IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Invito a leggere Marguerite  Yourcenar ( 1903-1987 )

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di Vincenzo Fiaschitello

Marguerite  Yourcenar

                   

Ho personalmente sperimentato che è impossibile non innamorarsi della scrittura di Marguerite Yourcenar. Sin dai primi approcci ho ammirato la sua stupefacente prosa ricca di filosofia e di poesia e la sua lucidità di pensiero.

Probabilmente condizionato da questa mia simpatia e inclinazione culturale nei riguardi della brillante scrittrice di lingua francese, ricordo di essere rimasto particolarmente perplesso e smarrito nel corso della trasmissione televisiva del 16/1/2018 di Passato e Presente, condotta dal bravissimo Paolo Mieli sull’imperatore Adriano.

Lo storico Luciano Canfora, suo ospite, dopo aver magistralmente illustrato il ritratto dell’imperatore Adriano, ha espresso le sue riserve sul capolavoro della Yourcenar, “Memorie di Adriano”, pubblicato in Italia nel 1953, tradotto in 35 lingue e diffuso in tutto il mondo.

Il libro ne è uscito alquanto malconcio perché Canfora sottolineava che la scrittrice, nella ricostruzione storica del personaggio, era incappata in vari errori storici e soprattutto lamentava uno scostamento rilevante tra la personalità di Adriano descritta nel romanzo, un po’ troppo benevola e compiacente, e la personalità reale, piuttosto crudele, così come emerge dai fatti storici accertati, uno fra tutti, lo sterminio di 500 mila ebrei per domare la loro rivolta a Gerusalemme.

Riteneva che particolari meriti fossero da attribuire alla traduttrice Livia Storoni Mazzolani e considerava una “cosuccia” di scarso valore, ridicola, la poesiola latina di Adriano posta in esergo al romanzo.

Tutto sommato, secondo Canfora, il libro della Yourcenar aveva avuto una indebita fortuna e non era meritevole della fama straordinaria di cui godeva.

Paolo Mieli, prendendo atto del giudizio così severo di Canfora e sottolineando la bella “frustata” inflitta alla Yourcenar, concludeva dicendo che ci aspettiamo che l’illustre storico possa offrire al pubblico quanto prima un accurato e aggiornato saggio sulla figura dell’imperatore Adriano.

Ecco, il punto della questione sta proprio qui.

Non c’è dubbio che il libro Memorie di Adriano, ormai un classico della letteratura mondiale, sia stato danneggiato dal fatto che gli è stata appiccicata l’etichetta di romanzo storico, soprattutto dai nostri storici di professione. Tale etichetta, sin dall’uscita, è stata sempre respinta dalla scrittrice. Ciò non toglie che la Yourcenar nel costruire il suo personaggio abbia fatto ricorso a fonti autorevoli come

 l’Historia Augusta (raccolta di biografie di imperatori e usurpatori romani da Adriano a Numeriano), a una immensa ricerca d’archivio e a una infinità di dati ricavati dall’architettura, dalle statue, dalla numismatica, dalle visite ai musei.

Lei stessa ci informa che giovane ventenne visitò per la prima volta Villa Adriana a Tivoli e fu presa da un fascino irresistibile, tanto che da allora cominciò ad annotare sui suoi taccuini le idee che veniva elaborando attorno a quella figura di imperatore, le sensazioni provate alla vista di quei ruderi così imponenti, che volevano eguagliare l’eccezionale architettura greca di cui l’imperatore si era innamorato nei suoi continui viaggi in oriente.

Altre visite seguirono in tempi diversi, tutte finalizzate alla raccolta di notizie e impressioni utili alla stesura del romanzo. Le prime idee e i primi tentativi, sottoforma di diario dell’imperatore, risalgono, dunque a oltre vent’anni prima della stesura definitiva, in seguito immaginata come una lunghissima lettera indirizzata a Marco (il futuro imperatore Marc’Aurelio, da lui adottato), una sorta di testamento spirituale, dove Adriano, ormai vecchio e malato, sentendo avvicinarsi la morte, rievoca gli eventi principali della sua vita e cerca di dare un senso a tutta la sua attività riformatrice: militare, politica, amministrativa, culturale. Parla di se stesso con sincerità, mostrandosi quasi come il simbolo della condizione dell’uomo sulla terra che agisce con dignità e debolezza.

