Intervista a Pompeo Maritati, autore del libro “Dall’antica Babilonia ai Bitcoin. Storie, truffe e resilienza della finanza”
di Enrico Conte
L’incontro con Pompeo Maritati, esperto di finanza e con esperienza pluriennale nelle banche, avviene ad Acaya, siamo seduti in un caffè sotto lo sguardo vigile e accogliente di Antonio Carlino, il Presidente di Assa, Associazione che si occupa, da quarant’anni, della valorizzazione del Borgo, unico esempio di città fortificata dell’Italia meridionale sopravvissuto nei secoli.
Nel pomeriggio le ombre iniziano ad allungarsi, con ciò accentuando quell’impressione di surrealismo che restituisce la piazza, vuota e desolata davanti al Castello del ‘500, devastato dai Turchi nel 1714.
Allora erano i “barbari”, quelli dai quali difendersi, ora il nemico è un pò ovunque, non solo proveniente dall’esterno, ma si potrebbe dire dalle stesse caratteristiche della società tecnologica che, insieme a indubbi progressi quando accompagna la scienza (telemedicina per tutte) porta con sè isolamento (ambienti virtuali sullo smartphone), distacco dal mondo reale e delle relazioni, e individualismo che non aiuta a fare massa critica, per contrastarne, costruttivamente, le derive.
Nel 2008/9, con la grande crisi economica dei subprime e il tracollo finanziario, i nuovi “barbari“ si svelarono, assumendo i connotati delle banche che avevano accumulato, ad ogni costo, pur di reagire alla stagnazione di fine secolo.
D. Dott. Maritati perchè un libro sulla finanza? Non ne abbiamo già abbastanza?
P.M. Si, è vero, ne abbiamo tanti ma la cosa importante del libro è nel modo in cui viene presentata la finanza affinchè, anche uno studente delle scuole superiori abbia la possibilità di incuriosirsi ed entrare nel mondo della stessa e dell’ordine capitalistico su di essa fondato.
Parlare con le nuove generazioni, sforzarsi di rivolgersi a loro per indurli a riflettere sul presente e sulle prossime incognite, è molto importante per ragionare su questi temi e per poter essere più consapevoli.
D. Nel libro è dedicata una grande attenzione alle fasi storiche della finanza: c’è’ un periodo che più di ogni altro si avvicina al nostro?
P.M. Il periodo che si avvicina più al nostro tempo è quello ellenistico, poi dell’ impero romano, entrati entrambi in decadenza per problemi etici. Adesso, analoghi problemi li ritroviamo dopo 2000 anni. Beninteso, non intendo con ciò dire che è la corruzione ad accomunare questi momenti dalla storia, ma l”assenza di una visione del mondo che possa controbilanciare le forze del mercato e della tecnica. Se vogliamo è lo stesso problema messo in evidenza da Papa Francesco, quanto parla della necessità di dare un’etica all’intelligenza artificiale.
D. Sono le “sovrastrutture“, allora, che sembrano accomunare i diversi momenti storici, simili in ragione di una certa sopraffazione del “potere“ che, anche nelle società democratiche, ha le fattezze di quello finanziario?
P,M la finanziariazazzione del mondo, sviluppatasi in maniera esponenziale nel corso del XX secolo, ha prodotto un distacco dal mondo dell’economia reale.E’ un fenomeno che si autoalimenta. Non penso che ci sarà un momento di tregua, anche perchè è la finanza (oggi) che crea l’economia (a suo piacimento) e non viceversa.
L’economia, in termini accademici, va tenuta distinta dalla finanza, senza della quale non avremmo i fatti economici. E’ l’economia che dovrebbe provvedere a regolamentare i mercati dei capitali.
Ma il movimento degli stessi è determinato dalla finanza che si sposta dove viene trovato un interesse, ovvero un centro di potere. Non è più la politica che detta l’agenda alla finanza, oggi è esattamente il contrario.
Non solo, ma se un tempo c’era una programmazione pluriennale per decidere cosa fare in futuro, adesso l’orizzonte temporale è limitatissimo e anche dove continua ad esserci il controllo dello Stato tramite piani (Cina) ci dobbiamo chiedere se non abbia concorso a dederminare la crescita esponenziale della stessa, il mercato dei capitali: se la stessa Cina è diventata così grande non è forse perchè qualcuno ha lasciato che si ingrandisse? Quel mercato, oggi, tra l’altro, detiene tremila miliardi di debito pubblico USA.
Aggiungo che questo fatto spiega anche molti fenomeni di bilanciamento reciproco, nella geopolitica. Non dimentichiamo che la geopolitica è quella cosa che viene stabilita e perseguita senza che gli stessi addetti alla politica ne conoscano le finalità. Giusto per comprendere quale sia lo strapotere delle lobby della finanza.
D. Le truffe, nel libro, occupano lo spazio di un capitolo intero: nella storia quali sono quelle che più si avvicinano al presente?
P.M. E’ difficile fare un paragone perchè, alla fine, si tratta sempre di rubare denaro, prima si truffavano oggetti poveri, le capre, le pecore, il vino, col tempo si è passati ai cambi, al valore della moneta. adesso si entra nelle reti e c’è la tecnologia che sembra offrire prodotti prodigiosi che fanno guadagnare molto senza muoversi dal proprio smartphone.
