women’s Learning. E’ stata una delle principali sostenitrici dei diritti delle donne per più di quattro decenni, avendo fondato e servito come direttore e presidente diverse organizzazioni internazionali non governative che si concentrano sul progresso dello status delle donne. Afkhami fa anche parte di comitati consultivi e comitati direttivi di una serie di organizzazioni nazionali e internazionali tra cui Freer/Sackler Galleries dello Smithsonian Institution, Foundation for Iranian Studies, The Global Fund for Women, Women’s Learning Partnership, Women’s Rights Division of Human Rights Watch, e il Movimento Mondiale per la Democrazia. Oggi vive in esilio in America.
Nel 1970 la 35enne Dabir Azam Hosna diventa la prima donna sindaco in Iran, nella città di Babolsar, anche se fu presto costretta a dimettersi dopo una decisione presa da un consiglio di soli uomini. Nel 1973 l’età legale per contrarre matrimonio venne innalzata a 18 anni per le donne, dai 15 anni stabiliti nel 1931. Nel 1977, due anni prima della Rivoluzione, venne regolamentato l’aborto su richiesta con una legge, che venne abrogata nel 1979. L’aborto era “legalizzato” con il consenso del marito. Le donne single potevano ottenerlo su richiesta senza condizioni speciali.
Molte furono però le donne che si ribellarono alla velocissima occidentalizzazione. In segno di protesta cambiarono il modo di abbigliarsi alla occidentale ed indossarono un mantello nero lungo e largo che copriva tutto il corpo, avvolgendo poi la testa in un grande foulard. Quando esplose la rivolta di popolo, ispirata dall’ayatollah Ruhollah Khomeyni, le donne di tutte le estrazione sociali, scesero nelle strade, nelle piazze e sfilarono opponendosi al regime dello Scià, utilizzando il chador come metafora della ribellione. Il nascente regime islamico, colse l’opportunità e ne fece il simbolo di legittimizzazione del proprio potere.
Dopo il Referendum che si tenne tra il 30 e il 31 marzo 1979, riguardante la decisione di scegliere tra Monarchia e Repubblica, e dopo la conferma del 99% degli aventi voto di scegliere la seconda, il primo di aprile venne proclamata la Repubblica Islamica.
Ci vorranno decennio, ma nel 2009, a Marzieh Vahid Dastjerdi fu permesso di divenire la prima donna ministro durante la Repubblica Islamica. Nel 2017, il Presidente dell’Iran, Hassan Rouhani ha nominato tre donne vice presidenti. Tra queste, Masoumeh Ebtekar per la terza volta consecutiva dal 2013. L’incarico è terminato nel 2021. Nel settembre di questo 2022, una ragazza di 22 anni, Masha Amini, originaria del Kurdistan iraniano in vacanza con la famiglia a Teheran, è morta dopo diversi giorni di coma, dopo essere stata picchiata a sangue da parte della polizia religiosa a causa del velo indossato in maniera scorretta qualche giorno prima. Nell’indignazione mondiale, la polizia ha cercato di far passare la morte per un arresto cardiaco, migliaia di donne hanno deciso di protestare e di togliersi il velo in segno di protesta. Il 3 dicembre 2022 il procuratore generale iraniano, Mohammad Jafar Montazeri, ha annunciato che i legislatori iraniani sono al lavoro per rivedere, entro due settimane, anche la legge sugli obblighi in materia di abbigliamento. La rivolta è supportata da tutti gli iraniani, anche uomini, uniti nel concetto di libertà e supportati dalle università. L’Iran ha una situazione diversa dagli altri paesi del Medio Oriente, e non si configura interamente nell’immaginario occidentale dell’oriente arabo e musulmano. I cambiamenti stanno avvenendo molto rapidamente e mentre le tensioni aumentano, gli iraniani stanno cercando di spingere la “comunità internazionale” ad agire in modo più responsabile al di fuori dei giochi politici. Il Canada ha esteso le sue sanzioni contro il regime, e la Germania ha chiesto all’Unione Europea di adottare più sanzioni in solidarietà con gli iraniani.
Le donne afghane in una spettacolare dimostrazione di coraggio, sono scese nelle strade di Kabul per sostenere il popolo iraniano. Questa azione potrebbe portare all’abbandono delle speculazioni politiche, forse ci potrà essere un futuro migliore nella regione, ma questo può avvenire solo se una forte unità di intenti per la tutela dei diritti umani.
C’è da augurarsi che le parole scritte nell’atrio dell’Onu a New York, riprese proprio dal poeta persiano del 1200 Saādi di Shiraz possano essere sempre presenti prima di ogni deliberazione e cioè che: “Tutti i figli di Adamo formano un solo corpo, sono della stessa essenza. Quando il tempo affligge con il dolore una parte del corpo anche le altre parti soffrono. Se tu non senti la pena degli altri, non meriti di essere chiamato uomo”. Adamo non è un nome proprio di persona, ma un nome collettivo che significa «Umanità, Genere Umano», senza aggettivi perché non è occidentale né orientale, ma solo universale.