Il romanzo ebbe una non comune gestazione. Tutti gli appunti, alcune parti già completate, erano rimaste in un baule lasciato in un albergo svizzero prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. La Yourcenar era emigrata negli Stati Uniti, quando dopo la fine della guerra nel 1947, si vide inaspettatamente recapitare il baule pieno di libri e di quegli appunti sull’imperatore Adriano. Con il ritorno dell’antico entusiasmo, riprese il lavoro e completò brillantemente il romanzo, che venne pubblicato in Francia nel 1951.

Tornando alla “frustata” inflitta alla Yourcenar da parte dello storico Luciano Canfora, possiamo sicuramente affermare che la coltissima scrittrice francese (conosceva il latino, il greco, l’inglese e l’italiano) ha avuto un lungo periodo di tempo per approfondire le sue ricerche, per meditare, per far decantare il tutto in una forma letteraria geniale, riconosciuta dagli innumerevoli lettori di tutti i paesi del mondo. E se “errori storici” sono riscontrabili nella sua opera (alcuni addirittura di così scarsa rilevanza da sembrare ridicoli, come per esempio quando la Yourcenar, accennando all’atto di impilare dei sesterzi da parte di un personaggio del romanzo, lo storico belga Henri Grégoire fa osservare che ciò è impossibile per via dei rilievi che le monete presentavano), non c’è da meravigliarsi dal momento che l’intenzione della Yourcenar è quella non di offrire un saggio storico, ma un’opera letteraria. E qui non è male ricordare quel che diceva Pindaro sui poeti e cioè che è loro consuetudine trasformare ciò che è stato in ciò che sarebbe dovuto essere.

Partiamo da un dato fondamentale: lo scrittore di racconti, di romanzi, non si pone dinanzi ai fatti, agli eventi, come fa lo storico che ricerca le fonti, che rigorosamente le analizza, confronta, sceglie per accertarne la verità, ma li guarda, li scruta alla luce della sua immaginazione creativa e alla risonanza emotiva che quei fatti gli suscitano nell’anima. Così l’Adriano della Yourcenar è l’imperatore Adriano, ma nello stesso tempo non lo è.

Mi sembra più giusto “assolvere” la Yourcenar che ha prestato al suo personaggio Adriano, sue emozioni, suoi pensieri, al punto di trasfigurarlo e non certo uno storico che magari per motivi ideologici o semplicemente per simpatia o antipatia verso il personaggio o per superficialità, mette in ombra consapevolmente certi aspetti della personalità o certi eventi per favorirlo o danneggiarlo. Nel caso in questione, per esempio, un ottimo storico francese come Yves Roman (Adriano, Roma, Salerno editrice, 2011) liquida in tre pagine la vicenda della strage degli ebrei di Gerusalemme per opera di Adriano.

E’ bene tra l’altro precisare che è inimmaginabile una “realtà oggettiva”, nel senso che ogni fatto, ogni accadimento, vive e parla solo se “interpretato”, cioè se illuminato dalla luce della intelligenza critica dello storico o dalla immaginazione creativa dello scrittore.

Quanto alla poesiola di Adriano posta in esergo al romanzo (Animula vagula blandula/ hospes comesque corporis, quae nunc abibis in loca/ pallidula, rigida, nudula/ nec, ut soles, dabis iocos… Piccola anima smarrita e soave/, compagna e ospite del corpo/, ora t’appresti a scendere in luoghi/ incolori, ardui e spogli/, ove non avrai più gli svaghi consueti… Trad. di Livia Storoni Mazzolani ), è certamente opera di un dilettante, ma ha una notevole importanza averla segnalata per due motivi: il primo perché rispecchia quello spirito di rinnovamento proprio del movimento dei cosiddetti poetae novi, così chiamati per disprezzo da Cicerone; il secondo perché la Yourcenar riconobbe in quei versi la psicologia di Adriano, personaggio informe e contraddittorio, problematico, crudele, quando doma la rivolta degli ebrei a Gerusalemme, sicuro di sé quando costruisce il famoso Vallo che faceva parte del limes romano nell’isola britannica, un personaggio che si scioglie nell’universo con la sua piccola anima smarrita e soave.