Pensiamo poi ai derivati e alla crisi del 2008/9, non si comprano più solo le azioni della Mobil, o della Chrysler, per dire, adesso ci sono gli swap e si scommette su tutto: avremo 35 gradi di temperatura? Si scommette su di una scelta democratica come può essere la vittoria di un Presidente, Trump o Biden?
D.La Corte Europea di Giustizia di Strasburgo, ha dato ragione alle “Anziane per il clima” che hanno ottenuto, con una storica decisione, che lo Stato svizzero venisse condannato per inadempienza nell’ affrontare la crisi climatica, per ritardi nelle politiche per ridurre le emissioni e nel rispettare gli Accordi di Parigi. La sentenza impone alla Svizzera di varare misure per la tutela del diritto alla salute compromesso dalla crisi climatica…..
P.M. Certamente si tratta di una vittoria, ma qual è il suo peso in termini economici? Quanto costerà ai burattinai della finanza? E’ bene sottolineare, cosa che non sempre troverete nella comune informazione, che le sentenze di questi organismi internazionali, rappresentate da multe, sono sempre di gran lunga inferiori ai guadagni ottenuti illegittimamente.
D.”I sette peccati capitali dell’economia italiana” è il libro di Carlo Cottarelli che lei riprende nel suo lavoro. Ci può indicare qual’è, secondo lei, il nostro peccato più grave?
P.M.
Ce ne sarebbe più di uno, ma quello che ritengo il più rilevante è la mancanza di una seria, libera e concreta comunicazione pubblica. I mezzi di comunicazione sono quasi sempre riferibili a interessi economici. D’altronde, nel 2022, nella statistica mondiale della libertà di stampa, l’Italia figurava al 55° posto. Se mi consente di aggiungere un altro peccato capitale, questo è rappresentato dall’impunità dei reati dei colletti bianchi, dove non poche norme di legge, anziché rappresentare dei deterrenti, a volte, sembrano incentivarli. Questa è una grave percezione da parte dell’opinione pubblica, riscontrabile solo in paesi dove fa difetto la libertà. E’ un Paese, il nostro, che permette, attraverso il legiferato di un Parlamento, di farla franca, per via di una famigerata legge sulla prescrizione dei reati, e che non s’impegna a porre in essere tutti gli strumenti necessari per arrivare ad una giusta sentenza, in tempi ragionevolmente brevi. In tutto ciò intravedo una chiara complicità.
D. Stefano Zamagni, nel suo “L’economia del bene comune”, ci propone una prospettiva comunitaria centrata sul ruolo dei beni comuni: sembra darci una ricetta che parte dall’istruzione, sia scolastica che universitaria, dalla sanità pubblica, dai beni culturali e dal nostro paesaggio……
P.M.
Sull’economia del bene comune sono stati scritti fiumi di parole. Prima di tutto bisogna intendersi cosa sia il bene comune. Se questo è rappresentato dai servizi pubblici essenziali, la ritengo la scoperta dell’acqua calda. Quale cittadino, quale politico non vorrebbe i servizi pubblici efficienti, adeguati ai reali bisogni del Paese? Il problema non è desiderarlo, ma porlo in atto. E’ qui che entrano in gioco le non poche dinamiche finanziarie che condizionano, per meri interessi riferibili ai detentori dei cordoni della finanza, che ostacolano, modificano a loro piacimento la realizzazione di progetti realmente utili. Senza andare troppo lontano, restando in casa nostra, entro quest’anno si prevede che il nostro debito pubblico supererà la soglia dei 3000 miliardi, una cifra stratosferica, di gran lunga più abnorme rispetto a tutta l’Europa. Questo dovrebbe far supporre che l’Italia goda dei servizi pubblici e di una socialità all’avanguardia. Invece, NO! E per farla breve le pongo io una domanda: a cosa sono serviti questi 3000 miliardi?
Paolo Giordano ha scritto recentemente, commentando l’effetto che su di noi produce l’insieme delle gravi vicende internazionali (guerra in Ucraina e a Gaza) e anche interne, e che turbano il nostro presente, che siamo costretti a sognare all’indietro, posto che i sogni del futuro sono impastati da visioni del passato.
Il mondo della finanza e quello delle banche sembrano rientrare perfettamente, come fattori ancillari e complementari, nella metafora di Giordano, un mondo sfuggente ma al tempo stesso capace di autoriprodursi con segni tangibili, se solo si pensi a come le lobby bancarie, già destinatarie di una normativa di favore che consente veloci modifiche unilaterali dei contratti con i clienti, sono riuscite a sfuggire alla tassa sugli extraprofitti accumulati dopo la pandemia, e “promessa“ dal Governo in carica.
Ma questa sera, per microcosmica fortuna, la nostra chiacchierata si conclude in una piazza di un Borgo, in un pomeriggio di primavera che, con la sua bellezza e armonia senza tempo, sembra darci un segnale di speranza, partendo dal valore dei beni, storici, culturali e ambientali che ci circondano, e da quel paesaggio, urbano o rurale che sia, che aspetta di essere rispettato e valorizzato..
Enrico Conte