Intervista a Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, curatori della mostra ”Voci in capitolo” presso la Fondazione Biscozzi | Rimbaud
di Antonella Buttazzo
Introduzione.
Voci in capitolo è la nuova esposizione protagonista della Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce dal 12 febbraio al 2 luglio 2023.
Una mostra originale, come l’artista che l’ha concepita: Mirco Marchelli (Novi Ligure, 1963). Infatti, le sale della fondazione leccese si sono animate di un’opera ”totale”, che comprende, oltre al percorso di diciotto polimaterici, una composizione sonora a sei voci, ideata sui versi di Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930-18 maggio 2010).
Ad accompagnare la realizzazione di tale ambizioso progetto, le accurate professionalità del direttore tecnico-scientifico della Fondazione Paolo Bolpagni e del curatore Giovanni Battista Martini che abbiamo avuto il piacere di intervistare.
L’intervista.
Antonella Buttazzo: Quali sono state le idee di riferimento che hanno contribuito a costruire il pensiero critico e curatoriale della mostra “Voci in capitolo” di Mirco Marchelli?
Paolo Bolpagni: L’idea si deve all’essenza stessa della creatività di Mirco Marchelli, che è al contempo un artista della visualità e un compositore: un caso davvero raro. Voci in capitolo nasce da subito, appositamente per Lecce e per gli spazi espositivi della Fondazione Biscozzi | Rimbaud, come un progetto sinestetico, che unisce la pittura e la musica. Infatti non si tratta di una semplice mostra, ma di un’installazione complessiva in cui l’aspetto sonoro e quello visivo si integrano e compenetrano in maniera intimamente fusa.
Giovanni Battista Martini: In un’epoca costantemente parcellizzata, il dialogo fra le arti – qui musica, arte plastica e pittura – permette risonanze e respiri di sottile poesia. Nel lavoro di Mirco Marchelli tutto parte dalla musica bellissima di Gesualdo da Venosa (parliamo quindi della seconda metà del XVI secolo), per giungere con irreprensibile coerenza a una composizione musicale contemporanea su testi di Edoardo Sanguineti in stretta relazione con i lavori visivi. Composizioni i cui modelli linguistici rimandano al ready-made nell’utilizzo di materiali eterogenei, mentre nella composizione e nelle cromie sono evidenti i riferimenti alla poetica kleeiana.
A.B.: Tra i tanti ruoli affidati al curatore figura quello di mediatore concettuale tra l’artista e lo spettatore. Quali consigli dareste a chi si avvia verso tale professione?
P.B.: Il curatore, più che un mediatore tra l’artista e il visitatore, è uno studioso che analizza le opere e cerca di coglierne gli elementi costitutivi, in termini sia formali, sia contenutistici. Comunque è meglio evitare di dare consigli non richiesti. Io posso limitarmi ad affermare la necessità di molto, molto studio, di una profondissima conoscenza della storia dell’arte, dall’antichità a oggi, e di una capacità di “porsi in ascolto”. Certo non faccio parte dalla categoria dei “curators” modaioli, che pensano che il loro compito sia quello di limitarsi ad allestire in maniera accattivante e di “spiegare” le opere al pubblico: l’arte, se è veramente tale, sa comunicare da sola. Se ha bisogno di essere “illustrata”, c’è qualcosa che non va.
G.B.M.: Mettersi al servizio dello spettatore ma lavorando per l’artista. La profonda conoscenza del lavoro degli artisti resta sempre il punto di partenza.
A.B.: Quale ruolo ricoprono, secondo Voi, l’arte e la critica a essa correlata nell’attuale quadro contemporaneo?
P.B.: Discorso ampio e complesso. È difficile dare una risposta. L’arte è ormai alla portata di molti, e le mostre sono numerosissime. Questo è positivo. L’importante, però, è che siano di qualità, il che non sempre avviene. Quanto alla critica, sembrerebbe un po’ in crisi: basti notare lo spazio sempre inferiore che la stampa generalista concede alle pagine culturali.
G.B.M.: Un ruolo sempre più evidente, con i grandi temi dell’attualità che sono parte integrante dell’opera artistica. Oggi viene spesso a mancare il rapporto intimo tra spettatore e opera, e un uso politico dell’arte meno evidente e mediatizzato, ma non per questo meno efficace.
A.B.: Che cosa significa, a parer Vostro, portare una mostra di questo genere nel contesto storico-artistico leccese, in un luogo considerato innovatore dal punto di vista culturale, come la Fondazione Biscozzi | Rimbaud?
P.B.: Lecce è per tutti la città del barocco. La Fondazione Biscozzi | Rimbaud, così come altri soggetti pubblici e privati, sta portando avanti un forte tentativo di fare di essa anche un polo dell’arte moderna e contemporanea. La presenza di Mirco Marchelli e delle sue opere visive e musicali è un privilegio, perché ci troviamo di fronte a una delle personalità creative più originali e forti della scena attuale.
G.B.M.: La Fondazione Biscozzi | Rimbaud è un luogo di studio e di intelligente e generosa divulgazione. Questa mostra sembra attraversare gli spazi puliti ed eleganti della fondazione per aprirsi alla città, in un dialogo tra cromie, musica, passato e presente che mi pare possa risuonare pienamente nel contesto artistico di questa straordinaria città.