In una intervista radiofonica degli anni ’70, la Yourcenar diceva che paradossalmente “ogni romanzo è un romanzo storico, per la semplice ragione che ogni romanzo si colloca nel passato, lontano o prossimo e che un evento situato a distanza di un anno o di sei mesi è tanto irrimediabilmente perduto, così difficile da recuperare, quanto lo sarebbe se accaduto dieci secoli fa” (in G. Poli: Invito alla lettura di M.Yourcenar, Milano, Mursia, 1990, p.76).

Il contenuto storico, oggetto del romanzo, recuperato dallo scrittore-poeta non è del tutto coincidente con la verità storica, poiché si colloca entro una operazione artistico-letteraria.

Walter Scott, il capostipite del romanzo storico nei primi anni dell’ottocento, dà origine a un genere ibrido (una parte di invenzione e una parte di realtà) che costituisce un ossimoro letterario.

Manzoni intreccia senza stridori le vicende di pura invenzione con i fatti storici accaduti nel milanese tra il 1628 e il 1630 (carestia, tumulto di S. Martino, guerra per la successione al ducato di Mantova, la discesa dei Lanzichenecchi, la peste del 1630). Stranamente poi il Manzoni nel 1845 pubblicò “Del romanzo storico” con il quale prese le distanze dal genere perché storicamente inattendibile, suscitando l’ironia del De Sanctis, il quale scrisse che l’autore dei Promessi Sposi fece come Cesare  che si chiude nel suo mantello e tace.

Lo stesso Massimo D’Azeglio con “Ettore Fieramosca” non si preoccupa di fare una ricostruzione storica per la famosa disfida di Barletta tra cavalieri francesi e cavalieri italiani e inventa una questione di coscienza nazionale offesa quando in realtà si trattava di semplice onore fra uomini d’arme.

E per giungere a esempi ancora più vicini a noi, è sufficiente ricordare Riccardo Bacchelli che ne “Il Mulino del Po” ricostruisce attraverso tre generazioni un secolo di storia fino alla prima guerra mondiale; oppure Giuseppe Tomasi di Lampedusa con il “Gattopardo”, che rievoca un momento storico particolare vissuto dalla Sicilia subito dopo l’Unità d’Italia. Gli esempi sono molteplici: “I Viceré” di Federico De Roberto, “La Storia” di Elsa Morante, i romanzi di Umberto Eco, ecc.

Non possiamo dire che leggiamo queste opere per documentarci sugli eventi storici. La verità letteraria non è la verità storica, è una verità altra. Se vogliamo conoscere il profilo storico del cardinale Borromeo, non possiamo fermarci al ritratto che delinea il Manzoni, ma dobbiamo ricorrere al lavoro degli storici e così per la situazione di Milano al tempo della presenza degli spagnoli, ma il rimprovero che il cardinale Borromeo fa al povero e timoroso parroco don Abbondio, il delizioso “adelande Pedro cum juicio” di Ferrer al suo cocchiere, durante il famoso episodio dell’assalto al forno da parte di una folla affamata e inferocita, sicuramente non li troveremo in nessun libro scritto da uno storico.

Questa è letteratura!

Per quanto detto sopra, credo che il capolavoro Memorie di Adrianopossa essere esentato da inappropriate e ingiustificate accuse di scarso rispetto per la verità storica in merito al personaggio di Adriano. La Yourcenar, folgorata a vent’anni dalla visita a Villa Adriana, non ha risparmiato tempo, né fatica, per una vastissima ricerca sulla figura dell’imperatore, se ne è innamorata, lo ha visto così prossimo alla sua personalità e non ha esitato a prestargli i suoi pensieri, i suoi atteggiamenti, le sue emozioni e a condividere in particolare l’amore per i viaggi, il fascino della Grecia, l’inclinazione per il pensiero filosofico e per l’arte, il legame sentimentale per le persone dello stesso sesso, il culto del passato.

