Isabella Castriota, tra le prime intellettuali donna del ‘700 salentino
di Anna Maria Nuzzo
Spesso camminando per le vie di una città, ci si ferma davanti ai cartelli che ne indicano il nome e spesso queste vie sono dedicate a persone o personalità di cui non sempre se ne conosce l’identità. Nomi che spesso scompaiono o vengono dimenticati. È allora che scatta il desiderio di saperne di più sulla loro vita.
Attraversando il centro storico di Lecce, il mio sguardo è stato catturato proprio da uno di questi cartelli, quello “via Isabella Castriota” e mi sono chiesta chi fosse questa donna: una nobile, una scienziata, una letterata? Di quale zona dell’Italia, forse il nostro Salento?
Così ho iniziato a documentarmi e ho scoperto che questa donna era sì salentina ed ebbe una triste sorte che la perseguitò per tutta la sua breve vita.
Unica sopravvissuta a un parto gemellare – 1 settembre 1704 – dove morì anche la madre Irene Pieve- Sauli, lasciando la neonata come sua unica erede. Il padre, Alessandro Castriota Scanderberg, si risposò dopo meno di due anni. Cresciuta senza l’affetto della madre, sotto l’indifferenza paterna, l’ostilità della matrigna e l’incomprensione del parentado, nel 1715 entrò nel convento di S. Chiara a Gallipoli per volere dello zio materno Gianbattista Pieve-Sauli, ricco e senza figli, il quale promise di prendersi cura di lei e di provvedere personalmente alla sua sistemazione matrimoniale.
A sedici anni fu data in sposa con l’inganno e senza alcun consenso al sessantenne don Filippo Guarini, barone di Tuglie. La sera dell’11 dicembre 1720 usciva dal convento e dopo solo due ore, senza neanche rendersene conto, ingenua com’era, si ritrovò sposata. Le nozze furono celebrate a Gallipoli nella casa dello zio allora sindaco del paese.
Dai sedici ai ventitré anni rimase accanto ad un marito vecchio, malato e geloso a fare da infermiera più che da moglie. Scrisse al padre, allo zio e alle monache di S. Chiara implorando di essere liberata da quella situazione ma l’unica risposta che ricevette le ricordava quale fosse il dovere impostole dal vincolo matrimoniale. Il suo unico conforto fu la poesia.
Dopo sette anni di sacrifici chiese al marito una separazione promettendogli di entrare, come egli volle e come ella fece, nel conservatorio S. Anna di Lecce, dove le nobili donne vivevano in ritiro. Il conservatorio fu fondato nel 1686 per uno scopo altamente umanitario: non era un convento ma un palazzo signorile, un luogo di ritiro e di pace dove le fanciulle sventurate e sottostanti alla tirannia paterna venivano accolte senza ricorrere ai voti monastici e senza perciò rinunciare alla gioia di vivere.
Tornata a Lecce, Isabella trovò la città, che da fanciulla aveva lasciato nel benessere, in preda alla desolazione e alla miseria. Le malattie e la denutrizione causavano molte morti.
Ella si ritirò per alcuni anni nel conservatorio, dedicandosi allo studio dei classici e della poesia, in un ambiente pieno di pregiudizi e chiuso all’emancipazione femminile. A ventotto anni, col permesso del marito ormai ottantenne e molto malato, entrò nella vita della città e iniziò a far parte di un cenacolo di letterati, “L’Accademia degli Spioni”.
Una giovane e bella baronessa, separata dal marito, che si occupasse di poesia in determinati circoli culturali, destò grande scandalo nella Lecce del ‘700. Scandalo che dilagò e mosse altre nobildonne a seguire il suo esempio. Fu in quel cenacolo che incontrò il primo e ultimo amore della sua vita, Pietro Belli. Filosofo e poeta non più giovane, che Isabella aveva già incontrato da piccola nella casa paterna, il quale dopo aver tanto peregrinato, sperperando gran parte dei suoi averi, era tornato a Lecce.
Per otto anni però tra i due ci fu solo un amore platonico che terminò con la morte dell’anziano marito di Isabella. Liberata dal vincolo matrimoniale, Isabella si risposò con Pietro Belli il 22 giugno 1741. Insieme al nuovo marito partecipò sempre di più alla vita culturale leccese, contribuendo con i propri componimenti poetici, i quali purtroppo sono andati per la maggior parte perduti nel corso del tempo. Sono giunti a noi solo alcuni sonetti, conservati in alcune raccolte.
Da questo matrimonio nacquero due figlie, Raimondina e Caterina. Purtroppo la vita coniugale non mise fine alla mania spendereccia del Belli che rischiò anche il carcere per debiti: gli fu evitato grazie a Isabella che decise di vendere tutti i gioielli. Fu un dissipatore delle proprie sostanze e di quelle della moglie. Tutte queste avversità unite alla delusione arrecatele dall’apertura del testamento dello zio Pieve-Sauli, che aveva preferito fare suo erede un altro nipote, fiaccarono la salute di Isabella che si spense il 4 marzo del 1749 nel palazzo Belli in Lecce all’età di quarantaquattro anni.
Fu seppellita nella “chiesa dei Padri di Alcantara fuori le mura”, oggi intitolata a “San Giacomo al Parco”
Quella di Isabella fu una vita tormentata e la sua figura fu tra le poche femminili che spiccarono per doti letterarie e intellettuali nella Lecce del ‘700. Di lei oggi rimane solo il nome inciso sul muro di una via dedicatogli e il bellissimo palazzo Belli dove visse il suo amore. Invece il palazzo Castriota dove trascorse la sua triste infanzia è andato perduto.
Il racconto della sua vita è stato narrato nel 1941 da Nicola De Simone-Paladini in “Due Poeti nel travagliato ‘700 salentino” e nel 2017 da un’autrice salentina, Rossella Barletta, in “Isabella Castriota Scanderberg”.
Bibliografia: C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi antichi, moderni, e contemporanei (rist. anast. 1904-20), Forni, Itali