Invisibilità: comunicazione, angoscia e desiderio
di Cipriano Gentilino
NON VIVI IN UN MONDO TUTTO DA SOLO. CI SONO ANCHE I TUOI FRATELLI
(Albert Schweitzer)
ll tema della invisibilità̀ sociale può̀ essere letto in termini di comunicazione e, più̀ specificatamente, in termini di comunicazione sociale e quindi politica.
Col termine di comunicazione, infatti, intendiamo concettualmente uno scambio, un trasferimento, un mettere in comune una idea, una notizia, un sentimento o una emozione. Etimologicamente dal latino cum – munire (legare) – costruire – troviamo il significato tematico di rendere noto, trasferire una conoscenza.
Mentre col termine invisibile intendiamo ciò̀ che non si può̀ percepire con la vista per distanza e dimensione, con invisibile sociale si intende chi non viene visto nella corrente comunicazione mediatica se non in termini statistici e numerici.
L’universo della comunicazione ha moltissime sfaccettature linguistiche, filosofiche, sociologiche ma può̀, per chiarezza sintetica, essere riportato ad alcune categorie fondamentali.
In particolare alla comunicazione verbale, la para-verbale, la non-verbale rispettivamente con il contenuto linguistico, sintattico e semantico, il tono, il timbro di voce, il ritmo e il cosiddetto linguaggio del corpo.
La scuola di Palo Alto con Paul Watzlawick ha puntualizzato che è impossibile non comunicare e quindi che anche il silenzio, come ogni altro comportamento, è una forma di comunicazione che, con il non verbale, definisce il rapporto in una trama meta-comunicazionale attraverso i canali specifici del visivo, del cinestesico e dell’uditivo di ogni individuo e in ogni comunicazione.
Dentro questo contesto relazionale e contestuale la comunicazione persuasiva assume un aspetto di notevole presenza e importanza e, data la supremazia della multimedialità̀ e della virtualità̀, presenta modalità̀ comunicative sempre più tipiche della pubblicità̀ e del marketing. Modalità̀ e tecniche che hanno nell’apparire, nella fugacità̀ e nella semplicità il loro nucleo centrale che agisce in contemporanea sui tre canali comunicativi e influenza i processi decisionali individuali per emotività̀ piuttosto che per razionalità̀.
Questo comporta non solo la spinta motivazionale all’acquisto ma anche, purtroppo, alla deliberata non veridicità̀ della informazione.
Storicamente, per esempio, sia nella Germania nazista, dove venne istituito il Ministero per la Chiarezza Pubblica, che in Russia, con la Rivoluzione di Ottobre, la propaganda politica divenne massiccia con lo scopo machiavellico di disinformare e indirizzare la popolazione verso specifici obiettivi.
Nei due casi, citati, tra i tanti, ad esempio non solo non si rispetta la veridicità̀ a favore della manipolazione ma, data la mancanza di dibattito democratico, si tende a creare una dipendenza dal leader con quella dissociazione tra gli amici e i nemici e tra noi e gli altri, che favorisce la regressione critico-cognitiva e può trasformare il popolo in folla indistinta e questa nel corpo acritico della massa (riproducendo quell’assenza dell’io che Freud individuava come fase ipnotica).
D’altro canto, per tornare ai giorni nostri, la troppa presenza dei media e il loro uso, talora ipocritico, nella comunicazione politica porta a conseguenze non vantaggiose per i cittadini.
La forte personalizzazione dei partiti politici che prendono il nome del leader, la semplificazione a slogan dell’apparente ragionamento, la costante aggressività̀ comunicativa e la drammatizzazione impediscono ai cittadini, anche per distanza virtuale, una interazione diretta con il mondo politico.
Infine, lo stesso modo di fare e comunicare politica è cambiato con la quasi scomparsa di alcuni partiti, la personalizzazione delle leaderships e la tentazione sempre più presente di comunicazioni populistiche generiche e non risolutive che creano la paura per proporsi poi come rimedio.
Alla comunicazione di questa politica sfuggono gli invisibili e sfugge la realtà̀ se, come sosteneva John Lindsay, “in politica la percezione è realtà̀“.
Paolo Fraiese, in un famoso reportage della Rai di tanti anni fa, che lo aveva portato a vivere da vicino con persone invisibili, diceva:
“Non li guardiamo mai. Mai in faccia, mai negli occhi. Anche se ci fermiamo frettolosamente a depositare la monetina nella loro mano protesa lo facciamo abbassando il nostro sguardo, evitando il loro. È questo che li fa sentire invisibili e quindi insistenti perché́ noi non li vogliamo vedere né fare esistere”.
Questo è il punto. Non vedere la persona e farla sentire invisibile.
Fare l’elenco delle tipologie degli invisibili sarebbe come riportare dati ISTAT. Eppure, alcune situazioni emergono con la forza della rabbia per l’umanità̀ negata nonostante la vicinanza di quelle organizzazioni, spesso di volontariato, che se ne prendono cura. Il clochard coperto di cartoni che, nel freddo della notte, rifiuta il letto anche per una sola notte, non è necessariamente una persona con disturbi mentali paranoidei che potrebbero giustificare il rifiuto. Molto più concretamente può essere un separato sfrattato che ha perso il lavoro, già entrato nel circolo vizioso di cittadino senza dimora che ha perso la capacità di agire, muoversi, chiedere come cittadino. In una parola, di partecipare alla vita della comunità̀ o peggio ancora, di sentirsi degno di scampoli di umanità.
La donna vittima di tratta, violentata e abusata, che rifiuta percorsi di recupero per paura delle maledizioni ancestrali della mammana e che per vergogna non tornerà̀ mai più nella sua terra tra i suoi familiari non rifiuta l’aiuto, ha solo paura di morire. Ecco è in questi rifiuti che emerge il dolore e la necessità di umanità̀ concreta, di aiuto.
Spesso invece è più̀ facile un frenetico non vedere e non sempre per disumano disinteresse ma più spesso perché́ ci sentiamo noi stessi deboli o meglio non tanto forti da chinarci, guardare, chiedere e aiutare o solo scambiare due parole.
I bambini, nella loro spontanea umanità̀ senza preconcetti lo sanno fare meglio.
Sono in corso esperimenti di “assunzione“ di bambini nelle case di riposo.
Gli anziani si riappropriano del loro ruolo di nonni e i bambini giocando acquistano la capacità di gestire uno spazio di interazione reale.
La riappropriazione di uno spazio personale d’altro canto è un aspetto che riguarda gli adulti. A vedere meglio infatti l’invisibilità̀ può essere un bisogno che rientra tra i progetti di benessere individuale.
L’attuale organizzazione sociale con i suoi valori ma anche con i suoi miti cangianti ci co-stringe così tanto ad una presenza formale, e spesso solo virtuale, che rimanere discretamente invisibili può assumere il valore di un percorso controcorrente e per certi aspetti rivoluzionario rispetto agli assetti comuni.
È ovvio che l’invisibilità̀ non ha valore se è distanza o separazione permanente, ma solo se è esperienza episodica alternata alla visibilità̀.
Un modo per riscoprire il mondo, il nostro mondo contestuale e il nostro mondo interiore e senza troppe certezze, senza eccessivi coinvolgimenti, senza bisogno di dire sempre il proprio pensiero, ritornare alla discrezione dell’esserci!