Adriano, giunto al potere nel 117 d.c., ebbe il merito di riconoscere che l’impero non poteva estendersi ulteriormente, per cui dedicò tutti i suoi sforzi per mantenere la pace, per abbellire le città con la costruzione di innumerevoli opere pubbliche e militari, per proteggere filosofi e poeti, per amministrare sapientemente le vaste terre dell’impero.

La passione per il giovinetto Antinoo, un bellissimo ragazzo greco e asiatico, voluttuoso e malinconico, ebbe un posto centrale nella sua vita. Antinoo simboleggiò i suoi ideali. La sua morte, per suicidio o per attentato (è rimasto un giallo che non è stato ancora risolto), lasciò un vuoto incolmabile nell’animo dell’imperatore che volle “divinizzarlo” e imporre il suo culto per mezzo di statue e busti marmorei, molti dei quali si possono tuttora ammirare nei musei e in collezioni private.

Come Adriano, la Yourcenar viaggiò moltissimo, chiamata a tenere conferenze in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, e come lui si sentì straniera dappertutto (non si sta bene che altrove!), cosciente di non appartenere a nessun luogo e tuttavia senza mai sentirsi isolata, perché sempre vicina alla sua Itaca interiore.

E’ questa sua isola interiore che fa scaturire un fuoco che le detta una prosa singolarmente lirica. Nulla la lascia indifferente: sogni, pensieri, riflessioni, ricordi, immagini, si accumulano fino a dare sfogo e vita a un progetto letterario, a una scrittura irriducibile a una categoria o classificazione: storica, romanziera, filosofica, poesia della storia. Tutte le opere della Yourcenar si segnalano per una grazia classica dello stile, per una scrittura scoppiettante di metafore, di visioni poetiche, di analogie sorprendenti, di un continuo duellare tra l’astratto e il concreto.

La sua eccezionale e vastissima produzione letteraria va dalla poesia a i racconti, alle novelle, ai romanzi, ai saggi. Era una scrittrice capace di scrivere in qualsiasi luogo si trovasse, in treno, in aereo, sulla nave, in albergo, al bar, seduta su una panchina di un viale o di un giardino. A Sorrento, ospite dell’hotel Belle Sirene dal 9 maggio 1958, in tre settimane scrisse il romanzo Il colpo di grazia; a Capri dimorò per vari mesi presso una villetta chiamata la Casarella, dove recentemente è stata trovata traccia della sua permanenza: un contratto del 1938 a suo nome per la fornitura dell’energia elettrica.

Questa aristocratica signora dagli occhi azzurri veniva spesso nel nostro paese, amava la nostra lingua, contemplava le bellezze naturali e quelle artistiche delle nostre gallerie, con sguardo scrutatore, curioso, apparentemente freddo e distaccato, ma sempre pronta a una cortese attenzione verso tutti, severa e sincera senza sconti per nessuno come quando riferendosi a una delle tante visite a Villa Adriana scrive “bel luogo oggi profanato da restauri sconsiderati o da anonime statue da giardino raccolte qua e là…per non parlare di uno spaccio di bibite e di un parcheggio a due passi del grande muro che Piranesi ha raffigurato nei suoi disegni” (oggi lo spiazzo antistante l’ingresso alla Villa Adriana è intitolato alla grande scrittrice); o come quando intervistata da un giovane Giovanni Minoli dà un giudizio negativo sulla prosa di Umberto Eco, dichiarando che “Il nome della rosa” non le piace perché è superficiale.

Diceva di amare soprattutto le isole, che le suscitavano il sentimento di vivere alla frontiera tra l’universo e il mondo umano. E fu in un’isola americana Mount Desert Island, sul Maine, che sin dal 1939 la Yourcenar si ritirò con Grace Frick, la turista americana conosciuta in un bar a Parigi. Con lei visse per lunghi anni, legata da amicizia e affetto: condividendo l’interesse per i viaggi e la letteratura, la Frick fu  sua segretaria, traduttrice e collaboratrice.

In quell’isola imparò ad amare il silenzio della natura, i gridi degli uccelli notturni, la sirena dei piccoli mercantili che attraccavano al porto, gli animali. Fu lì che visse per decenni come contadina: amava paragonare “lo scrivere come fare il pane, la mano deve sentire quando l’impasto è solido”.

Ma quel tipo di vita, tuttavia, non le impedì di viaggiare e di tenere conferenze ovunque la chiamassero, persino in Africa, dove ebbe la disavventura di un serio incidente d’auto con conseguente ricovero in ospedale per diverse settimane.

Quello stesso sguardo indagatore e vivace, la Yourcenar lo rivolse anche e soprattutto al passato. Memorie di Adriano fa parte di una trilogia della memoria, accanto a Care memorie e Archivi del Nord.

Il suo era una sorta di culto della memoria. E’ certa che la vita è rivolta più al passato che al presente; questo è così breve, anche quando sembra pienamente vissuto. Chi ama la vita, ama il passato perché esso è il presente che sopravvive nella memoria umana. Anche se, tuttavia, questo non ci autorizza a considerare il passato come l’età dell’oro, perché allo stesso modo del presente è sereno e inquieto, splendido e atroce.

Questa discesa nel passato porta la Yourcenar a raccontare di sé ancor prima della sua nascita e significativamente sceglie dal buddismo come esergo a Care memorie

i versi: “Qual era il tuo volto/ prima che tuo padre/ e tua madre s’incontrassero?” (Koan Zen).

Racconta l’incontro casuale di suo padre Michel, vedovo da qualche mese, con una baronessa in una villa sulle dune di Odessa, la quale gli presenta una sua amica di 29 anni, Fernande, che morirà dando alla luce Marguerite, dopo un matrimonio durato appena un paio di anni.

E come se non bastasse, va ancora più indietro nel tempo narrando di suo nonno, il padre di Michel, che sfuggì alla morte, forse in quel che fu uno dei primi disastri ferroviari della storia. Fu l’unico giovane a salvarsi di una comitiva di amici che quel mattino avevano deciso di raggiungere Versailles, partendo da Parigi sul treno da pochi giorni inaugurato. A Marguerite resta impressa nella memoria l’immagine di “un ragazzo di vent’anni che si precipita a capofitto attraverso una breccia, cieco e sanguinante come il giorno della nascita, e che porta nei testicoli la sua progenie” (Archivi del Nord, Milano, Bompiani, 2000, p.1196).

Michel de Crayencour è un aristocratico francese, colto e con qualche ambizione letteraria; detesta la lingua fiamminga e sposa in seconde nozze la belga Fernande de Cartier de Marchienne, perché tra gli altri pregi parla il francese con accento corretto. Di lui così scrive Marguerite: “ Quest’uomo che vive di preferenza con le donne e per le donne ha poche amicizie maschili. Salvo qualche ecclesiastico, metà confidente e metà consigliere” ( Archivi, op. cit. p.1349).

Alla prematura morte di Fernande decide di tenere con sé la bambina con l’aiuto di una bambinaia e di istruirla privatamente, così che Marguerite non metterà mai piede in una scuola a contatto con altri della sua età.

Pur avendo fama di donnaiolo e di assiduo frequentatore di casinò, dove sperpera la gran parte delle sue proprietà ereditate dai ricchi genitori, educa in modo esemplare la figlia che manifesta precocemente il suo talento, cominciando a dar prova di una scrittura dallo stile magistrale, dal tono ammirevole, dalle brillanti riflessioni, dal gusto delle sfumature, dalla tecnica quasi tantrica che le consente, appunto, di trasferirsi col pensiero all’interno dei suoi personaggi, dalla magia di far rivivere i fatti a partire da documenti pietrificati.

Dopo le prime prove inizia la sua carriera letteraria con il romanzo Alexis o il trattato della lotta vana, che la Yourcenar lesse al padre sul letto di morte e pubblicò con la sua approvazione nel 1929. In questo, come in Anna soror e in altri, la Yourcenar tratta problemi sessuali come l’omosessualità e l’incesto, che all’epoca in cui scriveva facevano molto scalpore. L’amore, secondo la scrittrice, è una via di accesso a Dio: la tradizione cristiana è stata sempre ostile al piacere, difficile ricreare una atmosfera favorevole. Non si possono avere insieme la bellezza della notte e lo splendore del sole. Dio è una sola cosa: o la notte o il sole splendente.

Sono scritti interessanti Moneta del sogno, Il colpo di grazia, Un uomo oscuro e tanti saggi e testi che occupano un posto importante nella letteratura.

Ma il romanzo che di più si eleva sugli altri, a parte Memorie di Adriano, è un altro intenso capolavoro: L’opera al nero. E’ un romanzo storico ambientato nel 1500 a Bruges e ha come protagonista Zenone, figura di fantasia, alchimista, medico, filosofo, teologo, una sorta di Leonardo da Vinci e Tommaso Campanella.

Zenone nasce da una giovane fiamminga, Hilzonde, appartenente a una ricchissima famiglia che prestava denaro all’imperatore Carlo V. La giovane viene sedotta da un aitante rampollo di un’antica schiatta fiorentina, Alberico de’ Numi. Fallita la speranza di ottenere il vescovado di Nepi, il giovane Alberico, dopo un breve ritiro nell’abbazia di S.Nilo a Grottaferrata, si installò a Bruges e lì si diede agli affari e agli amori. Abbandonò Hilzonde e tornò a Roma con la speranza di aiutare il cugino Giovanni de’ Medici a farsi strada verso il soglio di S.Pietro. Divenuto cardinale a trent’anni, fu ucciso durante un’orgia in una vigna dei Farnese.

Il piccolo Zenone viene allevato da balie e istruito da precettori e da canonici che gli impartiscono lezioni di teologia, di filosofia, di scienze mediche, di alchimia. Scrive un trattato di filosofia imbottito di ateismo in un periodo molto pericoloso in cui Riforma e Controriforma si confrontano aspramente. Come vari altri personaggi è costretto a fuggire per non finire sul rogo. Costretto a cambiare identità, acquista fama come medico. Come tecnico costruisce un nuovo telaio. E’ una figura di visionario, un uomo che pensa idee per il futuro, sicché il racconto della Yourcenar più che descrivere il passato sembra che parli del presente.

L’avvento del nuovo rivoluzionario telaio, che provoca gravi disordini a causa della perdita del lavoro da parte delle masse di operai, ha una certa rassomiglianza con la robotica del nostro tempo. I mali del Cinquecento sono gli stessi mali di oggi: pregiudizi, ingiustizie, violenza, ignoranza, superstizioni. L’Europa di oggi sembra la stessa di allora, martoriata dalle guerre e dalle pestilenze.

Il filosofo Zenone viene a trovarsi in un ambiente saturo di pregiudizi, di lotte religiose, di accaniti contrasti tra gruppi umani con opposte visioni del mondo, sprofondati in abissi di barbarie che lo condurranno alla prigione e alla condanna a morte.

Ma anche noi oggi rischiamo molto. Siamo stati da sempre affascinati dal sogno di un progresso senza limiti, dalle conquiste tecniche, da una idea di sviluppo inarrestabile e mai avremmo pensato che si sarebbero ancora oggi lanciati missili distruttivi su città belle e ricche di storia e di arte. E questo perché non sappiamo rinunciare ai nostri mostruosi egoismi, ai dogmi di partito, di classe, di religione.

Marguerite Yourcenar si dichiarò sempre una donna libera, senza patria e senza religione, pur nutrendo amore e rispetto per molti paesi e per molte religioni, amore e rispetto per tutte le persone, colte o umili, per gli uomini e per le piante e per gli animali. Quando un giorno a Parigi qualche anno prima della sua morte un giornalista le domandò:” Quale personaggio vorrebbe conoscere in Francia?” la Yourcenar senza esitazione rispose: Brigitte Bardot!

Nel 1980 l’Académie Française accolse per la prima volta tra i suoi membri una donna: Marguerite Yourcenar.

***Nota bibliografica

La casa editrice Bompiani ha pubblicato quasi tutte le opere di Marguerite Yurcenar in due volumi:

Marguerite Yourcenar, Opere Romanzi e racconti, Milano, Bompiani, 2000 (pagine 1300 Vol.1°)

Marguerite Yourcenar, Opere Saggi e memorie, Milano, Bompiani, 2000 (pagine 1926 Vol.2°)


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